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Il trattamento nei casi di abuso sessuale su minore

CAPITOLO 3: CASO DI ABUSO SESSUALE INTRAFAMILIARE 3.1 Caso su un abuso sessuale a carico di due sorelle

3.2 Il trattamento nei casi di abuso sessuale su minore

Il trattamento di un caso di abuso sessuale deve avere prima una fase diagnostica, e successivamente una fase di trattamento.

Anche se è possibile affermare che la fase di trattamento avviene già dal primo momento, vale a dire quando i soggetti coinvolti si presentano ai servizi, anche se non sono i diretti interessati. Molteplici sono gli interventi che possono essere attuati da parte degli operati, ma devono rispettare una precisa successione per essere efficaci e vanno modulati a secondo delle variabili prese in esame, ad esempio:

• Il tipo di abuso messo in atto; • La gravità del danno fisico subito; • La precocità del bambino;

• La durata dell’abuso;

• Se la segnalazione è avvenuta da parte del tribunale.

La prima tappa è l’accoglienza della domanda49, perché è importante conoscere l’inviante della domanda, qual’è la fonte da cui ci viene trasmesso il caso, mentre il tipo di domanda e le procedura di accoglimento della domanda possono incidere sulle modalità e sulla qualità dell’intervento, potendo condizionare sul vissuto psicologico del bambino che deve vivere ed elaborare il vissuto in questo percorso di aiuto, e anche della stessa famiglia che viene travolta dagli avvenimenti.

49 Moro Alfredo Carlo, “Pianeta Infanzia, questioni e Documenti”, Istituto degli Innocenti, Firenze, 1998.

Questi elementi primari possono determinare l’esito futuro della buona riuscita del percorso terapeutico. Il caso più frequente avviene quando è la struttura giudiziaria ad incaricare i servizi sociali della zona a svolgere delle indagini a carico di una famiglia per il sospetto di abuso sessuale, attuando perciò una valutazione diagnostica della famiglia, del contesto nella quale vive, e delle condizioni psicologiche del bambino. Nei casi di abuso sessuale, di maltrattamenti e di trascuratezza rappresentano una sfida per l’assistente sociale la quale si trova a dover affrontare una duplice realtà, ovvero da un fronte a proteggere il bambino e determinare l’entità del danno subito e dall’altra parte verificare le capacità genitoriali, analizzando quali sono le motivazioni che hanno portato un genitore ad attuare un determinato comportamento, perciò comprendere se è possibile arrivare a parlare di recuperabilità delle competenze genitoriali.

L’intervento promosso dagli operatori consiste sia in una fase di valutazione ma anche in una di terapia da mettere in atto, perché riconoscere il maltrattamento fisico o l’abuso sessuale dovrebbe portare ad un’interruzione del comportamento violento, e serve per prevenire ulteriori danni, sia nelle stesse vittime che nell’autore dell’atto, fino a giungere ad un percorso di recupero delle ferite preesistenti in questo nucleo, sorreggendo i membri verso l’ elaborazione agli avvenimenti che si sono susseguiti, fino a pervenire dove diventa possibile ad un cambiamento. Bisogna quindi conoscere sia gli indicatori di rischio, rielaborare le storie familiari di origine di entrambi i genitori, le dinamiche della coppia che hanno portato alla relazione, e gli elementi che hanno spinto i genitori ad assumere un comportamento maltrattante o abusante. Una prassi che serve per individuare oltre i casi conclamati di violenza familiare o di abuso sessuale, ma anche per attuare un comportamento di prevenzione, attraverso uno studio interdisciplinare da parte degli operatori del settore, dovendo focalizzarsi sui problemi riscontrati dal bambino e dai suoi genitori maltrattanti, che portano nella loro esperienza pregresse storie di abusi e di maltrattamento.

Portando a quella che viene individuata nella prospettiva sistemica-relazione la “terapie della famiglia” partendo da un’analisi sulla psicoterapia della famiglia, sul contesto familiare e giungere ad una valutazione della genitorialità, attraverso

una serie di fasi che si susseguono, individuate dall’équipe del CBM50 che nasce a Milano a seguito della presa di coscienza della consistenza dei casi di maltrattamento e di abuso sui bambini, inizialmente infatti doveva essere un servizio di osservazione per la coordinazione e per la rivelazione dei casi nelle famiglie, innovando delle tecniche appropriate per questi casi specifici.

Nel 1984, alcuni operatori del settore come psicologi, assistenti sociali ed educatori decisero di costituire una cooperativa denominata CBM, diventando il primo servizio pubblico in Italia ad occuparsi del maltrattamento e di abuso sessuale su minori, mettendo in atto delle modalità di intervento, dove possiamo suddividere il processo di aiuto in fasi:51:

3.2.1 La rivelazione dell’abuso

Una prima fase è quella della rivelazione, in cui viene sottolineata la responsabilità da parte dell’intera società di essere degli attenti osservatori a degli eventuali segnali che possono far comprendere che un bambino è in pericolo, spesse volte nel suo stesso nucleo familiare.

Molti sono gli indicatori fisici e comportamentali che possono aiutare insegnanti, educatori, psicologi e anche i professionisti nell’ambito sanitario.

Nel caso sopra riportato, il genitore è stato attento ad un segnale fisico evidente, come il sangue nel pannolino delle bambine, e ha deciso di indagare e di mettere chiarezza in quell’episodio, la sua attenzione è stata tale da permettergli di comprendere l’entità dell’abuso subito, considerando fin da subito consistenza del danno fisico e psicologico delle sue figlie e della gravità delle azioni che stavano subendo nonostante la tenerissima età delle bambine. Inoltre è stato capace attraverso il dialogo, di farsi raccontare non solo la vicenda ma anche i dettagli e permettergli così di porre fine alla violenza e alle torture da parte dello zio.

50 Centro Aiuto Bambini Maltrattati.

Nella sua natura umana il bambino non è portato a denunciare gli adulti perché rappresentano anche nel caso di abuso sessuale, di maltrattamento o di trascuratezza, delle figure di riferimento gli unici in grado a “proteggerli”.

Perciò qualsivoglia comportamento non li porta a denunciarli o per lo meno non volutamente perché vogliono evitare il distacco per la paura di restare soli, cioè questi genitori vengono intesi come coloro che secondo le loro capacità e le loro competenze si prendono cura di lui, quindi non sono disposti a tradirli perciò è difficile pensare che il minore venga spontaneamente ad un servizio per denunciare un adulto. Oppure come nel caso sopra citato, le bambine raccontano quello che stanno vivendo con lo zio ma restano inascoltate dalla madre, sottovalutando le richieste delle stesse.

Ancor meno di un bambino che denuncia troviamo i genitori maltrattanti e abusanti che decidono di rivolgersi ai servizi e quindi di autodenunciarsi, perché un genitore che sta abusando o maltrattando suo figlio non sempre è consapevole del male che sta infliggendo su suo figlio o nel caso in cui acquista consapevolezza non trova il coraggio di rivolgersi spontaneamente, perché autodenunciarsi significa aver violato i tabù sociali e anche la legge e significa ammetterlo davanti alla società, potendo diventare un escluso, un emarginato etichettato come violentatore o maltrattante. Perciò il compito degli operatori è proprio quello di cogliere dei segnali in questi genitori che vengono presentati ai servizi a seguito di segnalazioni, in modo da trovare un aggancio per permettergli di liberarsi di questo comportamento che mettono in atto, infatti non mancano situazioni nei quali i genitori facessero di tutto per farsi scoprire, come se fosse una richiesta celata.

Altre volte i genitori non chiedono espressamente aiuto perché credono di non averne bisogno perché nonostante tutti gli avvenimenti possono ancora gestire la propria famiglia e il proprio comportamento, innescano un atteggiamento di negazione anche nei casi in cui vi sono delle prove evidenti dei fatti, la negazione anche delle difficoltà nel controllarsi, oppure per il senso di vergogna o di paura delle conseguenze delle loro azioni. Molti sono i genitori già seguiti dai servizi a causa delle loro dipendenze da alcool, droghe o psicofarmaci, oppure è un

paziente psichiatrico. Bisogna considerare che non è detto che tutti i genitori che non si autodenunciano non sono motivati a modificare il loro comportamento, infatti non mancano i casi in cui il genitore maltrattante e abusante, scoperta la sua reale personalità e motivato ad un cambiamento, non si sia mosso nella giusta direzione con l’aiuto di terapie consone alle sue esigenze e ai suoi bisogni, permettendo di porre fine alla sofferenza sia del suo bambino e della sua stessa persona.

3.2.2 Il coinvolgimento dei genitori e la segnalazione al Tribunale

Vi è una seconda fase, che riguarda il coinvolgimento dei genitori e la successiva segnalazione al tribunale.

Una volta che si hanno a disposizione le informazioni necessarie a seguito del racconto del bambino, oppure di referti medici che confermano l’abuso o il maltrattamento fisico, o la trascuratezza è necessario da parte dell’operatore attuare due compiti ovvero convocare i genitori, a poi la decisione di segnalare al tribunale dei minorenni, oppure nei casi più gravi è possibile anche capovolgere questo procedimento. Per quanto riguarda la scelta di convocare i genitori è un compito arduo e delicato, perché bisogna prendere in considerazione se l’abusante è un membro della famiglia oppure una persona influente nella cerchia familiare, perché in tal caso informare i genitori significa dargli la possibilità di intimorire la vittima e di costringerla a ritrattare, oppure potrebbe rincarare le dosi con la violenza fisica, perciò vi è la segretezza nei confronti dei genitori fino a quando il magistrato della Procura penale non ha svolto il compito di indagini preliminari e poi informare successivamente la persona coinvolta. È un compito difficile già nel caso in cui sono coinvolti i genitori, ma ancor più arduo può essere il compito quando è uno solo il genitore coinvolto, ovvero quando viene informato un solo coniuge quindi la segretezza è solo verso un coniuge.

A meno che non ci siano dei casi particolari come sopra citati è sempre opportuno convocare ambedue i genitori, perché è bene instaurare con entrambi un rapporto di fiducia e di chiarezza, evitando un atteggiamento di condanna e di critica nei

confronti dell’uno o dell’altro. Gli operatori devo far comprendere che il loro intervento è volto ad aiutare il nucleo familiare e di protezione nei confronti dei bambini.

Il secondo compito invece riguarda la segnalazione al tribunale dei minorenni, è un momento delicato sia per gli operatori e sia per i genitori, soprattutto quando la decisione di segnalare avviene dopo che si è già instaurato un rapporto con la famiglia e con il bambino. L’ operatore che ha già intrapreso questo rapporto spesse volte tende a rimandare o si persuade che si è sbagliato nella valutazione dei genitori, perciò la segnalazione può rappresentare il male peggiore di una situazione, ma bisogna considerare che deve esserci un rapporto fiduciario non solo con i genitori, ma anche con la Procura e la Polizia Giudiziaria, rapporto sancito dall’art. 331 c.p.p, e questa segnalazione deve avvenire senza ritardi, perché un eccessivo ritardo potrebbe compromettere le indagini e il lavoro della magistratura. L’ operatore che si trova davanti a questa decisione deve tenere conto della gravità del danno, se di modestia o di elevata entità.

Nel caso sopra riportato, i servizi sociali venuti a conoscenza dell’avvenimento hanno immediatamente effettuato una segnalazione al Tribunale dei minore per permettere di allontanare immediatamente le bambine dallo zio e trovare rifugio presso la casa del padre e dei nonni, e quindi assicurare la protezione delle bambine. Inoltre mentre l’assistente sociale stava facendo la segnalazione al tribunale aveva anche contatto l’ospedale di Lucca per una visita ginecologica accurata alle bambine, permettendo di documentare anche con un referto medico la veridicità dell’evento.

“La segnalazione al Tribunale, costituisce una canale da privilegiare perché consente di avviare parallelamente alla tutela del minore, un lavoro psicologico con le famiglie”52. Il Tribunale si muoverà in prima istanza in una fase di indagine

per individuare i responsabili e attendere che sia fatta una verifica degli elementi che si conoscono. Mentre nei casi in cui la segnalazione al Tribunale avviene a

52 Cirillo S., Di Blasio P. “La famiglia maltrattante, diagnosi e terapie”, Raffaello Cortina Editore, pag. 20, 1989.

seguito di un referto medico o con un rapporto psicosociale, allora attuerà delle misure di protezione, come nel caso sopra citato, e avvia un programma di valutazione della recuperabilità della famiglia.

3.2.3 La fase indagine

La terza fase è quella dell’indagine, dopo aver fatto una segnalazione al Tribunale, anche solo per un presunto maltrattamento o abuso, verrà emanato un decreto da parte del Tribunale, che determina quali sono le misure di protezione da mettere in atto. La protezione del bambino si attua ogni qualvolta deve essere salvaguardata la sicurezza sia fisica che psicologica del bambino.

I casi più emblematici riguardano gli abusi sessuali intrafamiliari, perché bisogna evitare il perpetuarsi degli avvenimenti a livello fisico, ma un altro elemento è l’aspetto psicologico che si crea nella condizione familiare. Poiché all’interno del nucleo si creeranno delle collusioni o delle complicità fra i membri, attuando dei comportamenti o di protezione e di tutela nei confronti del soggetto debole, oppure di minacce e di violenze per fargli ritrattare i fatti raccontati in precedenza. In questo contesto il bambino si trova a vivere contemporaneamente più sentimenti ed emozioni, e se coinvolto dalla lusinghe o dalle minacce potrebbe anche ritrattare il suo racconto. La protezione, in alcuni casi può riguardare non solo il minore abusato o maltrattato ma anche altri fratelli o sorelle oppure altri membri del nucleo familiare che subiscono attivamente anche delle violenze o possono essere soggette a dei rischi di ripercussioni.

L’ allontanamento del minore dall’abitazione e il suo collocamento presso

ospedali, nei casi richiesti, presso case-famiglia; altrimenti in un centro di primo intervento, o se è possibile attuare una forma di protezione facendo riferimento alla famiglia allargata, ovvero nonni o altri parenti, anche se in questo caso le modalità e il rapporto dev’essere disciplinato dall’autorità giudiziaria e del servizio sociale di riferimento. Nei casi di allontanamento del minore del contesto familiare spetta al Tribunale decretare e disciplinare le modalità di allontanamento da mettere in atto. Nella fase di indagine c’è un passaggio importante ovvero accertarsi che l’ipotesi che avevamo supposto precedentemente sia veritiera

oppure no, perciò i servizi coinvolti devono mettere in atto tutte le loro competenze per raggiungere le informazioni più dettagliate possibili prima di portarle a termine. Nella fase di indagine nei settori coinvolti, vi è la differenza fra i casi di abuso sessuale, dove le indagini per sospetto di abuso devono corrispondere all’accertamento anche nel quadro clinico, per questo motivo le indagini possono prolungarsi nel corso del tempo, inoltre bisogna approfondire le dichiarazioni del minore pertanto una volta riusciti in questi procedimenti il Tribunale potrà proseguire penalmente nei confronti dell’abusante e poi l’eventuale trattamento dei membri della famiglia, della vittima e se disposto anche del carnefice. Il percorso dell’abuso si differenzia dai casi di maltrattamento fisico e psicologico.

Ad esempio nel caso di genitore tossicodipendenti, aumenta il rischio di maltrattamento fisico nei confronti dei bambini, perciò a seguito di una segnalazione gli stessi possono assumere un atteggiamento di negazione della loro condotta, pertanto in questo contesto è importante un lavoro di équipe, mettendo in atto il metodo più opportuno per permettere di indagare nel contesto familiare e comprendere se è possibile realizzare un’alleanza fra i componenti e gli operatori, attivando perciò un processo di aiuto non solo nei confronti del bambino, ma anche per i genitori, incentivandoli ad intraprendere una terapia alla quale non si sono mai sottoposti. Deve realizzarsi un lavoro interdisciplinare ed è importante il lavoro di équipe, capace di associare la protezione del bambino e la recuperabilità o la terapia del genitore. Bowlby scriveva che “se una comunità

civile vuole tutelare i bambini deve proteggere i loro genitori perché non è possibile mettere in sicurezza solo i bambini ma dobbiamo occuparci anche del recupero e della cura dei genitori, siano essi pazienti psichiatrici, tossicomani, maltrattanti, finanche di quelli abusanti”53. Perché alla base fra genitore e

bambino vi è un legame indissolubile, che tendono entrambi a proteggere nella maggior parte dei casi, perciò necessitano di una possibilità per riscattarsi. È

53 Mazza R. “Terapie Imperfette, il lavoro psicosociale nei servizi pubblici”, pag.14, Op. cit. pag.74

importante allacciare un rapporto di fiducia reciproca far gli operatori e i genitori, affinché anche i bambini si fidano degli operatori considerandoli come dei complici che vogliono aiutare realmente la sua famiglia, inoltre è importante utilizzare chiarezza con gli stessi bambini, preparandoli psicologicamente ed emotivamente del percorso che stanno svolgendo sia con lui e sia con la sua famiglia.

3.2.4 Le misure di protezione

Vi è una quarta fase, ovvero le misure di protezione, che possono attuarsi nell’immediato dopo la segnalazione, qualora vi sia una particolare urgenza, come nel caso dell’allontanamento visto precedentemente.

Vi sono dei casi in cui invece, il decreto da parte del Tribunale definisce con precisione quali sono le misure da attuare, perché in tale caso l’operatore è chiamato a mettere in atto il decreto e ricercare la collaborazione terapeutica degli altri operatori, mentre nei casi in cui ancora non è stato emanato un decreto, gli operatori possono contribuire a determinare quali possono essere le misure di protezione più idonee, fornendo tutte le informazioni necessarie al Tribunale. Per rispondere adeguatamente al giudice, bisogna che gli operatori conoscano quali siano i criteri, a cui deve rispondere la misura di protezione, analizzando due aspetti, ovvero:

1. La protezione deve corrispondere all’entità del danno che ha subito il

minore;

2. Valutare la recuperabilità del genitore.

La protezione commisurata al danno, sta ad indicare che gli interventi messi in atto dai servizi sociali sono connessi alla gravità del danno riportato sul minore, perciò possono essere di varia entità, da forme più lievi come la sorveglianza da parte dei servizi sociali, attraverso l’aiuto degli assistenti domiciliari nei casi dove si ritiene che i genitori necessitano di aiuto a svolgere i rispettivi compiti, quindi svolgendo una funzione di mediazione familiare fra genitore e figlio, un educatore

professionale54 può contribuire nel supporto alle figure genitoriale, aiutandoli a rispettare il progetto concordato con i servizi sociali. Il ruolo dell’educatore è anche quello di controllo e di monitoraggio della famiglia da vicino, un ruolo che deve essere presentato alla famiglia che necessita di questa figura per conto dei servizi sociali.

Il ruolo dell’assistente domiciliare è fondamentale nei casi in cui i genitori hanno stabilito delle prescrizioni, che rappresentano un’altra forma di protezione del minore e anche in questo caso l’assistente svolge il ruolo di controllore, ovvero deve verificare che il genitore si sottomette nel contesto familiare a quello che ha prestabilito con gli assistenti sociali, quindi già prima dell’intervento domiciliare sa che deve assoggettarsi a determinare limiti altrimenti possono esserci delle conseguenze, fra i quali anche all’allontanamento del minore dall’ambito familiare, che può delinearsi per un periodo prestabilito oppure per un tempo più duraturo a seconda delle scelte intraprese dai genitori.

“Quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall'articolo 330, ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice, secondo le circostanze, può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l'allontanamento di lui dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore55”.

Quando il genitori o ambedue non si attengono alle prescrizioni fatte in concomitanza con i servizi sociali, a seguito dell’allontanamento del minore può esserci una limitazione della potestà dei genitori, vale a dire che le funzioni che sono attribuite solitamente ai genitori vengono affidati ai servizi sociali, a cui solitamente vengono affidati i bambini. Anche se è possibile che il minore

54 Gazzetta Ufficiale D.M 29 dicembre 1984, n. 1219 “Professionista sociale e sanitario che attua specifici progetti educativi e riabilitativi, nell'ambito di un progetto elaborato da un'equipe multidisciplinare, volti a uno sviluppo equilibrato della personalità con obiettivi educativo/relazionali in un contesto di partecipazione e recupero alla vita quotidiana; cura il positivo inserimento o reinserimento psicosociale dei soggetti in difficoltà”:

nonostante vi sia questa limitazione della potestà può restare collocato presso la sua abitazione, bisogna considerare che per il minore che viene coinvolto in questi