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I preparativi alla Convenzione di Montego Bay

Alle Convenzioni del 1958 e del 1960 sul diritto del mare, la preoccupazione degli Stati Uniti consisteva principalmente nella protezione dei tradizionali interessi di navigazione e di pesca.(563) Al tempo in cui

559

V. S. ODA, International Law of the Resources of the Sea, Alphen aan de Rijn, Sijthoff, 1979, p. 5.

560

T. W. FULTON, The Sovereignty of the Sea, Edinburgh, Blackwood, 1911, p. 650. 561

D. P. O’CONNEL, The International Law of the Sea, vol. I, Oxford, Clarendon Press, 1984, p. 131; v. U.S. Statutes at Large, vol. I, Boston, 1845, p. 384, consultabile al sito

http://memory.loc.gov/ammem/amlaw/lwsllink.html, visitato il 02/06/2013.

562

V. United States v. Kessler, Reported by Hon. Henry Baldwin, Circuit Justice, Circuit Court, D. Pennsylvania, Oct. 23, 1829, consultabile al sito

https://law.resource.org/pub/us/case/reporter/F.Cas/0026.f.cas/0026.f.cas.0766.pdf,

visitato il 02/06/2013; D. P. O’CONNEL, The International Law of the Sea, vol. I, Oxford, Clarendon Press, 1984, p. 133.

563

A. L. HOLLICK, U.S. Foreign Policy and the Law of the Sea, Princeton, Princeton University Press, 1981, p. 137.

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l’ambasciatore maltese Pardo fece la propria proposta(564), la politica statunitense mirava all’accrescimento della ricchezza, al mantenimento della sicurezza nazionale, alla promozione del benessere pubblico e privato, all’espansione degli interessi della comunità mondiale.(565)

Secondo l’allora Sottosegretario di Stato Elliot Richardson, gli Stati Uniti non erano affatto preoccupati da ciò che Pardo sollevò: infatti, «[d]eep seabed mining was not a major concern that impelled the U.S. in 1969-70 to take the lead in promoting a new international conference on the Law of the Sea. At that time its paramount concern was preserving the navigational and overflight freedoms against the “creeping jurisdiction” of the coastal states. The U.S.’s next priority was the conservation of fishery resources, which had been threatened by the destructive practices of distant water factory ships. Next came protection of the marine environment and control over the hydrocarbon potential in the American outer continental shelf. Deep seabed mining was an interest to be sacrificed to achieve other interests»(566).

Nel 1969 la Stratton Commission redasse una relazione sulla politica marittima nazionale, indicando che l’inquinamento delle acque costiere statunitensi era divenuto «a growing National disgrace»; c’era il bosogno di un maggior controllo che regolasse gli usi del mare potenzialmente pericolosi.(567)

La Commissione enfatizzò, in primo luogo, il bisogno di «a U.S. Navy capable of carrying out its National defense missions anywhere in the oceans, at any desired depth, at any time»(568)

; in secondo luogo, la necessità dell’esistenza di una struttura internazionale che promuovesse lo sviluppo efficiente delle risorse minerali giacenti sui fondi marini; in terzo

564

V. supra Parte I, par. 1.3.1. 565

L. M. ALEXANDER, National Jurisdiction and the Use of the Sea, in Natural Resources

Journal, vol. 8, 1968, p. 398; v. anche J. R. STEVENSON, Legal Regulation of Mineral

Exploitation in the Deep Seabed, in U.S. Department of State Bulletin, vol. 65, 1971, p. 50.

566

E. L. RICHARDSON, Law of the Sea: A Reassessment of U.N. Interests, in Mediterranean

Quarterly, vol. 1, 1990, p. 4.

567

V. Report of the Commission on Marine Science, Engineering and Resources, United States Government Printing Office, Washington, D.C., January 1969, p. 72, consultabile al sito http://www.lib.noaa.gov/noaainfo/heritage/stratton/chapter3.html#Plan, visitato il 02/06/2013.

568

V. Report of the Commission on Marine Science, Engineering and Resources, United States Government Printing Office, Washington, D.C., January 1969, p. 3, consultabile al sito http://www.lib.noaa.gov/noaainfo/heritage/stratton/chapter1.html#Plan, visitato il 02/06/2013.

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luogo, l’esigenza che i benefici scaturiti dall’uso del mare fossero condivisi con gli Stati in via di sviluppo per raggiungere una maggior stabilità internazionale. Fu così che l’amministrazione Nixon seguì le indicazioni dalla Commissione e nel 1970 presentò proposte relative al trattamento delle risorse dei fondi marini.(569)

Tuttavia, nel giro di poco tempo la situazione mutò: l’ambizione di un uso pacifico del mare fu soppressa dalla crescente paura che la Marina statunitense potesse avere forti limiti e restrizioni alla propria navigazione e, al contempo, gli interessi sul petrolio e sulle attività minerarie affievolirono l’auspicata politica di gestione e condivisione delle risorse.(570) Il governo degli Stati Uniti si schierò a favore dell’idea in virtù della quale l’esercizio di attività minerarie dei fondi marini oltre la giurisdizione nazionale era una libertà dell’alto mare secondo il diritto internazionale consuetudinario, in modo tale che «individual nodules could […] be appropriated under the doctrine of res nullius».(571)

Durante i negoziati preliminari delle Nazioni Unite relativi ai fondi marini, gli Stati Uniti, se da un lato non si opponevano al controllo internazionale, dall’altro cercavano di limitare la giurisdizione dell’apparato internazionale alle licenze relative alle operazioni minerarie.(572)

Era necessario un accordo tra le compagnie minerarie e l’Autorità, ma «mining interests within the United States were strongly opposed to any treaty which would empower the Authority to conduct its own mining operations»(573)

. Credendo che la Terza Convenzione sul diritto del mare non sarebbe stata in grado di giungere a un accordo soddisfacente sul regime delle attività minerarie, le compagnie desideravano l’attuazione di una

569

D. W. PROUDFOOT, Guarding the Treasures of the deep: The Deep Seabed Hard

Mineral Resources Act, in Harvard Journal on Legislation, vol. 10, 1973, p. 596.

570

V. E. WENK, The Politics of the Ocean, Seattle, Washington University Press, 1972, p. 416.

571

J. B. MORELL, The Law of the Sea: An Historical Analysis of the 1982 Treaty and its

Rejection by the United States, London, McFarland, 1992, p. 44; J. N. BARKENBUS, Deep

Seabed Resources: Politics and Technology, New York, Free Press, 1979, p 39.

572

J. N. BARKENBUS, Deep Seabed Resources: Politics and Technology, New York, Free Press, 1979, p 111 ss.

573

J. B. MORELL, The Law of the Sea: An Historical Analysis of the 1982 Treaty and its

Rejection by the United States, London, McFarland, 1992, p. 44; v. M. I. GLASSNER,

Developing Land-Locked States and the Resources of the Seabed, in San Diego Law Review, vol. 11, 1974, p. 654.

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legislazione interna meno restrittiva con lo scopo di ottenere in modo unilaterale licenze sulle operazioni minerarie secondo il regime di libertà dell’alto mare. L’American Mining Congress sostenne che la legislazione non avrebbe danneggiato i diritti delle altre Nazioni o la validità di un trattato e che gli Stati Uniti avrebbero perso la propria leadership tecnologica nel caso in cui non fossero riusciti a coinvolgere la propria industria mineraria sottomarina.(574)

La natura della legislazione proposta fu messa in dubbio da molti osservatori e Stati, i quali si aspettavano che, una volta dato inizio alle operazioni minerarie unilaterali, esse avrebbero impedito o quanto meno ostacolato l’adozione di un trattato, determinando di conseguenza la creazione di un regime generalmente accettato dal quale sarebbe dipesa la legittimità dello sfruttamento dei noduli polimetallici dal fondo del mare.(575)

Il Dipartimento di Stato si oppose fortemente alla legislazione unilaterale statunitense, preferendo ricorrere all’adozione di un regime provvisorio, proposto alla Terza Conferenza.

L’amministrazione Ford continuò la partecipazione alla Conferenza e perseverò l’opposizione alla legislazione unilaterale, convinta che reazioni internazionali avverse avrebbero potuto minacciare i risultati raggiunti fino a quel momento presso la Conferenza.

Tuttavia, nel 1977 l’ormai divenuto ambasciatore Richardson, sotto la presidenza di Carter, affermò che «the administration would support unilateral legislation under certain conditions»(576). Così, subito dopo la proposta di Pardo, gli Stati Uniti sollecitarono la creazione di un “Committee on Oceans” all’interno delle Nazioni Unite, avente lo scopo di

574

J. B. MORELL, The Law of the Sea: An Historical Analysis of the 1982 Treaty and its

Rejection by the United States, London, McFarland, 1992, p. 44

575

J. N. BARKENBUS, Deep Seabed Resources: Politics and Technology, New York, Free Press, 1979, p 93.

576

J. B. MORELL, The Law of the Sea: An Historical Analysis of the 1982 Treaty and its

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sviluppare il diritto internazionale e promuovere gli interessi e la cooperazione.(577)