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I RICORSI AMMINISTRATIVI TRADIZIONALI UNA PROSPETTIVA NON TRADIZIONALE

Alessandro Pajno

SOMMARIO: 1. Crisi dei ricorsi amministrativi ed efficienza della giustizia.

- 2. Ricorsi amministrativi ed esperienza europea. - 3. Una visione “antagoni- stica” dei rapporti fra amministrazioni e giurisdizione. - 4. Le esperienze di confine: il ricorso amministrativo e l’arbitrato. - 5. Rimedi alternativi e rife- rimento necessario alla giurisdizione: l’amministrazione giustiziale. - 6. Ri- corso gerarchico, ricorso gerarchico improprio e ricorso in opposizione. - 7. Il ricorso straordinario al Capo dello Stato: riaffermazione della logica an- tagonistica e cammino verso la giurisdizione. - 8. Il ricorso straordinario nella giurisprudenza della Cassazione e della Corte costituzionale. - 9. Il ricorso straordinario e la possibilità di sollevare questioni di legittimità costituziona- le. - 10. Ricorso straordinario e mutamento di natura: dall’amministrazione alla giurisdizione. - 11. Gli argomenti della Cassazione e del Consiglio di Sta- to. - 12. La sentenza della Corte costituzionale n. 73 del 2014: il ricorso straordinario come rimedio giustiziale. Il ricorso straordinario restituito a se stesso.

1. Crisi dei ricorsi amministrativi ed efficienza della giustizia

Quello dei ricorsi amministrativi “tradizionali” – e cioè dei rimedi previsti dal d.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199 – viene spesso avvertito, per un verso, come un argomento risalente e datato, per l’altro, come un problema largamente superato non soltanto dalla disciplina primaria successiva al 1971, ma anche, e soprattutto, dall’esperienza concreta della tutela non giurisdizionale, che ha registrato l’affermazione di for- me diverse di protezione1. In particolare, il tema appare, in qualche

1 Sui ricorsi amministrativi si vedano A.P

AJNO, Amministrazione giustiziale, in

Enc. Giur. Treccani, Roma, 2000 p.1 e ss.; G.FERRARI, Ricorsi amministrativi, in

S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Diritto amministrativo spe-

ciale, Tomo V, Milano, 2003, p. 4147 ss.; M.GIOVANNINI, Amministrazione pubblica e

modo, risalente e datato perché sostanzialmente legato ad un assetto dell’amministrazione pubblica fondato sul principio di gerarchia, ormai largamente in crisi; lo stesso si risolve, poi, in una questione per molti versi superata, perché l’ampliamento della tutela giurisdizionale realiz- zatasi a partire dal 1971 con la creazione dei tribunali amministrativi regionali e con l’abolizione del c.d. presupposto della definitività del provvedimento ai fini dell’accesso al giudice amministrativo ha ormai reso, nella maggior parte dei casi, la tutela attraverso i rimedi ammini- strativi vera e propria res derelicta.

La crisi dei ricorsi amministrativi impugnatori è dinanzi agli occhi di tutti: già nel 1984 A.M. Sandulli, nel trattare gli strumenti dell’am- ministrazione contenziosa, avvertiva che questi riguardavano una forma di giustizia tanto insoddisfacente che ai suoi inconvenienti aveva dovu- to far fronte la legislazione sui Tribunali Amministrativi regionali2, e

che la configurazione dei rimedi amministrativi come presupposto per adire successivamente la via giurisdizionale si era rivelata, fino a quan- do era stata mantenuta nell’ordinamento, “più di intralcio che di sollie- vo per la protezione giuridica dei cittadini”3. Persino il ricorso straordi-

nario al Presidente della Repubblica, che è l’unico rimedio, fra quelli previsti dal d.P.R. n. 1199 del 1971, che ha mantenuto una certa vitalità e che, è stato negli ultimi tempi oggetto di significativi interventi legi- slativi e giurisprudenziali, sembra adesso entrato in crisi, a causa, pro- babilmente, dell’introduzione, con riferimento al medesimo, del paga- mento del contributo unificato.

Di fronte a tale situazione, occorrerebbe, peraltro chiedersi con fran- chezza quali siano state le ragioni – storiche, istituzionali, ma anche culturali – che nel tempo hanno condotto ad una sostanziale perdita di valore (e forse anche di senso) delle forme di tutela non giurisdizionale; occorrerebbe, in altre parole, chiedersi se, oltre a quelle legate a profili, riguardanti il funzionamento del sistema amministrativo sussistano ra- gioni, per dir così, “culturali”, che impediscano o, comunque rendano più difficile per la riflessione dei giuristi coniugare insieme esperienze giurisdizionali ed esperienze giustiziali, secondo una direzione che po-

2 A.M.S

ANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, II, Napoli, 1984, p. 1132.

3 A.M.S

trebbe, invece, risolversi in un incremento di efficienza e di tempestivi- tà ed, in ultima analisi, della qualità stessa della tutela assicurata al cit- tadino. Un quesito del genere appare, oggi, assai attuale: il dibattito sul- la tutela giurisdizionale non è infatti caratterizzato soltanto dalla tradi- zionale questione dell’accesso alla tutela, ma anche da quello dell’effi-

cienza di quest’ultima. Alla base di questo approccio c’è non soltanto il

noto rilievo che le vicende della tutela giurisdizionale hanno per il pro- cesso economico, ma la crescente consapevolezza che quest’ultima co- stituisce una vera e propria risorsa a disposizione della collettività, il cui uso deve essere “economico”, perseguibile cioè attraverso un ade- guato bilanciamento tra diritto delle parti agli strumenti processuali e concreta possibilità di esercizio della funzione da parte del giudice4.

L’uso “economico” della risorsa giurisdizionale, richiede, pertanto, che di essa si faccia un’utilizzazione mirata e sotto diversi profili orga- nizzata.

In un’ottica del genere, acquista pertanto un rilievo specifico il ri- corso a strumenti alternativi alla giurisdizione, volti a realizzare da una parte un accesso più semplice ed immediato alla tutela da parte degli interessati e dall’altra un uso mirato dell’accesso al giudice e della pro- tezione giudiziaria. Il ricorso a tali strumenti può, a volte, apparire pro- blematico a causa degli interessi corporativi legati alla giurisdizione, alla crisi di autorevolezza dell’amministrazione5; tuttavia si deve ritene-

re che il ricorso a veri strumenti alternativi alla giurisdizione con finali- tà deflattive sembra ormai una via quasi obbligata, dopo l’introduzione, con il d.lgs. n. 28 del 2010, delle disposizioni relative alla mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali che, non a caso, configurano (art. 5) il primo esperimento della media- zione come condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria. Riguar- data sotto questo profilo, l’introduzione della mediazione sembra obbe- dire non soltanto ad esigenze specifiche della giustizia civile, ma ad esi- genze dell’intero sistema giurisdizionale; e, del resto, l’impiego econo-

mico della risorsa giudiziaria appare idoneo a sorreggere non soltanto il

4 Cass., sez. un., ord. 6 settembre 2010n. 19501; A.P

AJNO, Giustizia amministrativa

e crisi economica, in Riv. it. dir. pubbl. comm., 2013, p. 972.

5 A.P

ricorso alla mediazione nel processo civile, ma anche quello a strumenti alternativi alla giurisdizione amministrativa6.

2. Ricorsi amministrativi ed esperienza europea

La necessità di interrogarsi sulle ragioni profonde che sembrano im- pedire un equo contemperamento tra tutela amministrativa e tutela giu- risdizionale risulta ulteriormente confermata dalla considerazione dell’esperienza europea. La situazione italiana sembra, infatti, in qual- che modo, collocarsi lungo una linea divergente rispetto a quella trac- ciata dalla Corte di Lussemburgo. Questa, infatti, ha da tempo adottato una nozione di “giurisdizione dello stato membro” non meramente for- male, ma di tipo sostanziale-funzionale, incentrata sullo svolgimento di un’attività di soluzione dei conflitti unitariamente considerata, posta in essere da parte di soggetti dell’ordinamento collocati in posizione di terzietà7.

Proprio tenendo conto di tale nozione di giurisdizione dello Stato membro, più di recente, con riferimento all’intervento del Consiglio di Stato in sede consultiva, la stessa Corte di giustizia ha affermato che questo ultimo, quando emette un parere in sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato, costituisce una giurisdizione ai sensi dell’art. 177 del Trattato8.

La nozione così delineata è, come è stato osservato9, più ampia di

quella di giurisdizione in senso stretto, dal momento che essa abbraccia ogni attività di decisione dei conflitti posta in essere da soggetti dell’ordinamento, a prescindere da quella che (secondo un modo di pensare tutto italiano) costituisce la “natura” dell’attività, amministrati- va o giurisdizionale. Un approccio del genere tende, pertanto, a consi- derare in modo unitario la tutela fornita dagli ordinamenti degli stati

6 A.P

AJNO, Giustizia amministrativa, cit., p. 973.

7 C. giust. CE 30 giugno 1996, Vossen/Goebbels.

8 C. giust. CE 2-69/946 Garofalo ed altri c/Min. Sanità ed USL n. 58 Palermo. 9 M.P

ROTTO, Giurisdizione nazionale ed effettività della tutela delle situazioni sog-

gettive di matrice comunitaria, in Urbanistica e appalti, 1998, p. 444. Si veda anche

membri dell’Unione, a prescindere dalla sua natura soggettivamente giurisdizionale10.

In coerenza con tale approccio, l’ordinamento europeo sembra pro- cedere ad una valorizzazione delle forme di tutela non giurisdizionale, poste in essere in via amministrativa o affidate ad organismi esterni specializzati. È stato di recente sottolineato11 che il sistema dei ricorsi

amministrativi (intesi secondo l’accezione italiana) è in rapida espan- sione, nell’ordinamento dell’Unione europea, registrandosi sia forme di ricorsi amministrativi “interni” allo stesso plesso amministrativo inte- ressato, come, ad esempio, quelli proposti dagli stessi dipendenti del- l’Unione o quelli concernenti la materia ambientale12, sia forme di ri-

medi esperiti dinanzi alla Commissione quale vertice amministrativo atipico del sistema europeo, sia, infine, rimedi rivolti ad organismi am- ministrativi indipendenti13. Come è stato osservato, con i diversi tipi di

ricorsi amministrativi, “si trattano oggi varie migliaia di casi, con deci- sioni che solo in piccola parte vengono poi impugnate davanti al Tri- bunale o al Tribunale della funzione pubblica”14. Ne deriva che nel-

l’Unione europea i rimedi amministrativi vanno assumendo un ruolo per molti versi simile a quella che la administrative justice ha nel si- stema britannico e che è ormai praticamente perduto nell’ordinamento italiano15.

L’ambito concettuale in cui si muovono queste esperienze è quello dei sistemi di risoluzione alternativa delle controversie (alternative dis-

pute resolutions), siano esse le procedure previste in materia di appalti

pubblici dalla direttiva n. 92/13 del 1992 (procedure che, peraltro, non hanno avuto fortuna in Italia), o, le c.d. procedure per “petizione”; si tratta, peraltro di procedure pensate per deflazionare il contenzioso pro- priamente giurisdizionale (in un’ottica coerente con la considerazione della giurisdizione come risorsa), sia per fornire protezione a situazioni

10 A.P

AINO, Amministrazione giustiziale, cit., p. 3.

11 M.C

HITI, La tutela giurisdizionale, in ID. (a cura di), Diritto amministrativo eu-

ropeo, Milano, 2013, p. 545.

12 M.C

HITI, op. cit., p. 545.

13 M.C

HITI, op. cit., p. 546.

14 M.C

HITI, op. cit., p. 546.

15 M.C

giuridiche che non sembrano possano ricevere tutela adeguata attraver- so la deduzione dei tradizionali vizi di legittimità degli atti amministra- tivi16.

Il punto di vista della giurisprudenza dell’Unione europea sui meto- di alternativi di risoluzione delle controversie è stato espresso dalla Corte di giustizia con la sentenza 18 marzo 2010, cause riunite 6317/08, C-318-08, C-319/09, C-320/08. Con tale pronuncia la Corte, chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla direttiva n.2002/22/CE, relativa al servizio universale ed ai diritti degli utenti in materia di reti e di ser- vizi di comunicazione elettronica (c.d. direttiva servizio universale) ha affermato che essa non osta a che una normativa nazionale di uno stato membro preveda che le controversie in materia di servizi di comunica- zione elettronica tra utenti finali e fornitori di servizi debbano formare oggetto di un tentativo obbligatorio di conciliazione extragiudiziale prima dell’accesso alla tutela giurisdizionale: i principi di equivalenza e di effettività della tutela giurisdizionale non ostano, infatti, ad una nor- mativa nazionale che impone per tali controversie il previo esperimento di procedure di conciliazione extragiudiziale, a condizione che tale mi- sura non conduca ad una decisione vincolante per le parti. Tali principi sono stati, peraltro richiamati dalla Corte costituzionale la quale, dopo aver ricordato che da essi non si desume un’opzione a favore del carat- tere obbligatorio dell’istituto della mediazione, ha tuttavia dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, c. 1 del d.l. n. 28 del 2015, che presenta una forma di mediazione obbligatoria finalizzata alla concilia- zione delle controversie civili e commerciali, per eccesso di delega, non potendosi desumere dall’art. 60 della legge di delegazione (l. 69 del 2009), che questa contenga una previsione di mediazione obbligatoria17.

16 M.C

HITI, op. cit., p. 548.

3. Una visione “antagonistica” dei rapporti fra amministrazioni e giu- risdizione

La situazione italiana che, pure, sembra talvolta conoscere, con rife- rimento agli strumenti alternativi della giurisdizione, esperienze virtuo- se come quella relativa all’arbitro bancario finanziario18 sembra pertan-

to muoversi secondo una direzione non del tutto convergente con quella fatta propria dall’Unione europea, almeno per quanto riguarda, in parti- colare, i ricorsi amministrativi. Alla base di tale situazione vi è, sen- z’altro, una crisi di tempestività dell’amministrazione, sostanzialmente incapace di rivedere le proprie decisioni a seguito dell’utilizzazione dei rimedi amministrativi; tuttavia tale elemento sembra, piuttosto che la causa, una sorta di epifenomeno delle difficoltà dell’utilizzazione nel- l’ordinamento nazionale di tali strumenti. Tale difficoltà, infatti, sembra trovare il proprio fondamento in un’opzione culturale radicata e sempre pronta a riemergere, destinata a rendere sempre non adeguato, se non addirittura non utile, il ricorso a forme di amministrazione giustiziale.

Questa permanente e risalente opzione culturale può essere identifi- cata in una visione, per dir così, antagonistica dei rapporti fra ammini- strazione e giurisdizione, frutto di una visione del principio di separa- zione dei poteri come contrapposizione dei poteri, ed in ultima analisi di una visione, anch’essa antagonistica, della giustizia “giudiziaria” e di quella “non giudiziaria”. Questo modo di pensare, conseguenza, a sua volta, di una sorta di preoccupazione “ontologica” o “fisicista” della giurisprudenza, tutta volta ad identificare elementi idonei a stabilire la

natura, giurisdizionale o non giurisdizionale, di ogni attività rilevante

per l’ordinamento, descrive così i due elementi presi in considerazione, l’amministrazione e la giurisdizione, la giustizia giudiziaria e quella non giudiziaria come realtà in qualche modo antagoniste, che si misu- rano una contro l’altra e non una accanto all’altra.

In un’ottica del genere, piuttosto che la sottolineatura della comune

finalità di giustizia, prevale una logica di distinzione che contiene in sé

una contrapposizione, e che proprio per tale ragione, può comporre il

18 Si veda G.C

ARRIERO, Giustizia senza giurisdizione: l’arbitro bancario finanzia-

conflitto solo con la sostanziale eliminazione di una di esse (e cioè di quella connessa alla giustizia non giudiziaria); eliminazione, questa che può, paradossalmente verificarsi anche con una sorta di cambiamento di natura, come è avvenuto, come meglio si vedrà più avanti, a proposito del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, dal momento che a tale rimedio è stata riconosciuta, alla fine di un lungo percorso normativo e giurisprudenziale, natura sostanzialmente giurisdizionale e non amministrativa.

4. Le esperienze di confine: il ricorso amministrativo e l’arbitrato

Che le cose stiano nei sensi sopra esposti, risulta d’altra parte con- fermato dalla considerazione di quelle che possono essere definite espe-

rienze di confine, nelle quali amministrazione e giurisdizione, giustizia

giurisdizionale e non giurisdizionale si incrociano e si toccano. In que- sti casi, uno degli elementi del dilemma è sempre costituito dalla giuri-

sdizione; a riprova del fatto che, alla base di un tal modo di pensare vi è

probabilmente, una speciale “cultura” (o ideologia) della giurisdizione che rende problematica l’adozione di soluzioni in qualche modo equili- brate.

Così avviene per i ricorsi amministrativi ed, in genere, per i rimedi giustiziali. Amministrazione e giustizia fanno sempre capo a poteri con- trapposti? Esiste un’attività amministrativa che, dovendo ispirarsi al principio di legalità, non si risolva anche nella realizzazione della giu- stizia nel caso concreto? La pubblica amministrazione non deve realiz- zare al proprio interno la giustizia, come l’art. 100 Cost. sembrerebbe lasciare intendere? La garanzia dell’indipendenza riguarda soltanto la giurisdizione19?

Si aprono, così problemi diversi ma fra di loro collegati, che nor- malmente vengono risolti, nel tentativo di porre fine al conflitto, o con la pratica irrilevanza dei ricorsi amministrativi o con la sostanziale as- similazione di questi ultimi ai rimedi giurisdizionali (e quindi con la

19 A.P

pratica eliminazione di forme di tutela alternativa), come è avvenuto per il ricorso straordinario al Capo dello Stato.

Che le cose vadano nel senso sopra esposto appare, d’altra parte, confermato proprio dalla considerazione di un’altra esperienza di con- fine, nella quale si tratta di comporre insieme mondi tradizionalmente rappresentati come strutturalmente diversi, se non, addirittura, come irriducibili l’uno all’altro. Si tratta dell’arbitrato, travagliato istituto, per dirla con Salvatore Satta, “oggetto di esaltazione romantica o teolo- gica ripulsa” che il legislatore del 1942 ha trasformato in un procedi- mento speciale e relegato in fondo al libro ad essi dedicato nel codice di rito civile20.

L’arbitrato ha natura privata o pubblica? È un’esperienza contrattua- le ovvero sostanzialmente giurisdizionale? I suoi effetti sono il prodotto dell’accordo o dell’autorità del giudice? Lo stesso arbitrato costituisce una misura sostitutiva ed in alcuni casi, alternativa alla giurisdizione, ovvero, come sembrerebbe ritenere Ludovico Mortara, una usurpazione della giurisdizione, intesa come prerogativa indefettibile di cui lo Stato moderno ha il monopolio21?

Deriva da qui la ricorrente querelle sulla natura dell’arbitrato ritua- le-negoziale e privata, ovvero pubblica e giurisdizionale: nonché sulla natura e sull’efficacia del lodo. Tale querelle – quasi a confermare il collegamento con la precomprensione del giudice – è sopravvissuta, sostanzialmente indenne, alla riforma dell’istituto, posta in essere con la legge n. 25 del 1994 e con il d.lgs. n. 4 del 2006. Si tratta di un esito reso evidente dalla stessa giurisprudenza della Cassazione. Questa, in- fatti, ha dapprima sovvertito l’orientamento tradizionale ed affermato espressamente la natura di atto di autonomia privata del lodo22 ed il suo

carattere non giurisdizionale, con la conseguente impossibilità che la questione riguardante la contestazione della capacità degli arbitri possa integrare una questione di giurisdizione, risolvendosi, essa in una que-

20 S.S

ATTA, Commentario al codice di procedura civile, Libro IV, Procedimenti

speciali, Milano, 1971, p. 162.

21 A.P

AJNO, Arbitrato nelle controversie amministrative, in Enc. Giur. Treccani,

2005, p. 1 ss.

stione di merito riguardante la validità del compromesso23; successiva-

mente, la stessa Corte affrontando nuovamente il problema della “natu- ra” dell’arbitrato, ha affermato che la normativa in parte introdotta con la legge n. 25 del 1994 ed in parte con il d.lgs. n. 4 del 2006 del 1994 sembra “contenere sufficienti indizi sistematici per riconoscere natura giurisdizionale al lodo arbitrale”24, risolvendo, così in senso positivo (e

configgente con l’indirizzo in precedenza seguito) la questione dell’am- missibilità del regolamento preventivo di giurisdizione in presenza di un’eccezione concernente l’esistenza fra le parti di un patto compro- missorio25.

L’indirizzo sopra indicato non sembra peraltro essere, almeno espli- citamente, condiviso dalla Corte costituzionale che, nel dichiarare l’il- legittimità costituzionale dell’art. 819 ter, secondo comma, c.p.c., nella parte in cui esclude nei rapporti tra arbitrato e processo l’applicabilità di regole corrispondenti all’art. 50 c.p.c., ha evitato di impegnarsi nell’af- fermazione della natura giurisdizionale del lodo arbitrale, osservando invece che se il legislatore, “nell’esercizio della propria discrezionalità, struttura l’ordinamento processuale in maniera tale da configurare l’ar- bitrato come una modalità di risoluzione delle controversie alternativa a quello giudiziale, è necessario che l’ordinamento giuridico preveda an- che misure idonee ad evitare che tale scelta abbia ricadute negative per i diritti oggetto delle controversie stesse”26.

Per gli istituti che, come il ricorso amministrativo e l’arbitrato sem- brano porsi alla confluenza di esperienze diverse (amministrazione-giu- risdizione, autonomia privata-tutela giurisdizionale) non sembra pertan- to esservi pace. Un esito del genere appare, peraltro, tanto più grave ove si consideri che esso si colloca, su di un piano più generale, in un con- testo culturale ed istituzionale che, da una parte, conosce da tempo la crisi delle coordinate sovranità territorio-giurisdizionale ed in ultima

23 Cass., sez. un., 3 agosto 2000 n. 527. 24 Cass., sez. un., ord. 25 ottobre 2013 n. 24153. 25 C.P

UNZI, Dalla crisi del monopolio statale della giurisdizione al superamento

dell’alternativa contrattualità-giurisdizionalità dell’arbitrato, in Riv. Dir. proc., 2014,

1 ss.

analisi, del monopolio statale della giurisdizione27 e dall’altro pone gli

interpreti di fronte a vere e proprie trasformazioni della giurisdizione, che si diversifica ormai in una pluralità di modelli (giudiziari, paragiu- diziari, arbitrali) che sembrano disporsi non più secondo una struttura gerarchica, bensì in una sorta di rete con continui rimandi da una giuri- sdizione all’altra28. Non a caso è stato in proposito segnalato che il clas-

sico modello della giurisdizione si scompone ormai in un complesso di fattispecie ai cui estremi si possono collocare, da una parte, la giurisdi- zione e, dall’altra, l’arbitrato privato e le istituzioni quasi giudiziarie29;