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Arrivati a questo punto si potrebbe forse sostenere che, al momento, non esistono ricostruzioni ermeneutiche in grado di dare una completa ed esaustiva spiegazione alla funzione e alla (potenziale) portata dell’art. 53 della Carta e, più in generale, che la massimizzazione dei diritti sia un canone estraneo al contesto costituzionale europeo e non adatto a trovare una sua operatività nella protezione dei diritti fondamentali tra i diversi livelli di tutela. Questo perché, come si è visto, qualsiasi posizione – per quanto argomentata – risente di presupposti controversi o implica conseguenze parzialmente contraddittorie e, in ultima analisi, non del tutto aderenti alle variegate ipotesi casistiche a cui il giudice europeo e quello nazionale devono dare risposta.

Prima di arrivare a tale estrema conclusione, però, è forse il caso di porre in luce alcuni punti fermi che sono emersi dall’analisi compiuta e che si ritiene possano costituire le basi per una rimeditazione del canone della massimizzazione.

Tali concetti, peraltro, possono aiutare a comporre le diverse interpretazioni finora fornite dalla dottrina e contribuire all’individuazione di un ruolo – seppur residuale – dell’art. 53 CDFUE che, al di là di enfatiche prospettazioni accademiche, ha avuto una rilevanza del tutto marginale nella giurisprudenza della Corte di giustizia e che invece potrebbe aiutare in un’opera di rilegittimazione di quest’ultima.

Sono rintracciabili, prima di tutto, delle caratteristiche proprie del sistema di tutele europeo e dell’ordinamento dell’Unione in quanto tale. Tali specifiche hanno comportato l’inevitabile non estendibilità al sistema europeo di soluzioni

GUASTAFERRO, Legalità sovranazionale e legalità costituzionale. Tensioni costitutive e giunture ordinamentali, Giappichelli, Torino 2013.

interpretative e di strumenti di salvaguardia appartenenti alla dinamica internazionale, da un lato, e nazionale, dall’altro.

Pluralità di fonti e pluralismo costituzionale sono, infatti, elementi ricorrenti che inevitabilmente si avvicendano nella realtà ordinamentale europea e con i quali è necessario fare i conti per addivenire ad ipotesi ricostruttive che si adattino al contesto europeo.

Con il primo termine – pluralità – si intende fare riferimento alla circostanza per la quale la dimensione europea si caratterizza per una molteplicità di fonti a garanzia dei diritti fondamentali e di organi chiamati a vigilare sul loro rispetto. Secondo alcuni, tale ricchezza di testi normativi sarebbe garanzia di una migliore tutela dei diritti dal momento che, nell’ordinamento multilivello, ciascuna delle Corti che vi opera può migliorare l’operato delle altre, assicurando standard di protezione dei diritti volta a volta “più elevati”12 e potendo attingere ad un vasto panorama normativo. La proliferazione delle Carte (e delle Corti), però, rende inevitabilmente più difficile conciliare le diverse fonti, «l’accumulo di cataloghi e di protezioni», infatti, non sempre assicura una tutela dei diritti fondamentali più certa13. Vi sarebbe tanto un problema di certezza giuridica quanto un indebolimento della protezione concreta del diritto. A ciò si aggiunga, da ultimo, il rischio di una disomogeneità applicativa all’interno dei singoli Stati.

Questo ci conduce al secondo elemento indefettibile emerso dall’analisi della tutela dei diritti nell’ordinamento integrato europeo: il pluralismo costituzionale. L’Unione è nata e cresciuta in uno scenario composito, seppur legato da valori di fondo condivisi espressi oggi dall’art. 2 TUE14. L’ordinamento giuridico europeo, infatti, è basato su valori che nascono dalle identità dei singoli Stati membri e si compongono diversamente a seconda dei campi e del grado di armonizzazione delle normative. La realtà ordinamentale si è modellata attraverso

12 La pensa così, tra gli altri, S. P. PANUNZIO, I diritti fondamentali e le Corti in Europa, in S. P.

PANUNZIO (a cura di), I diritti fondamentali e le Corti in Europa, Jovene, Napoli 2005, pp. 76 ss.

13 Così FAVOREU L., I garanti dei diritti fondamentali europei, in G.ZAGREBELSKY (a cura di), Diritti e Costituzione nell’Unione europea, Laterza, Roma 2004, p. 254 s.

14 Art. 2 TUE «L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini».

la mutua alimentazione ad opera di culture, etiche e tradizioni giuridiche differenti15.

Primo interprete di tale pluralità di fonti e traduttore del pluralismo ordinamentale è il giudice e, più in particolare, il giudice costituzionale latamente inteso (in un’accezione che ricomprenda, quindi, tanto le Corti costituzionali nazionali quanto la Corte di giustizia)16. L’affidamento alla giurisdizione di tale ruolo cruciale è in parte criticabile ma, come si è giustamente sostenuto, «servono a poco le perorazioni che ammoniscono a non affidare alla sola giurisdizione la responsabilità di fornire prestazioni di unità rispetto al riconosciuto pluralismo dei valori. (…) Nonostante gli auspici, accade ugualmente che tale responsabilità si trovi in molti casi, di fatto, attribuita alla sola giurisdizione»17. Lo si desideri o meno, dunque, la Corte di giustizia e le Corti costituzionali rivestono un ruolo

15 L’idea che qui si vuole accogliere di diritto europeo è quella elaborata da A. VON BOGDANDY, Le droit européen contemporain: Une notion revisitée et non-prédominante avec une nouvelle mission pour le droit comparé, in G.BANDI P.DARAK K.DEBISSO (a cura di), Speeches and Presentations from the XXVII FIDE Congress, Wolters Kluwer, Budapest 2016, pp. 129 ss. secondo il quale bisogna cercare una definizione che racchiuda «l’étonnante diversité des ordres juridiques nationaux – Etats forts et Etats moins forts, diversité des structures administratives découlant des traditions anglaise, française, ottomane ou encore postcoloniales, Etats unitaires et Etats fédéraux, diversité du contrôle judiciaire ainsi que de l’enseignement universitaire. S’il est convenablement interprété comme reflétant, structurant et guidant la communication juridique à l’intérieur de l’espace juridique européen, le droit européen confirmera et structurera les liens complexes de l’unité européenne» (p.133-134).

16 Contrario alla riconduzione della Corte di giustizia tra le Corti costituzionali, L.FAVOREU, I garanti dei diritti fondamentali europei, in G.ZAGREBELSKY (a cura di), Diritti e Costituzione nell’Unione europea, Laterza, San Donato Milanese 2003, p. 252 s. il quale sostiene che il giudice europeo non abbia né la struttura né la composizione di una Corte costituzionale. A sostengo di tale posizione di chiusura, sottolinea come «i giudici non veng[a]no (…) reclutati come nel caso delle Corti costituzionali, ma sulla base di mandati brevi e rinnovabili, quindi a disposizione degli Stati membri» e che «non sono scelti secondo i criteri adottati per la scelta dei componenti delle Corti costituzionali, ovvero a seguito dell’intervento di formazioni politiche dotate di specifiche sensibilità». Questo non garantirebbe all’organo giurisdizionale europeo quella “sensibilità particolare” necessaria per applicare i diritti fondamentali.

17 Così ZANON N., Pluralismo dei valori e unità del diritto: una riflessione, in Quaderni costituzionali, XXXV, 4, dicembre 2015, p. 927. Molto netto sulla questione M.LUCIANI,Il brusco risveglio. I controlimiti e la fine mancata della storia costituzionale, in A. BERNARDI (a cura di), I controlimiti: primato delle norme europee e difesa dei principi costituzionali: Atti del Convegno del Dottorato di ricerca «Diritto dell’Unione europea e ordinamenti nazionali» del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Ferrara.

Ferrara, 7-8 aprile 2016, Jovene, Napoli, 2017, p. 75: «L’ipotesi che un problema politico di primaria importanza come quello che è posto dalla difettosa integrazione raggiunta in Europa possa essere risolto dal «dialogo fra le Corti» è ingenua (ha ragione chi ritiene che quel che viene comunemente chiamato «dialogo» sovente non sia altro che una reciproca actio finium regundorum fra le varie Corti) se non preoccupante (quando ai giudici si chiedono mediazioni sostanzialmente politiche o – come di recente si è fatto – s’immagina ch’essi possano addirittura

«strutturare » o «conformare» un ordine costituzionale non si fa un favore ai giudici e non si fa un favore alla democrazia)».

tanto importante quanto delicato nel lavoro di sintesi della molteplicità di Carte e nel pluralismo ordinamentale. La consapevolezza del mutato ruolo dei soggetti chiamati ad occuparsi della tutela dei diritti, però, non vuole arrestarsi alla mera constatazione del dato fattuale.

Si è altresì consapevoli, infatti, dei rischi connessi alla «sovraesposizione del giudice su terreni che non gli dovrebbero appartenere» e al conseguente

«addebito [al governo dei giudici] di responsabilità nell’alimentare i conflitti tra culture e valori»18. Per questo si ritiene che l’individuazione di strumenti volti ad ancorare i provvedimenti giudiziari a standard argomentativi predeterminati possa limitare le deviazioni discrezionali che l’operato della giurisprudenza inevitabilmente può avere.

La formalizzazione di un canone argomentativo avrebbe, infatti, il merito di assicurare una maggiore coerenza delle decisioni che «favorendo una motivazione ordinata e persuasiva»19 ne garantirebbe l’intellegibilità da parte di tutti gli operatori del diritto (primi fra tutti gli altri giudici costituzionali e non) e dunque potrebbe promuoverne una circolazione delle stesse nei diversi sistemi.

Inoltre, un dato affatto secondario, lo standard potrebbe incidere anche sul piano della legittimazione della Corte, «spesso sospetta di travalicare i confini delle scelte giurisdizionali per sconfinare nell’ambito del merito politico»20.

18 V. ZANON N., Pluralismo dei valori e unità del diritto: una riflessione, cit., p. 927. L’A., quale soluzione a tale problema auspica un recupero della «deontologia e un lessico minimali, ispirati al self-restraint, alla judicial modesty». L’A. propone anche una rivalutazione dell’interpretazione meramente testuale degli atti normativi che, «sarà certo considerabile primitiva ma il tenore letterale del testo resta limite e confine di ogni interpretazione pretesamente “conforme”» e conclude «un certo grado di “testualismo” formalista assicura, in fondo, che il governo sia governo delle leggi e non degli uomini». Contra G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, cit., p. 202 il quale afferma che il richiamo alla lettera della legge per preservarne la certezza sia da considerare

«particolarmente naif (…). Infatti, a chi osservasse che un atteggiamento interpretativo dei testi più rigoroso potrebbe porre un argine alla frammentazione della giurisprudenza si potrebbe opporre che nemmeno quello che appare il più sicuro e incontestabile dei criteri dell’interpretazione, quello letterale (…) riuscirebbe a tanto. In presenza di diversi contesti di senso e valore, nemmeno la lettera è una certezza». Sull’argomento si v. anche SCALIA A., A matter of interpretation, Federal Courts and the Laws, Princeton University Press, Princeton 1997, p. 25 ss.

19 M.CARTABIA, I principi di proporzionalità e ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale italiana, Roma, Palazzo della Consulta 24-26 ottobre 2013 Conferenza trilaterale delle Corte costituzionali italiana, portoghese e spagnola, Studi della Corte, 2013, p. 7.

20 Ibid.