• Non ci sono risultati.

La dialettica maschera-volto

Nel documento Volti artificiali / Artificial Faces (pagine 126-129)

Remo Gramigna*

2. La dialettica maschera-volto

Il viso è il fulcro visibile della personalità dell’individuo. Fin dai trattati di fisiognomica antica, il volto e il corpo umano sono considerati segni del- le caratteristiche dell’anima e del temperamento della persona, per cui si ipotizza che il corpo rifletta alcune caratteristiche psicologiche dell’indivi- duo. Diversi studi empirici hanno dimostrato che il volto gioca un ruolo di rilievo nelle interazioni faccia a faccia. In una conversazione tra due o più interlocutori buona parte dell’attenzione si concentra sul volto dell’altro e l’apparenza gioca un ruolo non secondario nella definizione delle aspetta- tive reciproche che emergono nelle relazioni interpersonali. Escludendo alcune società Orientali dove ancora oggi è in uso il sistema del velo, il viso e le mani sono le uniche due parti del corpo a non essere completamente ricoperte da indumenti10. Identità, sesso, età, pigmentazione della pelle,

10. Naturalmente una tale affermazione non deve essere intesa in termini assoluti. Basti con- siderare l’introduzione delle mascherine chirurgiche, il cui uso è diventato ormai la norma, dopo la diffusione del Covid-19.

126 Remo Gramigna

stato di salute, emozioni e molte altre informazioni sono riconducibili al volto umano e possono essere inferite da chi lo osserva (Ekman 1978). Non a caso, Jurgen Ruesch (1959, p. 171) definisce il volto come il significante per eccellenza. Vista la centralità che il volto assume nelle relazioni inter- personali, non stupisce che esso sia il locus privilegiato della maschera.

La maschera rende il volto irriconoscibile in quanto inibisce il processo di riconoscimento (Gombrich 1972, p. 9) offuscando gli indici informativi del viso. Studiosi di comunicazione e psicologi si sono concentrati sul con- cetto di informazione come punto di riferimento per lo studio dell’inganno. L’informazione facilita il controllo e la conoscenza conferisce supremazia. La gestione delle informazioni è un fenomeno complesso governato da una logica di occultamento e rivelazione. Mentre la conoscenza reciproca è una precondizione per le interazioni umane (Simmel 1906, p. 441), la condivi- sione della conoscenza è sempre parziale perché la distribuzione e l’accesso alle informazioni sono disuguali. In presenza di processi ostili, i cui scopi sono in conflitto con obiettivi amichevoli, le informazioni possono essere alterate e offuscate allo scopo di ottenere vantaggi personali, mantenere la supremazia o promuovere altri obiettivi distruttivi. Come notano M. Knapp e M. Comadena (1979, p. 271), l’inganno è pensato come “l’alterazione in- tenzionale delle informazioni che una persona ritiene essere vere al fine di cambiare in modo significativo le percezioni di un altro da ciò che l’ingan- natore pensava che sarebbero state senza l’alterazione”. Allo stesso modo, K. Scheibe concepisce gli specchi, le maschere, le bugie e i segreti come “tecniche per la manipolazione delle informazioni” e li considera “i prin- cipali dispositivi dell’armamentario strategico” (Scheibe 1979, p. 52). Tali dispositivi operano secondo la logica binaria di rilevamento / occultamento delle informazioni e svolgono diverse funzioni, protettive e/o intrusive.

Nell’immaginario collettivo occidentale, la maschera incarna la pre- sentazione del sé come altro. Essa rappresenta la negazione del volto, l’anti-volto per antonomasia e si identifica con l’artificio, la finzione e la doppiezza: la maschera indica una “seconda faccia” (Grimes 1975, p. 509). Si rivolge all’esterno, è pura esteriorità. Il suo rovescio è il volto che la ma- schera dissimula, rende ambiguo e confonde. La maschera è fissità, om- bra, imperscrutabilità. Da qui il topos teatrale del “levarsi la maschera” per rivelare l’identità nascosta.

Sebbene il volto sia il locus privilegiato della maschera, questo primato non va intenso in senso esclusivo. Infatti, non solo si possono contraffare

Le forme della maschera: Aspetti semiotici della manipolazione del volto… 127

le fattezze di un viso, ma anche la scrittura, la voce, i sentimenti, o il pro- prio nome. Perciò, il campo semantico del verbo mascherare abbraccia uno spettro più ampio di fenomeni. Esiste, perciò, una nozione “allargata” di maschera, che va oltre il concetto del volto mascherato e include la glo- balità della persona e i suoi attributi. Come scrive Grimes (1975, p. 508), “by masking I mean to include what we ordinarily think of as masks, but I also intend to emcompass any mode of facial stylization, including make- up and even the expressions we wear”. In questa definizione, andrebbero inclusi non solo i vari tipi di maschere facciali, ma anche altre tecniche di gestione e modifica dell’apparenza del soggetto: cosmetica, trucco e ma- quillage; abbigliamento e costumi; posture; andatura, attitudine, accenti, intonazione e i modi di esprimersi, le parrucche, la foggia dei capelli e la barba negli uomini così come la chirurgia plastica. Alcune manipolazioni hanno carattere di temporaneità, come appunto la maschera, altre sono permanenti: scarificazioni, tatuaggi, chirurgia plastica (Magli 2013, p.10)11.

La maschera viene usata per vari scopi: magico o rituale (per esempio per raffigurare con efficacia antropomorfica l’essenza divina o demonia- ca), bellico (per incutere terrore al nemico), scenico o estetico (per sotto- lineare con materiale evidenza il carattere e la funzione del personaggio), a scopo di divertimento (come quelli per lo più grotteschi e spesso molto semplificati che si usano per il carnevale) o di travestimento e di inganno. Secondo il dizionario della lingua italiana Devoto-Oli, la maschera è “un apparecchio che, applicato sul viso, si presta ad ottenere una contraffazio- ne o semplicemente a renderne impossibile il riconoscimento”, mentre il verbo mascherare significa “travestire totalmente o parzialmente con ar- tifici (maschere o costume)”. In questa definizione, il carattere artificiale del mascherare è evidente12. Una tale operazione, infatti, presuppone l’u-

tilizzo di mezzi artificiali per travestire in modo totale o parziale il corpo o parti di esso.

Dalla centralità del volto nelle relazioni umane derivano due funzioni strategiche della maschera: (i) la funziona protettiva e quella (ii) invasiva. Secondo lo psicologo Karl E. Scheibe (1979, p. 67), esse si riferiscono ai

11. Per uno sviluppo di questa tematica si legga Le Breton 2010, p. 67-83.

12. Ci si potrebbe chiedere, allora, in che senso la Haka è una maschera e che cosa vi sia di “artificiale” nell’impostare la mimica facciale in un certo modo. Se si considera, invece, la qualità di artificialità come una alterazione del volto allo scopo di suscitare un certo effetto nel soggetto che la osserva, allora si può considerare la Haka come una maschera.

128 Remo Gramigna

due campi dell’intelligenza strategica: lo spionaggio e il contro-spionag- gio. Per Scheibe (1979, p. 67), l’esempio tipico di maschera come dispositi- vo di protezione è rappresentato dall’armatura. Sono altrettanti esempi di questo tipo le maschere facciali usate in alcuni sport, le maschere antigas, le maschere d’ossigeno e quelle chirurgiche, cosí come la maschera che usa il bandito per nascondersi il volto. La maschera ha inoltre la funzione di dispositivo finalizzato a penetrare le difese altrui per avere accesso a nuove informazioni (Scheibe 1979, p. 68). Il cavallo di Troia e il caso dei cattolici che si fingevano Priscillianisti per infiltrarsi nella setta, di cui parla Agostino nel Contra mendacium, sono validi esempi illustrativi.

Nel documento Volti artificiali / Artificial Faces (pagine 126-129)