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Travestimento, inganno e semiotica della simulazione

Nel documento Volti artificiali / Artificial Faces (pagine 129-133)

Remo Gramigna*

3. Travestimento, inganno e semiotica della simulazione

Dal punto di vista di una teoria semiotica generale, Umberto Eco, in un articolo raramente citato, tratta della maschera nell’ambito di una più va- sta tipologia dei casi in cui si dice il contrario di ciò che è il caso. Vi sono diversi modi in cui si può dire ciò che non è il caso. Eco (1997, p. 36-9) individua tre categorie che spiegano questo fenomeno:

— Sbagliarsi; — Ingannare; — Far finta.

Lo sbagliarsi raggruppa due fenomeni: 1) misinterpretare, che ha a che fare con il contenuto, e 2) confondere una cosa con un’altra, che invece im- plica l’espressione. Classico esempio di errore di percezione è quello del bastone che immerso nell’acqua sembra rotto.

La seconda categoria, ingannare, comprende, a sua volta, due tipi: — 2.1. Mentire, che è un fenomeno prettamente linguistico ed ha a che

vedere con il referente; — 2.2. Falsificare.

È opportuno precisare che Eco include nella categoria dell’inganno anche la simulazione. Egli si chiede: «Qual è la differenza tra la maschera di Diabolik (che permette al bandito di simulare di essere un altro) e la

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maschera di Pantaleone (che l’attore indossa per gioco e senza pretesa di ingannarci, ma solo per ‘far finta’ – e far finta di essere qualcuno non è la stessa cosa che fingere di essere qualcuno)?» (Eco 1997, p. 35). Da quanto riportato, si evince chiaramente che esistono due distinte funzioni della maschera. Quella di Diabolik è una forma di inganno che appartiene alla categoria della simulazione in quanto permette al bandito di simulare di essere un altro. La simulazione, infatti, è forma non-verbale di inganno che si attua attraverso il comportamento ed il travestimento. La maschera di Diabolik non ha solo valenza semantica, ma ha anche effetti pratici del segno sul destinatario e, dunque, valore pragmatico.

Diverso è, invece, il caso della maschera teatrale. Essa non è usata per ingannare, ma per far finta di essere un altro. Secondo Eco la finzione fonda su una convenzione; il far finta non è una vera e propria forma di inganno, ma è un para-inganno. Quindi, il far finta non intende inganna- re e pertanto non ha la dimensione pragmatica dell’inganno. Il far finta include fenomeni vari, dalle maschere teatrali alla finzione narrativa, dai controfattuali, alle simulazioni modellistiche e alle simulazioni pro-tensi- ve (Eco 1997, p. 137).

Tabella 1. Tipologia dei casi in cui si dice ciò che non è il caso (adattata da Eco 1997, p. 34).

1. Sbagliarsi 2. Ingannare 3. Far finta 2.1.1. Simulare (for- ma comportamen- tale di menzogna) 1.1. Misinterpretare (contenuto)

1.2. Confondere con (prendere lucciole per lanterne) (espressione)

2.1. Mentire (referente) 2.2. Falsificare

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La distinzione tra “simulazione” e “dissimulazione” è un denomina- tore comune nella trattazione dell’inganno. Questa macro-distinzione è servita come base per discernere due grandi modalità di ingannare, una orientata alla logica della segretezza e l’altra alla rivelazione. Il significato del termine latino simulatio è complesso e la sua lunga e ricca storia se- mantica richiederebbe maggiore spazio di approfondimento. Simulare de- riva da similis (“simile”) e significa rendere qualcosa di simile, “fingere” ciò che non è, “pretendere”. Dissimulare, al contrario, deriva da simulare con l’aggiunta del prefisso e indica un significato contrario e negativo. Dissi- mulare, infatti, significa “rendere qualcosa irriconoscibile”, “nascondere”, “occultare”. Il termine latino simulatore richiama la parola greca hypocrita. Nonostante esista una corrispondenza semantica tra queste due parole, la loro connotazione è diversa. Mentre il significato del greco hypocrita signi- ficava “attore” e aveva una connotazione alquanto neutra, i termini latini simulo/simulatio/simulatore hanno progressivamente assunto una conno- tazione negativa e un significato morale all’interno della tradizione biblica e cristiana. Un simulatore è una persona che finge ostentatamente di ave- re virtù che in realtà non possiede (Portalupi 2004, p. 448). Nella Summa Theologiae, Tommaso d’Aquino discute il problema della dissimulazione e spiega il significato di hypocrita citando sia Isidoro che Agostino. L’ipocri- sia, per l’Aquinate, consiste nell’apparire diverso da quello che si è, cioè, nell’agire in modo da «sembrare ciò che non si è». Tommaso d’Aquino definisce l’ipocrisia come «una sorta di dissimulazione con cui un uomo simula un carattere che non è il suo» (D. 111, A. 3, c.). Si tratterà allora di smascherare vizi travestiti da virtù.

Torquato Accetto nel suo Della dissimulazione onesta, definisce la “simu- lazione” come apparire ciò che non si è e la “dissimulazione” come non apparire ciò che si è: “La dissimulazione è un’industria di non far vedere le cose come sono. Si simula quello che non si è, si dissimula quello ch’è”. Analogamente, Francis Bacon ha indicato la simulazione e la dissimulazio- ne fra le strategie del nascondersi e svelarsi:

There be three degrees of this hiding and veiling of a man’s self. The first, close- ness, reservation, and secrecy; when a man leaveth himself without observation, or without hold to be taken, what he is. The second, dissimulation, in the neg- ative; when a man lets fall signs and arguments, that he is not that he is. And

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the third, simulation in the affirmative; when a man industriously and expressly feigns and pretends to be that he is not.

(Bacon 1838, p. 387)

Se l’inganno si basa sulla dicotomia nascondere/ mostrare, la simulazio- ne e la dissimulazione possono essere rispettivamente pensate come le due facce dell’inganno. Mentre la dissimulazione è segreta, tende ad occultare il reale, e “il suo compito è nascondere o almeno oscurare la verità”, la simu- lazione è manifesta, tende a mostrare il falso, e “il suo compito è di prende- re, rappresentare, professare una menzogna” (Whaley 1982, p.183)13. Ciò

che è importante sottolineare è che la simulazione e la dissimulazione spes- so avvengono in sincronia e che entrambe operano attraverso una pletora di dispositivi e operazioni. Whaley individua tre modi per dissimulare e tre per simulare, uno essendo la controparte dell’altro. Si può nascondere il reale “rendendolo invisibile” (mascherare), “camuffando” (riconfezionare), “confondendo” (abbagliare). Mostrare il falso può essere fatto “imitando una cosa con un’altra” (imitare), “mostrando un’altra realtà” (inventare), “distogliendo l’attenzione” (ingannare) (Whaley 1982, p.185).

Il binomio simulazione/ dissimulazione può essere spiegato anche in- terpretando queste due strategie in base alla loro qualità additiva o sot- trattiva. Guillaume L. Duprat (1903) è molto esplicito a questo proposito. Egli designa l’inganno come un suggerimento di errore perché mira alla “produzione in un altro di una rappresentazione senza valore oggettivo o di un giudizio che non potrebbe essere confermato dall’esperienza” (Duprat 1903, p. 16). Secondo Duprat (ibidem, p. 23) la simulazione fun- ziona per addizione, mentre la dissimulazione funziona per sottrazione. Egli definisce queste due modalità di inganno o suggestione di errore «suggestione positiva» (simulazione) e «suggestione negativa» (dissimu- lazione). La simulazione aggiunge elementi alla rappresentazione accu- rata della realtà in una varietà di modi, per invenzione, per esagerazione o inventando completamente le cose. È possibile aggiungere attributi a persone, fatti, eventi e situazioni. Secondo Duprat (ibidem, p. 16) i modi in cui opera la simulazione sono raggruppati in quattro sottocategorie: 1) “attribuzione illegittima”; 2) “addizione”; 3) “ricombinazione”; 4) “pura finzione”. La dissimulazione, invece, comprende il rifiuto, la soppressio-

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ne, l’attenuazione, la negazione, e la falsa testimonianza. In sintesi, la simulazione aggiunge elementi alla vera descrizione della realtà, mentre la dissimulazione sopprime elementi che dovrebbero essere inclusi nella vera rappresentazione di essa.

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