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Tecnologia, significato e individualità

Nel documento Volti artificiali / Artificial Faces (pagine 83-85)

Alfonso Di Prospero*

3. Tecnologia, significato e individualità

Le riflessioni sul rapporto tra umanità e diffusione delle nuove tecnologie aprono da sempre a scenari e congetture ambivalenti e radicali. Il volto umano, come presenza fisica e materiale che più di ogni altra cosa che ap- partiene allo stesso dominio riesce a mantenere vivo il contatto tra il pia- no della materia — su cui la tecnologia più direttamente opera — e il pia- no dell’interiorità e dello psichico, si presta a rendere ancora più plastiche le paure e le speranze che le trasformazioni in questo ambito suscitano.

L’espressione delle emozioni è mediata dal volto nella sua fisicità. La comprensione che gli altri hanno delle nostre emozioni, a sua volta, è una condizione essenziale per spiegare i modi del divenire dei nostri rapporti con gli altri. In quest’ottica, la comparsa e la diffusione di nuove tecnolo- gie per la comunicazione si intersecano con questioni che sono centrali nell’autocomprensione della modernità: la difesa dell’individualità, il va- lore della libertà, e al tempo stesso il timore che una insufficiente capacità delle persone di farsi reciproco rimando nelle loro esperienze di vita possa portare all’esasperazione di questi pur legittimi principi e infine al caos.

Sherry Turkle (1995) paragona le pluralità delle identità (virtuali) ge- stibili nel WEB a forme di personalità multipla, valutandone le possibili valenze.

Rivoltella (2010), secondo una diversa direzione, riconosce come una tendenza fondamentale sia — riferendosi al caso di Facebook — verso l’a- derenza alla propria realtà quotidiana.

Scrive per esempio Federico Casalegno (2007, p. 24), che «La separa- zione tra la tecnica asettica e il calore dello stare insieme non mi pare

Senso, strutture e contesto: L’espressione del volto e il punto di vista in prima persona 83

ineluttabile. Al contrario, accettando il vitalismo socializzante nascente, vorrei mettere in evidenza come il sentimento, l’immaginario, le passioni, nel senso più ampio, riconfermino la propria importanza nella struttura sociale e nel cyberspazio».

Il punto di vista dei più pessimisti viene spesso messo a confronto — con lo scopo di screditarlo — con quanto accaduto in precedenti situazioni storiche, in cui paure inverosimili venivano espresse (per fare solo un esem- pio) persino contro il walk-man, come riporta danah boyd (2014, p. 14).

È tipico al riguardo il richiamo che si fa della sfiducia espressa da Pla- tone verso la scrittura nel Fedro o nella Settima Lettera. Più che difendere nel merito le opinioni di Platone al riguardo (e limitandoci qui alle tesi del filosofo sul rapporto tra oralità e scrittura), pensiamo di poterci qui richia- mare ad una corrente — in senso profondamente dinamico — di pensiero, che può tornare sulle tracce del percorso di Platone — tipicamente aperto — per rinnovarne il significato.

Scrive Platone nella Lettera VII che la ricerca della verità deve essere condotta tra persone fidate, «in confronti sereni e […] in discussioni fatte senza invidia» (344, b-c).

Questa idea, in realtà, se andiamo in qualche modo oltre le intenzioni di Platone, è aperta a due letture: nell’epoca in cui Platone scrive, la vicinanza fisica con l’interlocutore era sia il tramite privilegiato per avere più infor- mazioni sul significato da dare al suo discorso, con una valorizzazione delle dinamiche proprie del piano cognitivo che nella concezione di Platone è indiscutibile, sia il momento di un incontro più intimo ed emozionale, che nel pensiero del filosofo prende la forma di un riferimento assai importante e frequente alla figura di Eros. Questa situazione rimanda alla dialettica tra piano cognitivo e piano affettivo nell’esperienza delle emozioni, analizzata in Platone da Laura Candiotto (2012), e al ruolo delle conoscenze nell’eli- citazione delle emozioni, con l’importante avvertimento che — però — la maggiore flessibilità tipica dei procedimenti di acquisizione delle informa- zioni da parte del pensiero più strettamente razionale può ripercuotersi in modo sistematico e strutturale sulla regolazione dei patterns riconoscibili come validi per la modulazione delle risposte emotive, retroagendo così sui meccanismi tendenti alla contestualizzazione dell’espressione emotiva cui ci riferiremo in seguito richiamando Stueber (2006).

In quest’ordine di idee si inserisce bene l’ampio risalto che Patrizia Ma- gli dà alla componente sociosemiotica nella percezione del volto: «Tutta la

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nostra esperienza percettiva è culturale», quindi anche «Il corpo, il volto, sembrano dunque colti e valutati attraverso schemi di classificazione so- ciale» (1991, p. 85). «Il volto, dunque, è totalmente investito dalle categorie sociosemantiche dell’universo simbolico in cui viene effettuata la sua de- scrizione» (1991, p. 95).

Nei termini di Leone (2019, pp. 34-5), abbiamo una tensione tra la di- mensione idealista e quella realista che — insieme — sperimentiamo nel rapportarci al volto di un essere umano.

Abbiamo già accennato al fatto che non si può pensare di poter demo- lire il punto di vista di Platone in modo troppo sbrigativo. La ragione — a nostro avviso — sta nel carattere fondamentalmente contestuale di ogni processo di significazione, che è da collegarsi all’esigenza di guardare alla semantica dei linguaggi naturali come profondamente pervasa dalle pro- prietà che le derivano dall’essere costruita dai parlanti in modo empirico e per induzione: Platone parlava e scriveva in un contesto storico e sociale, che era ciò che dava — in concreto e quindi nel modo più rigoroso: quello cui in generale ci si dovrebbe riferire — il senso del suo discorso. Lo stesso discorso (più esattamente: ciò che rimane oggi di quel discorso) deve es- sere ri-espresso con i riferimenti che oggi ad esso possono darsi. Ciò che si conserva tra le due situazioni semantiche è una trama di relazioni. Una parte del significato rimarrà così attuale — o ri-attualizzabile, nella misura in cui anche noi oggi possiamo riscontrarne — in autonomia — il valore, ma è nella logica della maieutica che questo debba essere messo in conto.

Un’altra parte del significato si trasformerà e modellerà secondo le esi- genze che i nuovi riferimenti implicano — senza che, sia chiaro, a priori sia epistemologicamente corretto dire che la posizione di Platone deve essere conservata.

Nel documento Volti artificiali / Artificial Faces (pagine 83-85)