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Ideale e normale

Nel documento Volti artificiali / Artificial Faces (pagine 102-108)

Rappresentazione ed espressione: note storico-critiche sull’estetica del volto digitale

3. Ideale e normale

L’alternativa logica tra i due paradigmi presi in considerazione, così come il complesso e variegato equilibrio tra le nozioni di “normale” e di “ide- ale”, si riflette pienamente nella storia delle idee estetiche lungo l’intero corso della modernità. In questa seconda parte vorremmo mostrare in che modo il modello teorico proposto si applica pienamente alla storia culturale del volto, e per farlo prenderemo in considerazione due esempi concreti di applicazione dei due paradigmi appena analizzati.

L’obiettivo, in particolare, sarà mostrare in che modo il passaggio dal normale “canonico” al normale “statistico”, e dunque il conseguente riav- vicinamento tra rappresentazione ed espressione, si rifletta nell’evoluzio- ne dei paradigmi estetici in campo artistico.

3.1. L’ideale come norma: il paradigma rappresentazionalista della bellezza e il suo superamento

Il pensiero estetico rinascimentale ha sviluppato un complesso dibattito relativo alla bellezza del volto femminile. Come vedremo, questo dibattito aderisce almeno in prima battuta al modello rappresentazionalista della normatività: per il pensiero rinascimentale il bel volto è quello che si confà a un criterio dato, ovvero a un modello ideale. Al tempo stesso, tuttavia, il dibattito relativo alla bellezza del volto ha proposto una certa varietà di criteri estetici, molti dei quali si ritroveranno pressoché immutati nella discussione della computer vision e delle tecnologie digitali di valutazione estetica dei volti, e che in alcuni casi eccedono i confini del paradigma rappresentazionalista.

Oltre all’opera celebre di Giorgio Vasari (1550), i principali punti di ri- ferimento per l’analisi della bellezza femminile sono i trattati di Agnolo Firenzuola (Delle bellezze delle donne, 1548) e di Federigo Luigini (Libro della bella donna, 1554). In queste opere, che si concentrano per lo più sulla pit- tura (e in particolare sulla ritrattistica), sono compresenti diversi modelli di bellezza, che sarà utile analizzare brevemente.

Il primo, e più diffuso, rivela la forte ascendenza platonica della cul- tura rinascimentale italiana. La bellezza femminile consiste innanzitutto nell’adesione a un criterio “spirituale”, quasi-geometrico, che si rispecchia nella proporzione e nella simmetria. Il bel volto consiste dunque in un

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certo rapporto simmetrico tra le sue parti, rapporto capace di evocare la perfezione del soprasensibile. Si tratta di un criterio formale, che consente di “modellizzare” la bellezza senza fare necessariamente riferimento ad alcun volto individuale (Firenzuola 2013, p. 697).

Il secondo metodo usato per descrivere la bellezza, particolarmente caro al Firenzuola, consiste nel descrivere con precisione ogni singola par- te del corpo, al fine di dire qual è la sua configurazione esteticamente mi- gliore: il miglior colore degli occhi e dei capelli, la forma del piede e così via. Al contrario del primo caso, si tratta di un criterio “materiale” e non formale, e che tuttavia rimanda ancora esplicitamente a un “modello” che va imitato e riprodotto.

Il terzo metodo è più complesso, e si inscrive nella progressiva gene- razione di una vera e propria “grammatica delle immagini” nella cultura visuale moderna. La bellezza femminile va rappresentata attraverso il ri- corso a un sistema di simboli, oggetti e pose, riferimenti ed espressioni che codificano il corpo — e il volto — all’interno di un sistema semantico. Anche qui, il riferimento è essenzialmente platonico: la bellezza non è pura sensibilità materiale, ma rimanda a una serie di virtù (la castità, la dolcezza, il decoro) che la significano e la rafforzano.

Infine, diversi studi (Rogers 1988; Cropper 1976; Cheney 1998) sotto- lineano che nelle descrizioni rinascimentali della bellezza femminile si fa spesso riferimento a delle qualità più eteree, meno direttamente definibili sulla base di uno schema preciso. La leggiadria, la gentilezza e la grazia sono gli esempi più diffusi di tali qualità. Ciò che ci interessa, in questo caso, è che la trattazione di questo aspetto della bellezza femminile sembra so- spesa tra due posizioni diverse. Nel primo caso, queste qualità ampiamen- te astratte sono affidate a dei dettagli — l’espressione del volto, l’atteggia- mento delle membra, l’armonia della composizione. Facendo così, questo quarto modello viene interamente riassorbito nei primi tre, e continua a obbedire pienamente alla logica rappresentazionalista.

Tuttavia, è stato notato che talvolta queste qualità sono associate a qualcosa di diverso, una “inesprimibilità”, un non so che impossibile da de- scrivere (Cropper 1976, p. 380). Vorremmo suggerire che questa inesprimi- bilità è dovuta al fatto che questi effetti sfuggono al paradigma binario del- la rappresentazione: non esiste una “regola” fissa alla quale commisurarsi per donare leggiadria a un volto. Con questi aggettivi, in altri termini, si

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passa da un paradigma rappresentazionalista a un paradigma espressivo7.

Una prova di ciò risiede nel fatto che, discutendo di questi elementi, si pas- sa dalla descrizione dell’oggetto del dipinto al dipinto stesso, alla materia- lità del medium artistico: si parla del tratto, del colore, delle dimensioni. Un esempio è il modo in cui Firenzuola discute della morbidezza: essa non consiste nell’imitare le membra morbide, ma nell’esprimere la sensazione stessa, farla provare col tratto pittorico allo spettatore (Cropper 1976, p. 384). Secondo Elizabeth Cropper, è la Madonna dal collo lungo del Parmi- gianino il dipinto che esemplifica nel modo migliore i criteri stabiliti dal Firenzuola (Fig. 1; Cropper 1976, p. 376).

Con questa breve analisi intendiamo evidenziare un punto specifico: il tema rinascimentale della bellezza del volto femminile permette di rin- tracciare due elementi. Da un lato, l’adesione generica a un modello rap- presentazionalista della normatività estetica; dall’altro, delle analisi che eccedono esplicitamente questo modello, e che pongono il dominio della rappresentazione in tensione diretta con la dimensione espressiva.

3.2. L’ideale fuori norma: il paradigma espressivo della bellezza

Con la sovrapposizione ottocentesca delle nozioni di normale come ideale (buono, giusto) e come media statistica, si assiste all’emergere di tutta una serie di pratiche e di discorsi che costituiscono quello che è stato chiama- to “potere di normalizzazione” (Foucault 1999, p. 33). La norma, infatti, «porta con sé, al tempo stesso, un principio di designazione e un principio di correzione» (Foucault 1999, p. 53), essa serve, da un lato, a identificare e isolare ciò che è anormale e, dall’altro, a indirizzare quest’ultimo verso un modello.

In tal senso, dunque, appare chiaro come progetti quali l’antropome- tria di Quêtelet, volta a fornire una definizione quantitativa dell’homme moyen (Quêtelet 1871), allo scopo di «mostrare quanto l’uomo sia sotto- messo a propria insaputa a leggi divine e con quale regolarità egli le com-

7. L’opera di Georges Didi-Hubermann ha insistito molto su questo aspetto dell’immagine pittorica, in particolare facendo riferimento alla dimensione “tattile” e “carnale” della pittura. Si rimanda, ad esempio a Didi-Hubermann 2008, p. 20-5. Vorremmo ringraziare i revisori anonimi per averci segnalato questo riferimento durante il processo di blind-review, oltre che per tutti gli altri preziosi consigli.

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pia” (Quêtelet 1871, p. 21), e la fisiognomica e l’antropologia criminale di Cesare Lombroso, volte ad associare i caratteri morfologici alle dispo- sizioni morali e alle passioni interiori8, siano di fatto espressioni distinte

di un medesimo quadro epistemico. D’altronde, il fatto che a una data configurazione di fenomeni venga attribuito il valore di norma o di ideale presuppone che vi possano essere, e che anzi di fatto vi siano, numerosi casi di trasgressione, di eccezione, di infrazione.

L’opposizione tra la soggettività scientifica e quella artistica, che trova nel XIX secolo le proprie radici, fa sì che sempre più il paradigma espressi- vo si affermi in campo artistico come infrazione della norma, disarmonia,

8. Sulla relazione tra la fisiognomica e la teoria delle passioni si veda Delaporte (2003).

Figura 1. Parmigianino (1534-5) Madonna dal collo lungo, olio su tela, 216x132 cm, Galleria degli Uffizi, Firenze.

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eccessività. Se l’immagine oggettiva implica una soggettività (auto)con- trollata, media, normale, la soggettività si esprimerà nel campo artistico come la fuoriuscita da quella normalità. Così Antonin Artaud può ricono- scere una connessione tra la follia di van Gogh e il suo genio artistico nel suo eccedere alla norma sociale e alla razionalità che vi soggiace (Artaud 1947, p. 34):

C’est que van Gogh en était arrivé à ce stade de l’illuminisme, où la pensée en désordre reflue devant les décharges envahissantes

Et où, penser, n’est plus s’user,

et n’est plus, et où il ne reste que de ramasser corps, je veux dire ENTASSER DES CORPS.

È in questa concezione dell’arte come espressione della soggettività, contrapposta a una scienza intesa come rappresentazione (dunque privata di ogni fine trasformativo) del reale, che la vita artistica può presentarsi come dissoluzione e critica della norma sociale, tanto più se essa presenta una finale tragico. E d’altronde, se è vero che già con il Romanticismo si assiste a ciò che Umberto Eco ha chiamato “il riscatto del brutto” (Eco 2007, p. 271), è con le avanguardie artistiche che la decostruzione e con la decostruzione degli aspetti formali e dei canoni classici che tutto ciò che è abietto, anormale, grottesco, ma anche kitsch, camp, eccentrico, assu- me un valore estetico proprio per la sua capacità di rendersi superare, in termini espressivi, i limiti imposti dalla norma rappresentativa. Il corpo e, in particolare, il volto divengono in tale contesto l’oggetto privilegiato della soggettività, che trova nell’anatomia distorta (Fig. 2), della malattia e della devianza morale e sociale (Fig. 3) la propria modalità espressiva. L’e- spressione del corpo per sé (il corpo vissuto) e il corpo per altri (il corpo sociale) è così segno di quella soggettività che non trova posto nel corpo oggettivo e normale della rappresentazione scientifica.

D’altro lato tuttavia, come abbiamo già segnalato, dietro la contrappo- sizione esplicita di rappresentazione “normale” ed espressione “eccentri- ca” si nasconde l’adesione a uno stesso modello fondamentale, che indivi- dua nella “media statistica” il criterio cui aderire o distanziarsi.

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Figura 2. Francis Bacon (1979) Three Studies for a Self-Portrait, olio su tela, 37,5 x 31,8 cm, Metropo- litan Art Museum, New York.

Figura 3. Egon Schiele (1911) Selbstbildnis als Halbakt in schwarzer Jacke, gouache, acquerello e ma- tita su carta, 48 x 32,1 cm, Graphische Sammlung Albertina, Vienna.

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