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3. L’approccio pluralista e lo standard unico europeo

3.1. I Rights as Values

Come si è anticipato, tale impostazione mira a contestare l’approccio massimalista dal momento che la tecnica del livello di protezione in termini comparativi e quantitativi sarebbe, infatti, impraticabile e mal posta.

Procedendo per gradi, bisogna chiarire prioritariamente che l’assunto alla base di tale ricostruzione è che «the very nature of the European Union is that of a pluralistic, tolerant, multiple, ‘contra-punctual’ legal order, where a plurality of voices tends to harmonisation»41.

Il sistema ordinamentale europeo, dunque, è caratterizzato da una pluralità di voci, di ordinamenti giuridici e di ascendenze culturali, come dimostrato d’altro canto dal suo motto: “unità nella diversità”42.

Fissare uno standard uniforme nel campo dei diritti fondamentali vorrebbe dire frustrare la varietà di tradizioni costituzionali nazionali e – in ultima analisi – tradire la stessa natura dell’Unione, ontologicamente caratterizzata dal pluralismo.

Per questo, l’avvento della Carta può essere si visto quale segnale positivo volto alla promozione del ruolo della Corte di giustizia nel campo della tutela dei

2001; ID., Diritti umani, Costituzionalismo ed integrazione: iconografia e feticismo, in Quaderni costituzionali, 3, settembre 2002, pp. 521-536.

41 CARTABIA M., European and Rights: taking dialogue seriously, in European Constitutional Law Review, 5, 2009, p. 21.

42 Cfr. https://europa.eu/european-union/about-eu/symbols/motto_it sulla scelta dicotomica v.

M.CARTABIA, “Unità nella diversità”: il rapporto tra la Costituzione europea e le Costituzioni nazionali, in G.

MORBIDELLI- F. DONATI (a cura di), Una Costituzione per l’Unione europea, Giappichelli, Torino, 2006, p. 195 ss.

diritti fondamentali ma anche quale rischio di centralizzazione in capo ad un solo organo delle tutele e conseguentemente di omogeneizzazione delle stesse43. Questo rappresenta un serio pericolo per la natura pluralistica del substrato costituzionale europeo44 che rischia di incidere su quello che è stato individuato quale “contrapunctual element”45 dell’equilibrio costituzionale sovranazionale.

Seppure la visione classica sia solita concepire «l’impegno per i diritti umani come un ideale unificante e “universale”, come uno dei valori essenziali intorno ai quali il popolo dell’Europa può coagularsi in un patrimonio condiviso»46, è pur vero che positivizzando le tutele in una Carta dei diritti e redigendo un elenco potenzialmente tassativo degli stessi si rischia di minare «una delle caratteristiche veramente originali dell’architettura costituzionale pre-Carta nel campo dei diritti umani – la capacità di usare il sistema legale di ciascuno Stato membro come laboratorio organico e vivente nella protezione dei diritti umani che poi, caso per caso, possono essere adattati per le necessità dell’Unione dalla Corte europea in dialogo con le sue controparti nazionali»47.

Per quanto non sia automatico che la Carta produca tale effetto vi è anche il rischio di inibire il dialogo tra le Corti e portare la Corte di giustizia ad avere un atteggiamento autoreferenziale e non aperto come si auspicherebbe.

Oltre un certo nucleo, che si riflette in Europa nei diritti riconosciuti nella CEDU e garantiti dalla Corte di Strasburgo; infatti, la definizione dei diritti umani fondamentali spesso differisce nelle distinte realtà nazionali dal momento che quei diritti sono espressione, secondo l’impostazione weileriana, di scelte sociali fondamentali e costituiscono una parte importante nelle diverse identità dei

43 CARTABIA M., European and Rights: taking dialogue seriously, in European Constitutional Law Review, 5, 2009, pp. 6-7.

44 Parla di “cultura costituzionale” A.SPADARO, La «cultura costituzionale» sottesa alla Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Fra modelli di riferimento e innovazioni giuridiche, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2, 2016, pp. 297-340.

45 Per come inteso da POIARES MADURO M., Contrapunctual Law: Europe’s Constitutional Pluralism in Action, in N.WALKER (a cura di), Sovereignty in Transition, Hart Publishing, Oxford 2003, p. 501 ss.

Sul punto v. anche, con riferimento al MAE, J. KOMAREK, European Constitutionalism and the European Arrest Warrant: In Search of Limits of “Contrapunctual Principles”, in Common Market Law Review, 44, 2007, pp. 9-40.

46 Riporta questa visione J.H.H.WEILER, Diritti umani, Costituzionalismo ed integrazione: iconografia e feticismo, in Quaderni costituzionali, 3, settembre 2002, p. 530.

47 J.H.H.WEILER, ult. cit., p. 528.

sistemi politici e delle società48. Di qui il necessario fondamento della nozione di diritti umani come valori sociali49, ovvero del concetto di “rights-as-values”.

Secondo l’A., poi, oltre ai diritti fondamentali, nei sistemi federali in generale e in quello europeo per le sue peculiarità in particolare, assumono grande rilievo anche le cc.dd. frontiere fondamentali (fundamental boundaries) che sono la metafora degli “enumerated powers” e che hanno lo scopo di garantire che in certi settori le comunità (intesa come potere pubblico) sia libera di compiere le proprie scelte sociali senza interferenze dall’alto.

In altre parole, se i diritti fondamentali ineriscono all’autonomia e l’autodeterminazione del singolo, le frontiere fondamentali salvaguardano l’autonomia e l’autodeterminazione degli Stati membri. Allo stesso tempo, poi, le frontiere fondamentali costituiscono e quindi assicurano differenti livelli di potere.

Senonché vi sono casi in cui i diritti fondamentali e le frontiere fondamentali risultano in contrasto all’interno dell’architettura costituzionale europea. Infatti, al di là di un nucleo duro che dà espressione ai diritti ritenuti universali perché trascendenti da ogni legittima differenza culturale o politica tra le diverse società nel contesto europeo, vi sono differenze che vengono in rilievo e non possono essere soppresse.

La CEDU – come si diceva – si fonda su questa premessa, rappresentando e tutelando i diritti nel loro nucleo essenziale e comune di tutti gli Stati europei mentre lo stesso non vale per la Carta e per la realtà europea strettamente intesa.

Ebbene, proprio tale differenza mette in crisi il tradizionale “valore unificante” attribuito ai diritti umani, richiedendo una ulteriore analisi del problema nel contesto dell’integrazione europea50. Le differenze tra i livelli di protezione, in altre parole, sono «quasi sempre l’espressione di un compromesso tra beni sociali in competizione tra loro all’interno della comunità politica di riferimento»51. Allora è tale contemperamento ad essere fondamentale in quanto manifestazione del nucleo duro dei valori, delle scelte fondamentali di una società.

48 Cfr. J.H.H.WEILER, Fundamental rights and fundamental boundaries: on the conflict of standard and values in the protection of human rights in the European legal space, cit., p. 102.

49 J.H.H.WEILER, Fundamental rights and fundamental boundaries: on the conflict of standard and values in the protection of human rights in the European legal space, cit., in partic. pp. 102-105.

50 J.H.H.WEILER, Diritti umani, Costituzionalismo ed integrazione: iconografia e feticismo, cit., p. 530.

51 Loc. ult. cit., p. 534.

Le frontiere fondamentali si pongono quale limite ai diritti fondamentali, nel senso che i diritti – oltre il nucleo duro – diventano espressione del tipo di scelta fondamentale differenziata della quale le frontiere fondamentali sono estrinsecazione. In ultima analisi, «l’imposizione ad una società della tutela di un diritto fondamentale al di là del nucleo duro condiviso equivale, probabilmente, a forzare le sue frontiere fondamentali»52.

Il potenziale conflitto di valori emerge, poi, in risposta al quesito su quale standard di protezione debba essere adottato dalla Corte di giustizia. Volendo applicare l’approccio massimalista, pocanzi esaminato, si dovrebbe adottare de plano lo standard più alto. Questa soluzione avrebbe senz’altro il merito di promuovere una “corsa verso l’altro” nella tutela dei diritti fondamentali e, allo stesso tempo, potrebbe soddisfare lo Stato del quale venisse adottato lo standard (che non sarebbe disposto altrimenti ad accettare una tutela inferiore) e contemporaneamente non sacrificherebbe le ragioni degli altri Stati, chiamati pur sempre ad applicare una misura europea. Le loro normative, d’altra parte, non verrebbero toccate e la Corte di giustizia potrebbe sempre adottare altri standard statali in situazioni diverse.

L’approccio massimalista, però, non può funzionare in una società – come quella europea – che è l’espressione di un pluralismo giuridico e valoriale. Infatti se la Corte dovesse adottare in ogni caso il più alto livello allora dovrebbe seguire il livello assicurato, ad esempio, da un singolo Stato membro ed estendere tali tutele nazionali all’intera Unione, anche quando tali livelli di garanzia siano del tutto inadatti per l’Unione nel suo complesso.

Il problema risiede proprio nel sistema di quantificazione delle tutele e nella classificazione delle stesse secondo la scala “maggiore/minore”,

“migliore/peggiore” utilizzata in questo quadro ricostruttivo. Al contrario i diritti fondamentali sono espressione di un equilibrio fondamentale tra diritti della persona e dei diritti delle pubbliche autorità. L’interesse pubblico, generalmente, ha un più basso livello di protezione e dunque dovrebbe sempre risultare soccombente davanti a diritti dei singoli. Ecco che così «the fallacy rests in the

52 Loc. ult. cit., p. 535.

unstated assumption that “higher” standard are always desirable»53. Non si può adottare per l’Unione un insieme di valori fondamentali di un determinato Stato membro dal momento che l’Unione si compone di diversi Stati e persone e i suoi valori di base dovrebbero essere espressione di quella mescolanza di componenti.

Privilegiare i valori fondamentali di uno Stato membro mortificherebbe questa natura composita.

Inoltre, l’applicazione pedissequa dell’approccio massimalista potrebbe portare alla netta prevalenza dei diritti del singolo a scapito dell’interesse pubblico, costantemente ritenuto recessivo rispetto alla “miglior tutela” dell’individuo. Tutti gli Stati membri, infatti, tendono a raggiungere un equilibrio tra i diversi diritti e interessi, cercando di privilegiare in parte – e a seconda delle esigenze - il singolo e in parte la posizione pubblica e l’interesse generale. Se la Corte dovesse adottare un approccio massimalista questo porterebbe ad una progressiva erosione dell’area di tutela dell’interesse pubblico e generale.

Come si è detto l’approccio massimalista verso i diritti dei singoli sarebbe inversamente proporzionale alla “massima tutela” per la collettività traducendosi, in ultima battuta, «in a minimalist approach to Community government»54.

Secondo l’approccio pluralista, invece, va evitata qualsiasi quantificazione dei diritti, ovvero qualsiasi tentativo di tipo matematico-statistico dal momento che solo la Corte di giustizia europea è in grado di procedere alla determinazione in merito alla compatibilità di un atto comunitario con i diritti fondamentali e solo la Corte, data la sua posizione, è in grado di valutare la rispondenza dell’azione europea ad un interesse generale e il rispetto della proporzionalità sancita all’art. 5 TUE.

53 V. J.H.H.WEILER, Fundamental rights and fundamental boundaries: on the conflict of standard and values in the protection of human rights in the European legal space, cit., p. 112.

54 J.H.H.WEILER, Fundamental rights and fundamental boundaries: on the conflict of standard and values in the protection of human rights in the European legal space, cit., p. 112. Secondo R.ALONSO GARCIA, ult. cit., p.

22 invece «il discorso dei diritti fondamentali è, essenzialmente, un discorso di esigenze dell’individuo di fronte al potere pubblico (…) nel contesto del quale dovrà essere considerato come sistema di maggiore protezione quello che soddisfa di più le esigenze dell’individuo rispetto a quelle del potere pubblico». Poi continua, «nel contesto dei conflitti suscettibili di essere indirizzati nella loro essenza all’opposizione tra individuo e il potere pubblico dovrebbe essere pro individuo e tradursi in una concreta applicazione dello standard nazionale di fronte al diritto dell’unione se effettivamente più favorevole all’individuo e viceversa in un’applicazione dello standard europeo davanti al diritto nazionale, nella misura in cui questo entri nel raggio di azione di quello E anche sulla base di una maggiore protezione dell’individuo E non del principio del primato del diritto dell’unione» (pp. 28-29).

Inoltre, le Carte a cui il giudice europeo deve fare riferimento sono caratterizzare da una tipologia di disposizioni cc.dd. a maglie larghe. Questo permette e carica le Corti, in ciascuno di questi sistemi, del compito di tradurre il

“linguaggio blando” espressione della scelta della società in un equilibrio fondamentale tra individuo e collettività. È chiaro che, attraverso questa operazione, il giudice da espressione all’ethos costituzionale delle carte e del sistema politico tutto55.

Ebbene questa operazione risulta tanto importante quanto delicata e permettere alla Corte di giustizia di farlo a scapito delle ponderazioni svolte dai giudici nazionali potrebbe dimostrarsi un duro colpo al pluralismo.

Per questo la Corte di giustizia dovrebbe cercare di dare espressione un ethos costituzionale che derivi e che sia espressione dei testi delle costituzioni di tutti gli Stati membri e in questo il riferimento alle tradizioni costituzionali comuni – contenuto nell’art. 6, par. 2 TUE – può costituire un buon ancoraggio.

L’Unione, infatti, costituisce un ordine politico e giuridico diverso da quello dei suoi Stati membri e, per questo, l’interesse generale dell’Unione dovrebbe riflettere tanto le costituzioni degli Stati membri quanto i trattati istitutivi dell’Unione stessa. L’Unione, in altre parole, è un sistema politico con una propria identità separata e con una sensibilità costituzionale in grado di definire i propri equilibri fondamentali e i propri valori fondamentali, anche se questi non possono dissociarsi completamente dalla natura sui generis dell’Unione che si compone di diverse identità nazionali.

L’apparato di tutele apprestato dall’Unione, infatti, non è sostitutivo di quelle nazionali o di quelle internazionali ma, nell’ambito di applicazione del diritto europeo, coesiste e si sovrappone parzialmente negli ambiti non completamente rimessi alla disciplina europea. In ultima analisi, secondo tale impostazione, la Corte di giustizia è in grado di esprimere uno standard autonomo

55 Sottolinea il rischio connesso all’adesione all’ethos dei principi ZANON N., Pluralismo dei valori e unità del diritto: una riflessione, in Quaderni costituzionali, XXXV, 4, dicembre 2015, p. 921 il quale afferma che tale adesione viene presentata come se fosse una “condivisione” ma che, come tale,

«essa diventa immediatamente relativizzabile e quantificabile, e ciò rischia di annullare lo specifico della normatività, che appartiene invece sia alle regole che ai principi, e che consiste in ultima analisi nella obbligatorietà».

europeo, non derivante dalla giurisprudenza delle corti nazionali ma esplicitazione dell’ethos costituzionale europeo56.

Secondo Weiler, infatti, ritenere che l’Unione possa tratte uno standard uniforme dalle tradizioni costituzionali comuni «is operating on a heuristic assumption of constitutional commonality in Europe which is simply unfounded»57.

L’unico modo per far funzionare tale standard unico e uniforme sarebbe quello di considerare le tradizioni comuni ad un livello talmente generico da divenire quasi privo di senso.

Per questo è auspicabile che sia il giudice europeo a stabilire un autonomo standard per l’Unione europea, in modo di tenere in conto i suoi (propri) interessi e di esprimere il ethos costituzionale. L’ethos dell’Unione dovrebbe costituirsi dell’interazione tra le Costituzioni nazionali e i trattati fondativi dell’Unione e lo standard autonomo potrebbe costruirsi a misura di natura ed esigenze dell’ordine giuridico e politico europeo.

L’individuazione di tale standard sarebbe una prerogativa esclusiva del giudice europeo e non dei giudici nazionali che non sarebbero nella posizione di individuarlo dal momento che la loro attenzione è inevitabilmente rivolta agli interessi del paese di appartenenza, piuttosto che all’Unione europea nel suo complesso.

Tale standard autonomo europeo, si badi, sarebbe valido solo nei confronti del diritto europeo con efficacia diretta e nei confronti del diritto interno attuativo ma solo per le ipotesi in cui lo Stato non abbia alcuna discrezionalità. Nel caso diverso in cui lo Stato abbia un margine di manovra

56 Cfr. J.H.H.WEILER, Fundamental rights and fundamental boundaries: on the conflict of standard and values in the protection of human rights in the European legal space, cit., p. 116-117 il quale la Corte di giustizia

«should try and give expression the a constitutional ethos which derives from its controlling texts not the constitution of one Member State but all of them. Just as in the geographical-political sense, the community constitutes a polity different from its Member State with a general interest which should reflect the various Member State constitutions». Cfr. anche J.H.HWEILER., Towards a Second and Third Generation of Protection, in A.CASSESE,A.CLAPHAM, AND J.WEILER (a cura di), Human Rights and the European Community: Methods of Protection, Nomos, Baden-Baden 1991, p. 568-569.

57 J.H.H.WEILER, Eurocracy and Distrust: Some Questions Concerning the Role of the European Court of Justice in the Protection of Fundamental Human Rights Within the Legal Order of the European Communities, in Washington Law Review, 61, 1986, p.1128.

nell’attuazione del diritto europeo, invece, anche il suo standard “locale” potrà essere preso in considerazione e prevalere.

3.2. Il ruolo dei diritti fondamentali e la proposizione di tre standard