LA CORRUZIONE NEL PERIODO 1974 1995: ANALISI DEI DAT
CAPITOLO 5 GLI “ATTORI”
5.5 Pubblici ufficial
Prima di entrare nel dettaglio della vicenda riguardante i burocrati e i pubblici ufficiali coinvolti nel sistema corruttivo Sindona-Calvi, si ritiene opportuno fornire una premessa. Come precedentemente riportato (§ 5.2), la Loggia P2 svolge fino all’anno 1981 la funzione di “scudo protettivo” nei riguardi dei fratelli massoni. Al contrario di Michele Sindona, abbandonato al suo destino nel 1979 dalla loggia massonica e nel 1980 giudicato colpevole per diversi reati compiuti in Italia e negli Stati Uniti, Roberto Calvi, dopo la scoperta degli archivi segreti della P2, si trova costretto a rivolgersi a nuovi mediatori, i quali, però, possiedono un potere d’influenza nei pubblici uffici nettamente inferiore rispetto al Gran Maestro Licio Gelli. Per questo motivo il presente paragrafo tratta quasi esclusivamente le vicende legate a Michele Sindona.
La prima vicenda considerata è quella inerente l’estradizione del banchiere di Patti dagli Stati Uniti. Le protezioni di cui gode Sindona sono talmente ampie e potenti
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Pinotti, F. e Tescaroli, L., Colletti sporchi, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 2008.
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al punto che gli agenti dell’FBI chiedono al maresciallo Novembre, amico e collaboratore del commissario liquidatore Giorgio Ambrosoli:
‘Ma voi lo volete o non lo volete Sindona? – gli chiedono una volta. – Perché, – aggiungono, – non pare proprio che il governo italiano abbia le vostre stesse opinioni’. ‘Guardate, – gli dicono un’altra volta, – che abbiamo saputo di un intervento in senso moderatore fatto dal console generale d’Italia a New York’143.
Ricostruendo la vicenda, il giornalista e scrittore Corrado Stajano pone l’attenzione sui disguidi, le disfunzioni e le lungaggini burocratiche che caratterizzano la procedura di estradizione. In particolare, Stajano afferma:
L’andare e venire degli incartamenti diventa farraginosa. Gli avvocati di Sindona sono abili, agguerriti, danarosi, lo Stato italiano ha un avvocato a metà tempo e dattilografi con le mani mozze. Per tradurre un documento occorrono 20 giorni e la traduzione è spesso fatta in un inglese approssimativo e incomprensibile144.
L’assurdità della vicenda in questione porta il sostituto procuratore di Milano giudice Viola, direttamente coinvolto nel rimpatrio di Sindona, a sbottare di rabbia:
Desta amarezza che documenti di estrema importanza, che avrebbero permesso al giudice Werker di meglio valutare la questione, siano ancora fermi se non addirittura smarriti presso il Ministero degli affari esteri, che avrebbe dovuto apporre solo il timbro e inviarli poi all’ambasciata americana di Roma145.
Dello stesso pensiero risultano essere anche i relatori di minoranza della Commissione d’inchiesta sul caso Sindona, i quali affermano:
Sono ritardi e lentezze colpevoli? Non siamo in grado di affermarlo. Propendiamo ad escluderlo. Tuttavia vi sono alcuni episodi avvenuti in Italia e momenti del procedimento negli USA che suscitano o forti perplessità o pesanti sospetti. Ad ingenerare perplessità vi è, ad esempio, la nota del Ministero della giustizia italiano a quello degli affari esteri del 21 giugno 1979 perché curasse la legalizzazione dei documenti per l’estradizione presso l’ambasciata americana, nota che fu inviata priva delle firma del rappresentante del Ministero della giustizia. Questa lettera assai urgente è stata mandata per posta e non per
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Stajano, C., Un eroe borghese. Il caso dell’avvocato Giorgio Ambrosoli assassinato dalla mafia
politica, Torino, Einaudi, 3. ed., 1995, pp. 172-173.
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ivi, p. 174.
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Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Sindona e sulle responsabilità politiche ed
amministrative ad esso eventualmente connesse – VIII legislatura – Doc. XXIII n. 2-sexies, Relazione di minoranza, relatori onn. Giuseppe D’Alema, Gustavo Minervini e Luca Cafiero, Roma, 15 aprile 1982, p. 424. [online] Disponibile a: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/907991.pdf
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corriere e su di essa non fu indicato il carattere urgente. Per questo motivo i documenti legalizzati giunsero al dipartimento di stato il 10 luglio, dopo 20 giorni146.
Un soggetto molto discusso nel sistema corruttivo Sindona-Calvi è la Banca d’Italia e in particolare il suo governatore Guido Carli. È lo stesso ex governatore ad ammettere in un suo libro le responsabilità dell’istituto che presiedeva nella vicenda Sindona, affermando:
Negli anni Sessanta avremmo dovuto costruire leggi per un mercato azionario, consentendo la nascita di intermediari non speculativi, e avremmo dovuto riscrivere la legge bancaria: il non aver fatto tutto questo favorì le scorribande di un corsaro come Sindona, e pose tutti noi di fronte alle nostre responsabilità oggettive147.
Il primo vero intervento della Banca d’Italia nei confronti dell’impero Sindona si registra nel 1971 in concomitanza all’OPA Bastogi lanciata dal gruppo facente capo al banchiere siciliano. Nell’estate del 1971 la Banca d’Italia, dopo aver previsto che di lì a poco ci sarebbero stati avvenimenti importanti, decide di ordinare un’ispezione nei confronti di Banca Unione (31 agosto) e un’ispezione alla Banca Privata Finanziaria (20 settembre). La Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Sindona prosegue la ricostruzione rilevando le lungaggini dell’ispezione a Banca Unione (che si conclude il 17 febbraio 1972) e di quella a Banca Privata Finanziaria (terminata il 24 marzo 1972) affermando:
Entrambe [le ispezioni] riusciranno a mettere in evidenza l’incredibile intreccio di irregolarità amministrative e di operazioni bancarie ad altissimo rischio che già caratterizzavano gli istituti di Sindona. Pur non potendo scoprire i famigerati conti fiduciari, entrambi i gruppi ispettivi segnalarono con efficacia quanto perversi fossero i rapporti bancari posti in essere e quindi quanto grave fosse il rischio complessivo. È questo il punto centrale ed importante delle relazioni degli ispettori. Non tanto le conclusioni operative che, implicando valutazioni di politica creditizia, dovrebbero essere prese a livelli gerarchici più elevati. Le conclusioni comunque sono gravissime: per Banca Unione si chiede esplicitamente l’applicazione dell’articolo 57, lettera a) della legge bancaria (cioè lo scioglimento degli organi amministrativi per gravi irregolarità). Per Banca privata finanziaria si esclude che gli organi amministrativi in carica possano imprimere alla banca un diverso indirizzo operativo e che si possano eliminare – sostanzialmente – per le vie ordinarie le gravi irregolarità, disfunzioni e carenze riscontrate nel corso degli accertamenti148.
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Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Sindona e sulle responsabilità politiche ed
amministrative ad esso eventualmente connesse – VIII legislatura – Doc. XXIII n. 2-sexies, Relazione di
minoranza, relatori onn. Giuseppe D’Alema, Gustavo Minervini e Luca Cafiero, Roma, 15 aprile 1982, p. 424. [online] Disponibile a: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/907991.pdf
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Carli, G., Cinquant’anni di vita italiana, Roma-Bari, Laterza, 1993, p. 330.
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L’analisi dei rapporti degli ispettori di Bankitalia porta il governatore Carli a prendere la seguente decisione:
‘Il governatore ha considerato che i fatti per i quali erano ravvisabili gli estremi di illecito di natura penale sono stati già portati a conoscenza dell’autorità giudiziaria e che pertanto ogni responsabilità verrà accertata in quella sede. Ha quindi espresso l’avviso che nell’attuale difficile momento economico non sia opportuno inserire sulla piazza di Milano ulteriori motivi di disturbo, quali potrebbero essere rappresentati dalla sottoposizione della Banca Unione all’amministrazione straordinaria. Nessuno dei presenti ha espresso eccezioni o perplessità’149.
La Relazione di minoranza della Commissione d’inchiesta sul caso Sindona fornisce una dichiarazione rilasciata da Guido Carli alla commissione stessa:
‘Il governatore informa che Sindona ha deciso di trasferirsi negli Stati Uniti in seguito all’insuccesso conseguito nel tentativo di costituire una grande finanziaria attraverso la fusione delle due più antiche finanziarie italiane e di acquisire il controllo della maggiore delle banche di credito ordinario. Il governatore confida che la denuncia all’autorità giudiziaria e l’eventuale iniziativa da parte di quest’ultima inducano gli amministratori ad assumere comportamenti corretti’150.
Il governatore Carli, con l’intento di non creare ulteriore scompiglio nella Borsa di Milano, già colpita da due eventi rilevanti quali la fine del sistema dei tassi di cambio fissi di Bretton Woods e lo scoppio della prima crisi petrolifera, decide di non sciogliere gli organi amministrativi delle due banche. Rassicurato dalle parole di Sindona, il quale dichiara direttamente a Carli di voler trasferire i propri affari negli Stati Uniti, il governatore della Banca d’Italia si limita a produrre una denuncia alle Autorità giudiziarie. Va rilevato, tuttavia, come il “numero uno” di Bankitalia fosse già intervenuto pesantemente allo scopo di limitare l’avanzata di Sindona. Più precisamente, il governatore blocca le scalate all’Italcementi, alla Banca nazionale dell’agricoltura e alla Bastogi motivando:
Sindona mirò al controllo della Bastogi e della Centrale e alla loro fusione; all’acquisizione del controllo della Banca Nazionale dell’Agricoltura. Se il programma fosse stato realizzato, si sarebbe costituita una delle maggiori, forse la maggiore, delle società
minoranza, relatori onn. Giuseppe D’Alema, Gustavo Minervini e Luca Cafiero, Roma, 15 aprile 1982, pp. 223-224. [online] Disponibile a: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/907991.pdf La Relazione di minoranza della medesima Commissione d’inchiesta riporta le sintesi dei giudizi complessivi degli ispettori della Banca d’Italia sulle banche di Sindona (op. cit., pp. 224-226).
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Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Sindona e sulle responsabilità politiche ed
amministrative ad esso eventualmente connesse – VIII legislatura – Doc. XXIII n. 2-sexies, Relazione di minoranza, relatori onn. Giuseppe D’Alema, Gustavo Minervini e Luca Cafiero, Roma, 15 aprile 1982, p. 227. [online] Disponibile a: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/907991.pdf
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finanziarie europee. Ne sarebbe derivata una concentrazione di potere esorbitante la capacità di controllo di un sistema formato dall’intreccio di disposizioni vetuste, in larga parte concepite agli albori del capitalismo italiano. Il metodo secondo il quale fu condotta la grande operazione s’imperniava su offerte di prezzi largamente eccedenti quelli di mercato o quelli basati su valutazioni ragionate dei patrimoni sociali. L’assenza di qualsiasi proporzione tra i prezzi offerti e quelli di mercato, anche rettificati per effetto del maggiore valore attribuibile alle partecipazioni di comando, indusse in me la convinzione che l’operazione si proponesse obiettivi di dominio e che, con l’impiego degli scarsi mezzi disponibili, fosse mio dovere contrastarla. Così feci151.
La Relazione di minoranza della Commissione d’inchiesta sul caso Sindona imputa alla Banca d’Italia la colpa di non aver voluto e/o potuto contrastare gli “amici protettori” del banchiere siciliano, dichiarando:
La decisione di non applicare provvedimenti di rigore discende soprattutto da valutazioni politiche sulla capacità della Banca d’Italia di dare il colpo di grazia a Sindona e quindi di porsi contro la vasta rete di complicità palesi e di alleanza più o meno in buona fede che si muoveva intorno allo spregiudicato finanziare152.
Aspre critiche sono mosse dall’onorevole Massimo Teodori il quale ritiene che:
La Banca d’Italia con il suo massimo responsabile, il governatore Guido Carli, ebbe molte occasioni negli anni precedenti il crack per impedire legittimamente che il sistema sindoniano continuasse ad agire in maniera perversa e selvaggia espandendo la propria area di potere ed influenza, semplicemente usando gli strumenti che la legge offriva in quel momento. Ma ciò comportava un tipo di decisione che non fu presa. […] A nessuna delle logiche (e dovute) conseguenze giunge la Banca d’Italia. Con ritardo (per la Banca Unione il 24 marzo 1972 e per la Banca Privata Finanziaria il 26 febbraio 1973, dopo ben otto mesi) vengono segnalate le irregolarità alla magistratura, la quale tuttavia non ha il compito di prendere provvedimenti amministrativi, spettando questi solo alla Banca d’Italia, ma solo iniziative di carattere penale. Queste con il consueto iter lento, portano ad un mandato di cattura spiccato nell’ottobre 1974, quando già Sindona era stato dichiarato fallito e aveva preso la via dell’estero. Anche la successiva sequenza di ispezioni, con la sezione della vigilanza della Banca d’Italia che invia ispettori nelle banche sindoniane (1972-1973) con compiti assai limitati di semplice verifica contabile, sta ad indicare che la scelta del governatore vuole favorire al massimo l’assestamento del sistema bancario sindoniano fidando nella “buona volontà” del banchiere di regolarizzare la sua posizione, soprattutto dopo il trasferimento di Sindona all’estero, quasi che il carattere selvaggio delle attività
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Carli, G.,, Pensieri di un ex governatore, Pordenone, Edizioni Studio Tesi, 1988, p. 99.
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Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Sindona e sulle responsabilità politiche ed
amministrative ad esso eventualmente connesse – VIII legislatura – Doc. XXIII n. 2-sexies, Relazione di minoranza, relatori onn. Giuseppe D’Alema, Gustavo Minervini e Luca Cafiero, Roma, 15 aprile 1982, p. 237. [online] Disponibile a: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/907991.pdf
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bancarie della Banca Unione e della Banca Privata Finanziaria fosse legato alla persona fisica del Sindona e non al suo sistema di iniziativa e di intervento153.
L’onorevole Massimo Teodori imputa al governatore della Banca d’Italia Carli la colpa di aver aiutato le banche di Sindona nella primavera-estate 1974, dopo che nel maggio dello stesso anno la SEC aveva sospeso le quotazioni della Franklin National Bank negli Stati Uniti. In particolare afferma: «Il governatore Carli consente, favorisce e stimola il prestito del Banco di Roma di 100 milioni di dollari a Sindona, invece di prendere quei provvedimenti drastici di liquidazione coatta che avrebbe legalmente potuto prendere già due anni prima»154. Il governatore Carli motiva tale aiuto nella volontà di evitare un effetto contagio alle altre banche italiane dichiarando che «il primo sintomo di incapacità del sistema di assolvere le proprie obbligazioni avrebbe potuto determinare – lo ripeto senza timore di esagerare – una catastrofe»155.
Rimandando l’esame della vicenda attinente il prestito del Banco di Roma a favore delle banche di Sindona al paragrafo successivo, nel quale viene risaltato il ruolo della componente politica negli accordi tra i vari attori del sistema corrotto, si ritiene interessante proporre l’analisi dell’economista Marco Magnani riguardante le differenti modalità di intervento negli Stati Uniti e in Italia durante la crisi dell’impero Sindona. Magnani rileva come in entrambi gli Stati l’attività di supervisione preventiva fu carente e come sia in Italia che negli Stati Uniti si confidò troppo a lungo nella capacità delle banche di autocorreggersi. Le differenze tra i due Stati si riscontrano nel momento dello scoppio della crisi sindoniana: negli Stati Uniti la Federal Reserve fa affluire ingenti quantità di denaro nella Franklin National Bank, mentre in Italia la Banca d’Italia si appoggia al Banco di Roma allo scopo di fornire aiuto alle banche di Sindona. Magnani ipotizza, inoltre, un diverso peso della componente politica tra Italia e Stati Uniti che spiegherebbe il motivo del mancato intervento italiano nel salvataggio della Banca Privata Finanziaria156.
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Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Sindona e sulle responsabilità politiche ed
amministrative ad esso eventualmente connesse – VIII legislatura – Doc. XXIII n. 2-sexies, Relazione di
minoranza, relatore on. Massimo Teodori, Roma, 15 aprile 1982, pp. 538-540. [online] Disponibile a: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/907991.pdf
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Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Sindona e sulle responsabilità politiche ed
amministrative ad esso eventualmente connesse – VIII legislatura – Doc. XXIII n. 2-sexies, Relazione di
minoranza, relatore on. Massimo Teodori, Roma, 15 aprile 1982, p. 541. [online] Disponibile a: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/907991.pdf
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Senato della Repubblica, Documentazione allegata alla relazione conclusiva sul caso Sindona e sulle
responsabilità politiche e amministrative ad esso eventualmente connesse, vol. CXII, Roma, 1983, p. 130.
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141 Nell’analizzare l’operato della Banca d’Italia, Marco Magnani, alla stregua degli altri autori passati precedentemente in rassegna, propone una riflessione sul comportamento del governatore Guido Carli focalizzandosi sulla sua bassa capacità di comprendere la reale situazione delle banche sindoniane. L’economista dichiara a riguardo:
Ciò sarebbe venuto pienamente alla luce il 29 luglio 1974 con il via libera alla fusione della Unione con la Privata Finanziaria e il 28 agosto con la irricevibilità opposta dal governatore alla “Lista dei 500”, consentendo così il rimborso dei capitali che erano stati depositati all’estero in spregio alle norme valutarie157.
Lo stesso Michele Sindona risulta essere perfettamente al corrente della contraddittorietà del governatore della Banca d’Italia al punto che il 10 febbraio 1975 scrive una lettera indirizzata a Carli, la quale si conclude con le seguenti parole: «Pensa veramente, dottor Carli, di uscire bene da tutta questa vicenda? Cosa glielo fa pensare?»158
Le minacce di Sindona sono indirizzate, oltre che agli attori con cui il banchiere siciliano è venuto direttamente in contatto, a tutti i soggetti che possono far saltare il piano di salvataggio delle banche sindoniane. Tra i soggetti che non accettano di essere inclusi nel sistema corruttivo spiccano l’avvocato Giorgio Ambrosoli e il maresciallo della Guardia di Finanza Silvio Novembre.
Il maresciallo Novembre fa parte del pool inviato dal giudice Guido Viola nell’ambito delle indagini sulle banche di Sindona. Inizialmente i rapporti tra i finanzieri inviati nella sede della Banca Privata Italiana e il commissario liquidatore Giorgio Ambrosoli sono molto tesi, dovuti alla reciproca paura di inquinamento del lavoro portato avanti, ma con il passare del tempo si instaura una proficua collaborazione159. I risultati delle indagini fanno scattare la reazione di Michele Sindona, il quale tramite l’interessamento della Loggia P2 che conta tra gli affiliati generali della Guardia di Finanza, ottiene per ben due volte l’avvio della pratica di trasferimento del maresciallo Novembre. Entrambi i tentativi di trasferimento falliscono grazie all’intervento di un colonello della Guardia di Finanza prima e all’intervento del
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ivi, pp. 82-83.
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Scopo della lettera è quello di ricordare al governatore Carli quanto aveva concesso nel passato, acconsentendo anche a varcare il limite della legalità, al fine di ottenere nuovi aiuti. Teodori, M., La
Banda Sindona, Milano, Gammalibri, 1982.
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Sulla storia del maresciallo Silvio Novembre si veda Stajano, C., Un eroe borghese. Il caso
dell’avvocato Giorgio Ambrosoli assassinato dalla mafia politica, Torino, Einaudi, 3. ed., 1995, pp. 93-
101. Sui rapporti instaurati tra il maresciallo Novembre e l’avvocato Ambrosoli si rimanda alla già citata opera di Corrado Stajano e a Ambrosoli, U., Qualunque cosa succeda, Milano, Sironi Editore, 2009.
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giudice Viola dopo. Le offensive di Sindona e dei suoi “amici” non si esauriscono, bensì passano a un livello più elevato. Come afferma Corrado Stajano:
Cominciano gli adescamenti: prima la lusinga, poi la corruzione, poi la minaccia. A Silvio Novembre vengono offerti soldi, posti di prestigio. C’è anche chi viola il campo degli affetti, approfittando, nel tentativo di corrompere, del dolore e della debolezza dell’altro. La moglie di Silvio Novembre è malata di un male incurabile e persone dell’entourage di Sindona gli fanno trasparire speranze di salvezza160.
Le minacce telefoniche vengono rivolte, oltre che al maresciallo Novembre, anche all’avvocato Ambrosoli, nominato commissario liquidatore della Banca Privata Italiana di Sindona il 27 settembre 1974. La professionalità e la fedeltà allo Stato collocano Ambrosoli all’esterno dello schema del sistema corruttivo Sindona-Calvi (vedi Fig. 5.1), il che fa di lui un nemico di Michele Sindona. Il banchiere di Patti sottovaluta in un primo momento le capacità del commissario liquidatore, ma quando quest’ultimo riesce ad accedere ai segreti dell’impero sindoniano, la reazione di Sindona diventa furibonda. Ambrosoli, grazie al ruolo di commissario liquidatore, è infatti riuscito a diventare azionista di maggioranza della Fasco A.G., società che rappresenta, usando le parole del figlio del commissario liquidatore Umberto Ambrosoli, «la holding estera di Sindona, il vertice del suo impero; la scatola cinese più grande, che contiene tutto il resto: società di diritto svizzero o lussemburghese, come Mabusi, Kalida, Maga, Menna, Gadena, Kaitas, Sap, Isernia, e tantissime altre delle quali neanche si conosce il nome»161. Sulla professionalità di Ambrosoli, Gianpaolo Pansa dichiara in un articolo apparso sul quotidiano “La Repubblica”:
Il liquidatore di una banca ha il dovere di riferire al giudice i risultati del suo lavoro. Quest’obbligo può essere assolto in molti modi. C’è chi si limita a raccontare al magistrato quanto gli cade sotto gli occhi. Ma si può anche cercare ciò che non si vede, indagare, aprire i recessi più segreti del labirinto. Ambrosoli sceglie questa seconda strada e diventerà il principale accusatore di Sindona anche sul piano penale162.
L’avv. Ambrosoli decide di indagare pur sapendo che la propria vita è in pericolo e la lettera scritta alla moglie Anna Lori il 25 febbraio 1975 rappresenta la
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Stajano, C., Un eroe borghese. Il caso dell’avvocato Giorgio Ambrosoli assassinato dalla mafia