Il periodo preso a riferimento per l'analisi del caso Calvi-Sindona concerne gli anni 1974-1995. Mentre la data finale rappresenta la conclusione degli effetti dell’inchiesta Mani Pulite, la data di inizio si riferisce alla caduta dell’impero Sindona e alla contemporanea ascesa del banchiere Roberto Calvi1. L’anno 1974 segna anche l’inizio dell’Età dell’Argento, che durerà fino al 1990, con la conseguente fine dell’Età
dell’Oro2
. Quest’ultima comprende il periodo che va dal 1950 al 1973 e trae il suo nome dall’intensa crescita dell’economia mondiale (c.d. boom economico o miracolo
economico italiano). Tale crescita viene evidenziata nella tabella che segue.
Tab. 3.1: Livelli e tassi di crescita del PIL pro capite (percentuale annua) a parità di potere di acquisto, 1950-2007 1950 1973 2007 Tasso di crescita, 1950-1973 (percent. media annua) Tasso di crescita, 1973-2007 (percent. media annua) Europa occidentale 4.569 11.392 21.589 4,05 1,91 Stati Uniti 9.561 16.689 31.357 2,45 1,88 Giappone 1.921 11.434 22.950 8,07 2,07 Cina 448 838 6.303 2,76 6,12 India 619 853 2.817 1,41 3,57 Tigri asiatiche 255 3.631 21.212 5,98 5,34 Mondo 2.111 4.083 7.468 2,91 1,80
Fonte: Crafts, N. e Magnani, M., L’Età dell’Oro e la seconda globalizzazione, in
Toniolo, G. (a cura di), L’Italia e l’economia mondiale. Dall’Unità a oggi, Venezia, Marsilio Editori, 2013, p.102.
1
Come si vedrà nel Capitolo 5, l’anno 1974 rappresenta uno snodo cruciale dell’intera vicenda Calvi- Sindona. Fino a tale data Calvi era un “allievo” di Sindona dal quale apprende “le regole del gioco” e, nello stesso momento in cui l’impero Sindona inizia a crollare, il processo di ascesa di Calvi può avere inizio. Quest’ultimo mette in campo le conoscenze apprese per rafforzare i propri rapporti corrotti, mentre Sindona attua una politica ricattatoria allo scopo di risollevare le proprie sorti.
2
La definizione di Età dell’Oro è tratta da Hobsbawm, E.J., Il secolo breve 1914-1991, Milano,
Biblioteca Universale Rizzoli, 9. ed., 2006. La definizione di Età dell’Argento è tratta da Toniolo, G., La
crescita economica italiana, 1861-2011, in Toniolo, G. (a cura di), L’Italia e l’economia mondiale. Dall’Unità a oggi, Venezia, Marsilio Editori, 2013, pp. 5-51. [online] Disponibile a:
58
Grazie a una rapida apertura alla concorrenza internazionale e alla protezione e regolazione del mercato interno, in Italia, durante l’Età dell’Oro, il PIL pro capite aumenta in media del 5,3% annuo, la produzione industriale dell’8,2% e la produttività del lavoro del 6,2%3. La riduzione del numero di lavoratori del settore agricolo, i quali passano dal 44% del 1951 al 18% del 19734, fa aumentare la quantità disponibile sul mercato di colletti blu a basso costo e poco specializzati, fondamentali per un modello di produzione fordista tipico di quel tempo. La favorevole situazione economica porta al miglioramento dei servizi sanitari, delle pensioni di anzianità e delle condizioni dei lavoratori, i quali possono ora acquistare beni di largo consumo (automobili in primis).
Questa congiuntura favorevole dura fino alla metà degli anni Sessanta. Il Nord Italia (dove si colloca la maggioranza delle industrie), avvicinandosi alla piena occupazione, crea una situazione nella quale risulta più difficile accontentare le richieste di aumenti del salario lasciando al tempo stesso alti livelli di investimento5. Lo scontro tra lavoratori e imprenditori sfocia nella seconda metà del 1969, in quello che è stato definito Autunno caldo, e culmina l’anno seguente con l’approvazione dello Statuto dei Lavoratori (legge n. 300 del 20 maggio 1970) e l’abolizione delle gabbie salariali.
Indro Montanelli e Mario Cervi non concordano sulla motivazione economica delle lotte operaie, discostandosi dall’opinione prevalente, affermando che non si trattò «d’un fenomeno di collera collettiva provocata dalla povertà, ma dall’espandersi in fabbrica di fermenti ideologici che erano propri del momento»6. Secondo i due giornalisti, la lotta sindacale esplode nei periodi di prosperità e di abbondanza di posti di lavoro, ma si placa, fino a spegnersi, nei momenti di crisi in cui il posto di lavoro assume un’importanza vitale7
.
3
ivi, p. 31.
4
Crafts, N. e Magnani, M., L’Età dell’Oro e la seconda globalizzazione, in Toniolo, G. (a cura di),
L’Italia e l’economia mondiale. Dall’Unità a oggi, Venezia, Marsilio Editori, 2013, p.105. [online]
Disponibile a: http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/collana-storica/italia-economia-mondiale/
5
Eichengreen, riferendosi alla convergenza dei Paesi in via di sviluppo, parla della realizzazione di un equilibrio cooperativo in cui i modesti aumenti dei salari sono compensati da elevati investimenti, i quali in un arco temporale lungo portano vantaggi sia alle imprese che ai lavoratori. Si veda al riguardo: Eichengreen, B., Institutions and Economic Growth: Europe after World War II, in Crafts, N. e Toniolo, G. (a cura di), Economic Growth in Europe since 1945, Cambridge, Cambridge University Press, 1996, pp. 38-72.
6
Montanelli, I. e Cervi, M., L’Italia degli anni di piombo (1965-1978), Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 1. ed., 2001, p.59.
7
Montanelli e Cervi si rifanno alla teorizzazione secondo la quale quando l’economia si avvicina alla piena occupazione si rafforza l’azione dei sindacati che porta ad un aumento delle rivendicazioni dei lavoratori. Viceversa, quando l’economia è lontana dalla piena occupazione l’azione dei sindacati è debole.
59 Il miracolo economico ha fine nel 1963 ma, attraverso una politica monetaria restrittiva (necessaria per contrastare la crescita dell’inflazione causata dagli aumenti dei salari), l’economia italiana riesce a proseguire il suo percorso di crescita, anche se di minore entità, fino agli inizi degli anni Settanta.
Generalmente come anno finale dell’Età dell’Oro viene indicato il 1973, data corrispondente alla prima crisi petrolifera, mentre per altri studiosi, l’anno di riferimento è il 1971, indicativo della fine del sistema dei tassi di cambio fissi di Bretton Woods. Indipendentemente dalla scelta di tale data, entrambi gli avvenimenti appena menzionati, uniti alle forti lotte sindacali e alla presenza di fattori che segnano la fine delle spinte a favore della crescita, tra i quali «la ricostruzione, l’esodo agricolo, la riduzione del divario tecnologico, l’elevata redditività degli investimenti»8
, contribuiscono alla riduzione della crescita economica italiana e mondiale a partire dagli anni Settanta. Tale affermazione può essere verificata analizzando e confrontando la tabella che segue con i dati riportati in Tab. 3.1.
Tab. 3.2: Livelli e tassi di crescita del PIL pro capite (% annua), 1973-1995
1973 1995 Tasso di crescita 1973-1995 Svizzera 18.204 20.627 0,58 Danimarca 13.945 20.350 1,74 Svezia 13.494 17.648 1,23 Germania Ovest 13.153 19.849 1,92 Paesi Bassi 13.081 18.700 1,65 Francia 12.824 18.206 1,61 Belgio 12.170 18.270 1,87 Regno Unito 12.025 17.586 1,75 Norvegia 11.324 21.578 2,96 Austria 11.235 17.959 2,16 8
Crafts, N. e Magnani, M., L’Età dell’Oro e la seconda globalizzazione, in Toniolo, G. (a cura di),
L’Italia e l’economia mondiale. Dall’Unità a oggi, Venezia, Marsilio Editori, 2013, p.115. [online]
60 (Segue Tab. 3.2) 1973 1995 Tasso di crescita 1973-1995 Finlandia 11.085 15.970 1,88 Italia 10.634 17.216 2,21 Spagna 7.661 13.132 2,48 Grecia 7.655 10.321 1,37 Portogallo 7.063 11.614 2,29 Irlanda 6.867 12.734 2,85
Fonte: Crafts, N. e Magnani, M., L’Età dell’Oro e la seconda globalizzazione, in
Toniolo, G. (a cura di), L’Italia e l’economia mondiale. Dall’Unità a oggi, Venezia, Marsilio Editori, 2013, p.116.
Un’efficace sintesi di cosa siano stati gli anni Settanta viene fornita da Eric J. Hobsbawm:
come al solito, la maggior parte dei politici, degli economisti e degli imprenditori non ha saputo riconoscere dentro la congiuntura economica i cambiamenti permanenti. La linea politica della maggior parte dei governi e degli stati durante gli anni ’70 si basò sul presupposto che le difficoltà economiche fossero solo temporanee. In un anno o due si sarebbe tornati alla prosperità e alla crescita degli anni precedenti. Non c’era alcuna necessità di modificare le politiche che si erano rivelate così efficaci per una generazione. La storia degli anni ’70 fu essenzialmente la storia dei governi che guadagnavano tempo9.
Negli anni Settanta i governi “guadagnano tempo” attuando politiche espansive sia in ambito fiscale sia in ambito monetario. Nell’arco di tale decennio il PIL reale cresce a un tasso annuo del 3,4%10, ma i costi che si devono affrontare risultano essere un’impennata dell’inflazione (che raggiunge valori a due cifre) e una svalutazione della moneta nazionale (allo scopo di favorire le esportazioni). Le forti tensioni sociali (gli anni Settanta vengono infatti definiti anni di piombo11) portano allo stesso tempo a un
9
Hobsbawm, E.J., Il secolo breve 1914-1991, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 9. ed., 2006, p.477.
10
«Anche se il 1975 fu il primo anno di recessione dalla fine della guerra, con una caduta del PIL reale superiore al 2%, nell’arco dell’intero decennio il PIL reale crebbe a un tasso del tutto rispettabile del 3,4% l’anno (3,6% tra il 1973, l’anno della prima crisi petrolifera, e il 1979)». Si veda Toniolo, G., La crescita
economica italiana, 1861-2011, in Toniolo, G. (a cura di), L’Italia e l’economia mondiale. Dall’Unità a oggi, Venezia, Marsilio Editori, 2013, p. 36. [online] Disponibile a:
http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/collana-storica/italia-economia-mondiale/
11
L’inizio degli anni di piombo viene fatto coincidere con le contestazioni studentesche del Sessantotto, a cui fece seguito, un anno dopo, il già citato Autunno caldo con le contestazioni dei lavoratori. Il 1969
61 aumento del welfare state e del debito pubblico; quest’ultimo, considerato in rapporto al PIL, rimane inferiore al 40% per tutti gli anni Sessanta, mentre alla fine degli anni Settanta arriva a toccare il 60%12.
Parlando di welfare, Nicholas Crafts e Marco Magnani13 affermano che in tale periodo l’Italia, partendo da condizioni iniziali di welfare peggiori, seguì gli altri Paesi europei nel processo di aumento di spesa sociale, ma lo fece mantenendo costante la pressione fiscale con il risultato di un aumento del debito pubblico e del relativo rapporto disavanzo/PIL. Riguardo alle lotte sociali, gli autori appena citati affermano come tale periodo di forti conflitti abbia indotto i governanti a preferire aumenti del debito pubblico, dell’inflazione e del fiscal drag rispetto a una scelta di riequilibrio dei conti pubblici mediante l’aumento delle entrate. Implicitamente, essi rafforzano le parole, sopra riportate, di Eric J. Hobsbawm.
Nel 1974, con il sostegno del Fondo Monetario Internazionale, in Italia viene attuata una politica monetaria restrittiva (come già avvenuto con successo nel 1963), con lo scopo, da un lato, di porre rimedio alla crescita esponenziale dell’inflazione e dall’altro lato per far ripartire la crescita economica fortemente colpita dal primo shock petrolifero. Dopo gli iniziali miglioramenti, la politica monetaria torna ad essere permissiva fino alla fine del decennio, in cui sia le decisioni americane (caratterizzate da una forte contrazione monetaria al fine di combattere l’elevata inflazione dovuta ai due shock petroliferi; c.d. Volcker shock), sia la decisione dell’Italia di partecipare al
Sistema Monetario Europeo fanno sì che la politica monetaria italiana torni ad essere di
tipo restrittivo. A partire dagli anni Ottanta si consolida l’idea di abbattere l’inflazione e vengono prese tre importanti decisioni14:
1) la partecipazione al Sistema Monetario Europeo; 2) il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia;
3) l’introduzione di una forma di politica dei redditi.
La prima decisione viene attuata per porre rimedio all’elevata inflazione e alla crescente instabilità dei tassi di cambio che aveva contraddistinto gli anni Settanta. segna anche l’inizio del periodo delle stragi che dureranno fino agli anni Ottanta. Il 1972 segna, invece, l’inizio dei sequestri di persona.
12
Balassone, F., Francese, M. e Pace, A., Debito pubblico e crescita economica, in Toniolo, G. (a cura di), L’Italia e l’economia mondiale. Dall’Unità a oggi, Venezia, Marsilio Editori, 2013, pp. 711-733. [online] Disponibile a: http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/collana-storica/italia-economia-mondiale/
13
Crafts, N. e Magnani, M., L’Età dell’Oro e la seconda globalizzazione, in Toniolo, G. (a cura di),
L’Italia e l’economia mondiale. Dall’Unità a oggi, Venezia, Marsilio Editori, 2013, pp. 122-123. [online]
Disponibile a: http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/collana-storica/italia-economia-mondiale/
14
62
Negli anni Ottanta si sente l’esigenza di un ritorno a tassi di cambi più rigidi e di una maggiore cooperazione economico-monetaria15. La seconda decisione fa riferimento all’abrogazione dell’accordo tra Tesoro e Banca d’Italia, il quale prevedeva l’obbligo per quest’ultima di acquistare i titoli del debito pubblico rimasti invenduti alle aste promosse dal Tesoro. L’obiettivo di fondo faceva riferimento alla «speranza – vana, come fu chiaro in seguito – che esso avrebbe aumentato la responsabilità fiscale, obbligando a venire a patti con i vincoli di bilancio»16. La terza decisione, infine, ha la finalità di orientare le aspettative di inflazione attraverso la definizione dell’aumento dei salari in base alla dinamica programmata dei prezzi17.
La lotta all’inflazione ha come conseguenza una debole crescita del PIL tra il 1980 e il 198318, mentre dal 1984 al 1990 la crescita è superiore al 3% annuo. Nonostante il ciclo espansivo che si viene a creare dal 1983, il governo non coglie l’opportunità di ridurre il rapporto debito/PIL ma, al contrario, esso aumenta ancora passando da un valore del 55,91% nel 1980 ad un valore del 94,80% nel 1990. Come si può notare analizzando i dati forniti (vedi Appendice 3), fino al 1983 la variazione del PIL risulta superiore alla variazione della spesa pubblica, mentre dal 1984 e fino alla fine del periodo preso in esame, la variazione del deficit pubblico è maggiore di quella del PIL. Il sorpasso del disavanzo pubblico sul PIL può essere in parte spiegato dal fatto che la riduzione dell’inflazione accresce il costo reale degli interessi da pagare sul
15
«L'elemento centrale dello SME, entrato in vigore il 13 marzo 1979, è costituito dagli Accordi Europei di Cambio (AEC), che prevedono la fissazione di una parità centrale per i cambi bilaterali dei paesi membri (griglia di parità) con intorno una banda di oscillazione del ±2,25%. Per la lira italiana la banda è stata invece del ±6% dal 13 marzo 1979 fino al 31 dicembre 1989; da quella data al settembre 1992 la lira passò nella banda stretta (e contestualmente la parità centrale venne leggermente svalutata)».
Tullio, G., Sistema Monetario Europeo, , in “Enciclopedia italiana – V Appendice”, Treccani, 1994. [online] Disponibile a: http://www.treccani.it/enciclopedia/sistema-monetario-europeo_(Enciclopedia- Italiana)/
16
Toniolo, G., La crescita economica italiana, 1861-2011, in Toniolo, G. (a cura di), L’Italia e
l’economia mondiale. Dall’Unità a oggi, Venezia, Marsilio Editori, 2013, p. 36. [online] Disponibile a:
http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/collana-storica/italia-economia-mondiale/
17
In Italia, già dal 1944 vi furono esperienze di politiche di controllo dei prezzi, ma ufficialmente il concetto di politiche dei redditi apparve nella Relazione annuale della Banca d’Italia del 1962. Le politiche dei redditi possono essere distinte in:
- politica dei redditi dirigista;
- politica dei redditi indiretta (o di mercato); - politica dei redditi istituzionale.
Per un approfondimento di tale concetto si rimanda a Pagani, L., Politica dei redditi, in “Dizionario di Economia e Finanza”, Treccani, 2012. [online] Disponibile a:
http://www.treccani.it/enciclopedia/politica-dei-redditi_(Dizionario-di-Economia-e-Finanza)/
18
Gianni Toniolo ha stimato una crescita del PIL reale dello 0,8% nel periodo 1980-1983 e del 3,1% nel periodo 1983-1990. Si rimanda al già citato Toniolo, G., La crescita economica italiana, 1861-2011, in Toniolo, G. (a cura di), L’Italia e l’economia mondiale. Dall’Unità a oggi, Venezia, Marsilio Editori, 2013, p. 37. [online] Disponibile a: http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/collana-storica/italia- economia-mondiale/
63 debito ed in parte dalla necessità per lo Stato di finanziare la crescita economica italiana.
Inerentemente a quest’ultimo punto, è opportuno ricordare il completo esaurimento, negli anni Ottanta, dei fattori che avevano spinto la crescita economica nei decenni precedenti. Il contesto di riferimento è completamente mutato, mentre, sia il sistema economico che quello politico sono rimasti fermi alle posizioni assunte nell’Età
dell’Oro. La grande impresa (sia pubblica che privata) si indebolisce a causa del nuovo
contesto storico19 nel quale non è consentito realizzare economie di scala. Tale situazione comporta minori investimenti in ricerca e sviluppo, ritenuti di vitale importanza in un’economia che si apre all’ICT (Information and Communications
Technology). La crisi delle grandi imprese si ripercuote anche sulle aziende medio-
piccole, le quali, seppur dotate di maggior flessibilità e quindi in grado di adattarsi meglio a cambiamenti repentini del mercato, sono strettamente legate alle poche imprese di grandi dimensioni presenti sul mercato nazionale.
Alcune ragioni legate al difficile sviluppo dell’ICT in Italia durante gli anni Ottanta vengono esaminate da Christopher Gust e Jaime Marquez, i quali si occupano dell’aspetto della regolamentazione, e da Giuseppe Bertola e Paolo Sestito che considerano l’influenza della scolarizzazione sul progresso delle nuove tecnologie. Gust e Marquez20 rilevano come lo sviluppo dell’ICT sia frenato nei mercati in cui è presente un alto grado di protezione dell’occupazione, in quanto comporta il sostenimento di maggiori costi per la riqualificazione dei lavoratori e dei processi produttivi. Riguardo al fenomeno della scolarizzazione Bertola e Sestito21 offrono un confronto tra l’Età
dell’Oro, in cui la tecnologia è di tipo basilare (il modello di riferimento è quello
fordista) e non necessita di lavoratori con competenze particolari, e gli anni Ottanta in cui il forte sviluppo tecnologico richiede un elevato grado di formazione in quanto indispensabile per il progresso dell’innovazione.
Il primo quinquennio degli anni Novanta22 ruota intorno ad una data: il 1992. In tale anno l’Italia si ritrova ad affrontare quattro principali avvenimenti:
19
Si era passati da un’epoca di mercato di riempimento a una di mercato di sostituzione.
20
Gust, C. e Marquez, J., International Comparisons of Productivity Growth: The Role of Information
Technology and Regulatory Practices, in “International Finance Discussion Papers”, 727, May 2002, pp.
1-47. [online] Disponibile a: https://www.federalreserve.gov/pubs/ifdp/2002/727/ifdp727.pdf
21
Bertola, G. e Sestito, P., Il capitale umano, in Toniolo, G. (a cura di), L’Italia e l’economia mondiale.
Dall’Unità a oggi, Venezia, Marsilio Editori, 2013, p. 37. [online] Disponibile a:
http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/collana-storica/italia-economia-mondiale/
22
Il presente elaborato, come specificato all’inizio del presente capitolo, pone come fine del periodo analizzato l’anno 1995.
64
a) la svalutazione della lira;
b) l’avvio del processo di privatizzazione degli enti pubblici; c) la soppressione della scala mobile dei salari;
d) l’avvio dell’inchiesta Mani Pulite.
Per Salvatore Rossi23 la svalutazione della lira nel 1992 e la conseguente uscita dal Sistema Monetario Europeo, è dovuta ad una crisi endogena, frutto di continue decisioni politiche rimandate nel tempo sin dagli anni Sessanta. Secondo l’autore, nel momento in cui il debito pubblico italiano viene collocato presso investitori esteri, verso la metà degli anni Ottanta, «parte un conto alla rovescia che si conclude, nel settembre del 1992, con il ritiro della fiducia da parte di questi ultimi, che dà la stura a facili scommesse speculative sul cambio della lira e a una traumatica svalutazione di questa»24.
La svalutazione della lira è da considerarsi quale uno dei fattori decisivi nel cambio di rotta del pensiero economico. La crisi valutaria sancisce il definitivo abbandono delle teorie keynesiane (sulle quali si erano basate le decisioni dal secondo dopoguerra in poi) a favore di teorie di stampo liberista. L’esempio più lampante di un simile cambio di pensiero è fornito dallo smembramento del sistema delle partecipazioni statali; il termine privatizzazione, che prende il nome da tale processo di dismissioni, definisce «differenti tipologie di politiche governative caratterizzate in generale dal comune denominatore di rafforzare il ruolo del mercato a spese del settore pubblico»25. Attraverso il processo di privatizzazioni, lo Stato italiano cerca di porre rimedio a problemi “antichi” quali: la riduzione del debito pubblico26 (nel 1992 il rapporto debito/PIL supera il 100% (vedi Appendice 3), il miglioramento dell’efficienza attraverso la sostituzione della gestione di tipo pubblico con una di tipo
23
Rossi, S., Aspetti della politica economica italiana dalla crisi del 1992-93 a quella del 2008-09, presentato nella giornata di studi in onore di Guido M. Rey “L’economia italiana: modelli, misurazione e nodi strutturali”, Roma, Università Roma Tre, 5 marzo 2010. [online] Disponibile a:
https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-vari/int-var-2010/Rossi_050310.pdf
24
ivi p. 2.
25
Marinò, L., Le strategie di privatizzazione: analisi teorica ed evidenza empirica, Torino, Giappichelli Editore, 1998, p.1.
26
Ludovico Marinò parlando di obiettivi di finanza pubblica individua, oltre ai semplici introiti derivanti dalla vendita, «futuri risparmi che derivano in termini di interessi sul debito complessivo, con effetti una
semper che possono essere multipli dell’effetto una tantum dei proventi diretti da dismissione» e ancora
vantaggi finanziari di lungo periodo dati dall’ «accrescimento del livello delle entrate in virtù delle tasse sugli utili delle aziende privatizzate che tornano a generare redditi, la cessazione dei sussidi sui prezzi di alcuni prodotti o il risparmio su investimenti futuri». Marinò, L., Le strategie di privatizzazione: analisi
65 manageriale27 (si passa dunque da una conduzione legata al soddisfacimento dell’interesse pubblico ad una che segue il criterio di economicità) e altri obiettivi di tipo “economico-politico” come la diffusione dell’azionariato popolare, lo sviluppo del mercato del capitale di rischio e l’internazionalizzazione del sistema economico28.
Il terzo avvenimento preso in considerazione è la soppressione della scala mobile dei salari, istituita in Italia nel 1975 con l’obiettivo di contrastare la diminuzione del potere d’acquisto attraverso l’indicizzazione automatica dei salari in funzione dell’incremento dell’inflazione. Questo elemento, insieme alla profonda recessione della domanda interna (“da sfiducia”) e grazie a prezzi internazionali favorevoli, costituiscono per Salvatore Rossi29 i fattori che hanno impedito la trasmissione degli impulsi di svalutazione ai prezzi interni nel 1992. L’autore rileva come:
Nel quadriennio fra il 1991 e il 1995 le retribuzioni pro capite in termini reali diminuiscono del 3,3 per cento nel complesso dell’economia; restano immutate nell’industria, dove la