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Capitolo 2 L’organizzazione dell’azienda alberghiera

2.1 I modelli organizzat

2.2 L’organizzazione del sistema produttivo 2.3 Management, competenze e fattori produttivi

2.1 I modelli organizzativi

L’analisi del contesto globale e locale, la classificazione e la descrizione della variegata gamma dell’offerta e della domanda dei servizi alberghieri, richiede un ulteriore dettaglio sui possibili modelli organizzativi che il soggetto economico può scegliere, nel definire la propria struttura tecnica. La scelta non è di poco conto, riguarda ovviamente gli attori che si accingono a “progettare” un nuovo soggetto imprenditoriale, ma anche l’imprenditore che si trova ad operare nel mercato turistico ricettivo e che vuole rivisitare l’organizzazione in chiave aziendale della propria attività, valutando tutti i possibili scenari, a partire proprio dal modello organizzativo.

Anche l’organizzazione aziendale di un’attività alberghiera prevede infatti un ciclo di vita. Per mantenere nel tempo un valore aziendale soddisfacente, occorre un’adeguata propensione imprenditoriale: per comprendere e gestire la collettività interna di riferimento, per formalizzare azioni mirate ed efficaci, affrontare possibili fasi di declino, rielaborare e riprogettare la struttura e la collocazione dell’impresa alberghiera secondo nuovi e coerenti parametri.

Il ciclo di vita dell’organizzazione prevede diversi stadi e diversi attori coinvolti(1). Gli stadi, o fasi, del ciclo di vita sono di carattere imprenditoriale quando sono coinvolti i più alti responsabili delle unità organizzative, si prevede una struttura di controllo “corta” e una proprietà impegnata nell’indirizzo strategico e nella gestione operativa. Le dinamiche della fase imprenditoriale focalizzano sul prodotto/servizio con ridotta formalità e forte impegno dell’intera organizzazione. La fase della collettività prevede unità organizzative meglio definite, strutturate e specializzate; la stratificazione possibile attiva misure di controllo gerarchico che vede la proprietà più rivolta al coordinamento strategico della direzione, piuttosto che a quello operativo. Lo stadio della formalizzazione consolida le unità organizzative, codifica le strutture informative e di controllo e fissa le divisioni funzionali e i livelli gerarchici, le dinamiche interne sono maggiormente complesse e ben strutturate.

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L’elaborazione o la rielaborazione evolute portano ad un’elevata specializzazione e all’innovazione, delegate agli attori delle unità organizzative, ad una maggiore decentralizzazione e al lavoro di gruppo, per il mantenimento o il recupero dei livelli di efficienza, efficacia ed economicità.

I modelli organizzativi possono essere di tipo gerarchico, funzionale, gerarchico- funzionale, divisionale, a matrice o a rete(2).

Il modello gerarchico prevede uno sviluppo verticale, ogni soggetto risponde

esclusivamente al suo superiore, il controllo è formalizzato tramite procedure burocratiche e la comunicazione fra soggetti di funzioni diverse è condotta tramite i direttori. L’efficacia dipende dalle competenze dei direttori.

Questo modello presenta il vantaggio di un elevato controllo, della chiarezza, sia delle responsabilità, che delle procedure ed obiettivi per tutti i livelli gerarchici. Presenta anche svantaggi con l’aumento dei livelli gerarchici, dei tempi di comunicazione, del rischio di entropia per le eccessive distanze fra direzione e livelli operativi.

Il modello funzionale prevede linee di comando verticali e linee di coordinamento

trasversali, le diverse funzioni disciplinano le azioni di propria competenza. La direzione è più dedicata alla strategia aziendale che alla gestione operativa. Gli elementi di vantaggio evidenziano i benefici della specializzazione, una chiara catena di comando nelle funzioni, una maggiore efficienza e una riduzione dell’impegno operativo della direzione, rispetto al modello gerarchico. I fattori di svantaggio riguardano la complessità del coordinamento, una frammentata linea di comando con possibili conflitti di attribuzione, rischi di vuoti di potere o di sovrapposizioni.

Il modello gerarchico-funzionale presenta organi di staff anche a più livelli che

sviluppano soluzioni specialistiche, linea di comando verticale, come nel modello gerarchico, ed elevata specializzazione, come nel modello funzionale, la pianificazione strategica è condivisa fra direttori.

Lo staff può consistere in: competenze di analisi che organizzano e migliorano il flusso produttivo (es. controllo di gestione, controllo di qualità, ecc.); competenze di supporto “esterno” al flusso produttivo (es. ufficio legale, amministrazione personale, ecc.). Lo staff si limita ad elaborare soluzioni che possono o non possono essere applicate e/o applicabili; più di rado ha una vera e propria autorità funzionale.

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I vantaggi di questo modello attengono alla spiccata specializzazione, linea di comando coerente e riduzione della gestione operativa in capo alla direzione rispetto al modello gerarchico. Gli svantaggi sono riferiti ai possibili conflitti fra le varie funzioni e gli organi dello staff, possibili carenze della linea di comando per mancanza di autorità, possibile rallentamento dei flussi informativi ed operativi addensati sui direttori di funzione.

Il modello divisionale è strutturato in divisioni o business unit dotate di elevata

autonomia. Ogni divisione ha una propria struttura interna, la direzione generale si occupa esclusivamente di definire la pianificazione generale. É presente il rischio di frammentazione dell’impresa e la perdita di una visione condivisa. La struttura per divisioni può caratterizzarsi per l’autonomia delle stesse, per la specializzazione sul prodotto/servizio o sui segmenti di clientela, può prevedere un coordinamento sugli output e sulla visione imprenditoriale di insieme. In questi casi, i pro e i contro, riguardano specificatamente: una minore complessità e un migliore coordinamento funzionale, una focalizzazione sul bisogno e sulle esigenze del cliente, una migliore allocazione delle risorse e una spiccata presenza manageriale; fattori negativi possono essere: un’eccessiva duplicazione di funzioni e conseguente perdita delle economie di scala, una certa difficoltà nel coordinamento delle divisioni e nel valorizzare le sinergie possibili, esiste persino il rischio di opportunismo e di auto referenzialità manageriale. L’accentramento misurato delle funzioni in cui sono rilevanti le economie di scala e le interazioni fra divisioni, l’attivazione di meccanismi di coordinamento e sistemi di incentivazione, possono rappresentare correttivi alle criticità di questo modello.

Il modello a matrice si regge su gruppi interfunzionali, anche temporanei e autonomi, che

si occupano di specifici progetti. La direzione segue la strategia generale e i direttori di funzione seguono le problematiche comuni alla funzione. Prevede un sistema informativo manageriale integrato sullo stato dei progetti, soluzioni organizzative del personale, prevenzione e gestione dei conflitti. Può rappresentare una struttura snella e versatile, massimizza la specializzazione e le prestazioni per singolo progetto; di contro, sono presenti rischi di conflitto, frammentazione della catena di comando e delle risorse, perdita della dimensione complessiva dell’organizzazione aziendale e dei suoi obiettivi.

Il modello a rete presenta un nodo centrale con attorno una rete di produzioni esterne, il

centro mantiene il controllo dei processi caratterizzanti e cede altre attività. Sono punti di forza l’ampliamento del raggio di azione senza diretti investimenti, la flessibilità ai bisogni, la riduzione dei costi amministrativi. Punti di debolezza sono rappresentati dal minore controllo della direzione su alcuni processi, potenziali conflitti con i partner esterni,

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condizionamento da parte dei partner, clima di precarietà del personale per il timore di essere sostituito con affidamenti esterni.

Vien da sé che una semplice applicazione di uno qualsiasi dei modelli organizzativi possibili, non è garanzia di buon successo imprenditoriale. L’imprenditore deve infatti valutare ogni dettaglio utile a consentire un funzionamento e un’attività economica congeniale agli obiettivi aziendali, improntati all’equilibrio e al profitto.

Si vuole specificare, ancora meglio, l’utilità di fissare le dimensioni della progettazione organizzativa, a tal fine la letteratura schematizza due macro aree: le dimensioni strutturali e le dimensioni contestuali(3), che interagiscono fra loro e orientano la struttura verso gli scopi istituzionali.

Fanno parte della prima: la formalizzazione, cioè l’insieme dei documenti, regolamenti, manuali, ecc. che guidano la condotta dei comportamenti e delle attività interne; la

specializzazione con riferimento al livello di suddivisione dei compiti fra le posizioni

lavorative; la gerarchia indica i livelli di controllo e responsabilità con uno sviluppo verticale solitamente raffigurato con l’organigramma; La centralizzazione indica l’autorità che assume le decisioni, può essere alta o bassa se questa autorità è poco o molto decentrata; la professionalità è data dal livello di formazione e aggiornamento dei dipendenti; gli indicatori del personale che indicano le quote di dipendenti assegnati ai vari uffici e settori.

Della seconda categoria fanno parte: la dimensione che viene solitamente indicata con il numero dei dipendenti (più raramente si usa il fatturato o il valore dell’attivo patrimoniale); la tecnologia che consiste negli strumenti e nelle soluzioni tecniche utilizzate nel processo produttivo; L’ambiente che comprende tutti i fattori esterni all’organizzazione aziendale; gli obiettivi e la strategia che attengono agli scopi e alle soluzioni competitive della singola struttura organizzativa; la cultura è il bagaglio fondamentale delle competenze, valori e regole condivise dal complesso organizzativo. Il panorama delle dimensioni elencate, è posto alla base delle scelte e delle vocazioni imprenditoriali; fra loro sono integrate, contemperate e dosate in funzione della massimizzazione dell’efficienza e dell’efficacia. Sono, questi, i parametri fondamentali che misurano le quantità degli input necessari per raggiungere i risultati e il grado di raggiungimento di questi obiettivi.

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