Il 17 febbraio ’92 non comincia la storia di Tangentopoli, ma semmai la storia di Mani Pulite: o meglio, la fase operativa dell’inchiesta. Sul piano dei simboli, per me Tangentopoli è stata una città virtuale, fatta di malaffare, di lottizzazioni, raccomandazioni e voti di scambio, dove la gestione della politica era finalizzata agli interessi personali o di parte, piuttosto che agli interessi generali1.
Le parole dell’allora Sostituto Procuratore di Milano Antonio Di Pietro confermano la tesi secondo la quale Tangentopoli non è stato un fenomeno degli anni Novanta, bensì il frutto di un lungo processo di sviluppo e perfezionamento del sistema corruttivo, iniziato a partire dalla fine degli anni Sessanta. A riguardo, l’analisi dei dati forniti dall’Istat proposta nel quarto capitolo del presente elaborato ha mostrato come negli anni Novanta sia emersa solamente una parte della “cifra nera” del sistema della corruzione presente in Italia, mentre il quinto capitolo ha delineato, seppur in riferimento al sistema corruttivo Sindona-Calvi, la rete di scambi corrotti presente a partire dalla fine degli anni Sessanta e durata fino ai primi anni Ottanta. Confrontando lo schema proposto in figura 5.1 con la situazione esistente nei primi anni Novanta, si nota come la componente politica e quella burocratica e la criminalità organizzata siano le uniche sopravvissute, mentre gli altri soggetti abbiano preso le distanze (Vaticano) o siano stati estromessi dalla giustizia (Loggia P2 e i due banchieri, Sindona e Calvi).
Nell’intervista raccolta da Giovanni Valentini, Antonio Di Pietro fornisce indicazioni sul perché l’indagine relativa al sistema della corruzione sia scattata nel 1992, e non prima, e sul perché Mani Pulite sia partita proprio da Milano.
La magistratura aveva sempre avuto la possibilità di aprire l’indagine. Ma vuoi per una malcelata omertà, vuoi per un certo accomodamento con il sistema di potere, vuoi per una mancanza di strumenti operativi, ogni volta che aveva iniziato era riuscita al massimo a venire a capo della singola operazione. Non aveva insomma la cultura dell’inchiesta esplorativa, si limitava ad accertare le indicazioni che provenivano dall’esterno2.
E ancora:
Intendiamoci…poteva scoppiare [Mani Pulite] benissimo anche a Palermo. Non è che i magistrati siciliani non abbiano provato a scalare la montagna. L’hanno fatto con tanta
1
Di Pietro, A., Intervista su Tangentopoli, a cura di G. Valentini, Bari, Laterza, 2000, p. 3.
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buona volontà e determinazione, a cominciare da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, tanto per citarne alcuni. Se non ci sono riusciti in pieno, c’è una ragione per così dire tecnica che l’ha impedito. Falcone e Borsellino hanno cominciato dal sicario per cercare di risalire la china e arrivare, padrino dopo padrino, alla vetta del potere politico-mafioso. Quando erano arrivati quasi alla meta, sono stati fermati nel modo barbaro che sappiamo. A Milano, io ho adottato un altro metodo: sono partito dall’altro versante della collina, dal sistema delle tangenti per arrivare al controllo mafioso della politica. Ciò è stato possibile non per mia bravura, ma semplicemente perché all’imprenditore lì conveniva parlare per salvare l’azienda. Al Sud, se parlava, non salvava nemmeno la pelle. Per me, insomma, è stato più facile: io non dovevo combattere anche un sistema omertoso, dovevo combattere solo un sistema delle convenienze e questo finisce laddove l’imprenditore trova più conveniente parlare che non parlare3.
Un ulteriore motivo a favore dell’avvio dell’inchiesta Mani Pulite a Milano viene proposto dal giurista e sociologo David Nelken, il quale osserva:
Il fatto che la città di Milano sia stata al centro di Tangentopoli può non essere, tuttavia, casuale. Al di là del suo ruolo di capitale degli affari, Milano era anche la base del Psi, il cui gruppo dirigente aveva ambizioni che andavano ben oltre la porzione relativamente piccola di elettorato che sosteneva il partito; ostacolati nella loro azione dalla assenza di un flusso costante di finanziamenti, nazionali o esteri, gli esponenti del Partito socialista italiano si trovarono coinvolti in maniera diffusa negli scandali di corruzione degli anni Ottanta e perciò sempre più esposti alle indagini dei giudici4.
Nel pool di magistrati che indagano su Tangentopoli vi è anche Gherardo Colombo, già titolare di indagini che avevano coinvolto Michele Sindona e Licio Gelli, il quale indica quale anno di svolta il 1989. Per Colombo, tale anno è importante per due ragioni: l’entrata in vigore del nuovo codice penale e la caduta del Muro di Berlino. Il nuovo codice penale «rende estremamente più agevole le attività di indagine»5, mentre con la caduta del Muro viene «superata la divisione dell’Europa e del mondo in due blocchi contrapposti e antagonisti»6.
Colombo condivide il pensiero di Di Pietro secondo il quale il sistema della corruzione avrebbe potuto essere scoperto molto prima del 1992, ma ciò non è stato possibile perché fino alla caduta del Muro di Berlino «il blocco di potere che teneva in scacco lo Stato era estremamente solido e coeso. Era “naturale”, “normale”, che in certi cassetti non si potesse andare a guardare»7. Nello specifico, Colombo, dopo aver
3
ivi, pp. 49-50.
4
Nelken, D., Il significato di Tangentopoli: la risposta giudiziaria alla corruzione e i suoi limiti, in Violante, L. e Minervini, L. (a cura di), Storia d’Italia. Annali. Vol. 14: Legge, diritto e giustizia, Torino, Einaudi, 1998, p. 621.
5
Colombo, G., Lettera a un figlio su Mani Pulite, Milano, Garzanti S.r.l., 2015, p. 14.
6
Ibid.
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169 avviato le indagini sulla Loggia P2 e sui fondi occulti di due società di proprietà dell’Istituto per la ricostruzione industriale (IRI), subisce il trasferimento di entrambe le indagini le quali vengono spostate a Roma, «il famigerato “porto delle nebbie”, dove finivano regolarmente con l’insabbiarsi i più importanti casi politici», a detta del giurista e sociologo David Nelken8.
Riguardo al ruolo della magistratura italiana, David Nelken ha osservato come una parte dei giudici fosse effettivamente collusa con il sistema di potere vigente, al contrario della parte “sana” della magistratura la quale subiva, nel migliore dei casi, la sottrazione delle indagini, mentre più frequentemente «i giudici scomodi – e, ancora più facilmente, i poliziotti che li assistevano nelle indagini – potevano ritrovarsi sottoposti a procedimenti disciplinari e trasferiti in altre sedi»9.
Lo storico Luciano Cafagna pone l’accento sull’importanza che ha avuto la caduta del Muro di Berlino nell’evolversi della storia italiana sia in ambito politico e sociale che economico. L’immagine usata da Cafagna è quella di una slavina che si ingrossa scendendo a valle distruggendo l’assetto politico creatosi e sviluppatosi a partire dalla seconda metà del Novecento del secolo scorso. Luciano Cafagna afferma in particolare:
A farla breve, la caduta del Muro di Berlino aprì una fase nuova, e drammatica, della storia italiana. Poteva essere forse l’avvio di una svolta orientata. Invece fu una deriva. Tutti i mali latenti di questo paese saltarono improvvisamente a galla. Erano latenti tre crisi. Una crisi fiscale, una crisi morale, una crisi istituzionale. Esplosero, dandosi la mano, l’una dopo l’altra10.
L’effetto principale della caduta del Muro è stato, secondo lo storico, quello «di far saltare un perverso incantesimo»11. Egli si riferisce alla minaccia di una possibile espansione del comunismo in Italia, che avrebbe, secondo il pensiero dei principali partiti antagonisti, minacciato la pace e la democrazia italiana. Questo rischio è ritenuto così importante al punto tale che «in Italia si finiva piuttosto col tollerare dosi da cavallo di politiche non condivise, di disservizi di ogni genere, e anche di corruzione,
8
Nelken, D., Il significato di Tangentopoli: la risposta giudiziaria alla corruzione e i suoi limiti, in Violante, L. e Minervini, L. (a cura di), Storia d’Italia. Annali. Vol. 14: Legge, diritto e giustizia, Torino, Einaudi, 1998, p. 619.
9
ivi, pp. 618-619. Appare evidente il riferimento alla vicenda del maresciallo Silvio Novembre descritta nel paragrafo 5.5. Nelken parla anche delle indagini avviate prima di Tangentopoli osservando come «gli effetti e le conseguenze sul piano politico di questi episodi di corruzione […] non erano andati oltre il livello locale. Un ostacolo significativo che si incontrava spesso, quando gli inquisiti erano parlamentari, era la necessità di ottenere l’autorizzazione a procedere dal Parlamento. Nel periodo precedente
Tangentopoli, soltanto una richiesta su cinque veniva accolta».
10
Cafagna, L., La grande slavina. L’Italia verso la caduta della democrazia, Venezia, Marsilio Editori, 2. ed., 2012, p. 26.
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perché l’unica alternativa possibile appariva comunque – e difatti disgraziatamente lo era – più pericolosa»12. Il crollo del Muro, dunque, fa venire meno il principale motivo per cui il popolo italiano aveva sopportato il progressivo decadimento della società e toglie ai partiti di maggioranza il principale argomento, e a volte unico, delle proprie campagne elettorali.
La contrapposizione in Italia tra blocco comunista e blocco americano risulta essere solamente formale. Gianni Barbacetto, Peter Gomez e Marco Travaglio descrivono tale situazione nel seguente modo:
Nella politica ufficiale, quella visibile, c’erano maggioranze e opposizioni, alleati e fieri avversari. Ma dietro le quinte tutti erano soci in affari, legati indissolubilmente da un patto di omertà. Il sistema del cassiere unico, che raccoglie i soldi e poi li smista tra i partiti – Dc, Pci, Psi, e laici minori – è la smentita più plateale all’alibi spesso accampato da Dc e Psi: che cioè le tangenti fossero necessarie per “finanziare la democrazia” contro “l’avanzata dei comunisti”. A volte era un democristiano o un socialista a portare i soldi a un comunista. O viceversa13.
Della stessa opinione è il mariuolo Mario Chiesa, il quale racconta la propria esperienza da capogruppo del Psi nel consiglio provinciale di Milano:
[G]li scontri tra i partiti di sinistra e i democristiani mi risultano, immediatamente, più formali che sostanziali. Non c’è consigliere di minoranza che alzi la mano per chiedere, per esempio, chiarimenti sugli appalti delle opere pubbliche. […] Tangenti per la maggioranza. Ma anche destinate all’opposizione e alla burocrazia interna. Affinché nessuno parli, discuta, contesti. E l’ingranaggio, così ben oliato, non subisca ingrippature di sorta14.
Gherardo Colombo fornisce, invece, un quadro della spartizione delle tangenti elaborato negli anni Settanta dal presidente della Metropolitana Milanese Antonio Natali:
Così le tangenti della metropolitana vanno per il 37,5% al Partito socialista italiano, per il 18,75% al PCI/PDS e alla Democrazia Cristiana, per il 17% al Partito socialdemocratico e per l’8% al Partito repubblicano. Si tratta di regole precise, nulla viene lasciato al caso15.
Il venir meno del fattore K sancisce inoltre la fine definitiva dei finanziamenti di cui avevano beneficiato il Partito Comunista e la Democrazia Cristiana a partire dal
12
ivi, p. 23.
13
Barbacetto, G., Gomez, P. e Travaglio, M., Mani Pulite. La vera storia, Roma, Editori Riuniti, 2002, p. 25.
14
Andreoli, M., Andavamo in piazza duomo, Milano, Sperling & Kupfer Editori S.p.a., 1993, pp. 44-45.
15
Colombo, G., Lettera a un figlio su Mani Pulite, Milano, Garzanti S.r.l., 2015, p. 33. Vedi anche: Barbacetto, G., Gomez, P. e Travaglio, M., Mani Pulite. La vera storia, Roma, Editori Riuniti, 2002, p. 25.
171 secondo dopoguerra. In questo periodo l’Unione Sovietica fa arrivare ingenti flussi di denaro al Pci mentre gli Stati Uniti finanziano le campagne politiche della Dc16. Il Partito Socialista, privo di referenti esterni, basa le proprie entrate sui finanziamenti provenienti dal sistema delle partecipazioni statali. Le entrate, sia lecite che illecite, dei maggiori partiti politici italiani non sono sufficienti a coprire gli enormi costi a cui sono sottoposti i partiti e i disavanzi di bilancio dei partiti raggiungono cifre esorbitanti. Il giornalista Antonio Carlucci riporta i bilanci dei partiti sopra citati relativamente all’anno 1991. Tali dati sono stati rielaborati nella tabella che segue.
Tab. 6.1: Bilancio dei principali partiti politici relativamente all’anno 1991 (in milioni di lire)
Fonte: propria elaborazione da Carlucci, A., Tangentomani. Storie, affari e tutti i documenti
sui barbari che hanno saccheggiato Milano, Milano, Baldini & Castoldi, 1992.
Si ritiene opportuno rilevare come la legge n.195 del 1974, che istituisce in Italia, per la prima volta, un sistema di finanziamento pubblico dei partiti, risulti essere in definitiva un’ulteriore fonte di finanziamento della politica italiana. Lo scopo di tale legge è quello di contrastare l’avanzata della corruzione (la legge fa infatti seguito al primo scandalo dei petroli) attraverso un intervento finanziario dello Stato il quale avrebbe dovuto sostituire i finanziamenti illeciti. Il magistrato e docente universitario Vito Marino Caferra espone i punti su cui era stata registrata una notevole convergenza nel corso dei lavori preparatori della legge 195/1974:
a) la insufficienza delle fonti lecite di finanziamento comporta per i partiti la necessità del ricorso alle fonti illecite;
16
Riguardo ai finanziamenti americani e quelli sovietici si veda Colby, W. e Forbath, P., Honorable men.
My life in the CIA, 1978. Trad. it. La mia vita nella CIA, Milano, U. Mursia Editore S.p.A., 1981, pp. 81-
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b) il finanziamento illecito viola il principio costituzionale dell’art. 49 Cost., perché altera il libero concorso dei cittadini a determinare la politica nazionale; e infatti diventano determinanti (non soltanto i cittadini iscritti ai partiti, ma anche) i gruppi di pressione che li finanziano;
c) il principio fondamentale del pluralismo (garanzia essenziale del metodo democratico) viene messo in crisi, quando i medesimi gruppi di pressione finanziano contemporaneamente più partiti ricevendo da tutti analoghe contropartite17.
Relativamente ai risultati disastrosi ottenuti dalla legge 195/1974 si sono espressi Donatella della Porta e Alberto Vannucci, i quali dichiarano che:
Il contributo alle spese di funzionamento dei partiti venne […] abolito dagli elettori con il referendum del 18 aprile 1993, quando per l’abrogazione si espresse uno schiacciante 90,3 per cento dei voti validi. Il disvelamento di una corruzione capillare aveva mostrato in modo lampante che il finanziamento pubblico non solo non aveva scoraggiato i finanziamenti illeciti, ma aveva rafforzato individui e organizzazioni politiche responsabili di malversazioni contro i cittadini, lo Stato e i suoi bilanci. Le indagini di Mani Pulite avevano inoltre rivelato spesso un intreccio tra reati di corruzione e illecito finanziamento dei partiti18.
I costi della politica negli anni Settanta e Ottanta subiscono un costante aumento sia a causa della riduzione dei militanti (i quali pagano di tasca propria la tessera del partito) e del simultaneo aumento dei clienti (§ 2.2.6), sia per l’incremento dei costi delle campagne elettorali. Per Donatella della Porta e Alberto Vannucci la situazione che si viene a creare, ossia quella in cui un aumento dell’investimento nella campagna elettorale di un politico comporta un investimento per una cifra maggiore da parte del proprio avversario, dà origine a un circolo vizioso che rende la politica sempre più costosa19.
Strettamente collegato al circolo vizioso dei costi della politica è il circolo vizioso del welfare state. Luciano Cafagna lo definisce in realtà un circolo virtuoso dello stato sociale il quale rimane tale fino a che non si dispiegano i risultati e il circolo virtuoso assume le sembianze di una “catena di Sant’Antonio”20. Cafagna parla di:
17
Caferra, V.M., Il sistema della corruzione. Le ragioni, i soggetti, i luoghi, Bari, Laterza, 1992, p. 139.
18 della Porta, D. e Vannucci, A., Un paese anormale. Come la classe politica ha perso l’occasione di
Mani Pulite, Roma-Bari, Laterza, 1999, p. 176.
19
«Come mostra il caso italiano, se la corruzione può essere una risposta all’aumento dei costi della politica, è la sua stessa diffusione a rendere più costosa la politica, avviando così una sorta di circolo vizioso». della Porta, D. e Vannucci, A., Un paese anormale. Come la classe politica ha perso
l’occasione di Mani Pulite, Roma-Bari, Laterza, 1999, p. 163. Per un approfondimento sui costi che i
partiti politici sostengono si rimanda a Cafagna, L., La grande slavina. L’Italia verso la caduta della
democrazia, Venezia, Marsilio Editori, 2. ed., 2012, pp. 80-81.
20
Cafagna, L., La grande slavina. L’Italia verso la caduta della democrazia, Venezia, Marsilio Editori, 2. ed., 2012, pp. 34-40.
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una spirale centrifuga che tendeva ad allargarsi in modo incontrollabile. […] Era accaduto che, malauguratamente, il circolo virtuoso, oltre un certo punto, sviluppava numerosi elementi degenerativi. […] Il segreto dell’allargamento della spirale era in realtà, come sappiamo, l’inflazione. Per un certo tempo era stato persino possibile considerare questa, finché a bassi livelli, come un lubrificante. Poi si comprese che, invece, l’inflazione, economicamente, era piuttosto come un addizionare acqua al carburante: il motore comincia a scoppiettare e poi si ferma21.
Il risultato di questa spirale è un vertiginoso incremento della spesa pubblica; il rapporto tra quest’ultima e il prodotto interno lordo passa dal 31,2% del 1960 al 62,5% del 1980, mentre l’aumento della pressione fiscale è nettamente inferiore: dal 26% dei primi anni Sessanta al 41,3% del 1983. L’aumento della spesa pubblica avviene attraverso l’incremento del debito pubblico22
. Il deficit viene inizialmente coperto dalla Banca d’Italia, ma in seguito al divorzio tra questo ente e il Tesoro (vedi cap. 3) l’unica possibilità di finanziare il debito pubblico italiano è quella di rivolgersi al mercato offrendo tassi di interesse elevati.
Marco Arnone e Piercamillo Davigo hanno proposto un lavoro in cui evidenziano la relazione esistente tra i periodi di recessione e l’esplosione dei casi di corruzione, adducendo che «nei momenti di “crisi” economica è relativamente più facile che “equilibri corruttivi” si spezzino e siano portati alla luce»23
. In particolare, Arnone e Davigo analizzando il legame fra la dinamica del PIL e della spesa pubblica e il fatto che la magistratura o i media riescano a far emergere casi di criminalità economica, arrivano a sostenere che:
i cicli economici sembrano influire sull’avvio e sul percorso delle indagini e non sulla commissione dei reati (che in fasi differenti del ciclio economico avvengono comunque ma sono scoperti con maggiore difficoltà). Ciò è probabilmente dovuto ad un aumento della conflittualità fra le parti coinvolte in reati di tipo economico: in particolare, si può ipotizzare che le cadute del PIL indeboliscano il potere politico e segnatamente la sua presa sulla pubblica opinione e quindi la sua capacità di reagire alla scoperta di casi di corruzione. Inoltre, il calo della spesa pubblica può far aumentare i dissidi nell’ambito dei cartelli di imprese che usano la corruzione come strumento prevalente per l’aggiudicazione di forniture pubbliche. Si crea così la possibilità per gli inquirenti di incunearsi nei relativi
21 ivi, pp. 37-38. 22 ivi, pp. 40-45. 23
Arnone, M. e Davigo, P., Arriva la crisi economica? Subito spunta la corruzione, in “Vita e pensiero”, 2005, 5, p. 44. Per un approfondimento riguardante il forte incremento della spesa pubblica in Italia a partire dagli anni Ottanta si rimanda a Della Seta, P. e Salzano, E., L’Italia a sacco. Come negli
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ambiti, ottenendo più agevolmente collaborazione da persone sottoposte alle indagini e da persone informate sui fatti24.
Inoltre:
una crisi economica determina un aumento delle dichiarazioni di insolvenza con il conseguente avvio di procedimenti penali per reati fallimentari; ciò porta di frequente alla scoperta di falsità contabili e di conseguenza, attraverso la individuazione della destinazione dei fondi gestiti extra contabilmente, alla emersione di delitti di corruzione25.
Arnone e Davigo supportano le proprie affermazioni attraverso l’elaborazione di due figure, di seguito proposte, le quali mostrano come nella maggior parte dei casi di malaffare politico-amministrativo o economico esaminati, la tesi di una relazione tra fasi negative del ciclo economico ed emersione della corruzione risulta essere confermata.
Fig. 6.1: Rapporto tra variazione % del Pil ed emersione della criminalità politico- affaristica (1971-2004)
Fonte: Davigo, P., La corruzione in Italia. Percezione sociale e controllo penale, Bari,
Laterza, 2008, p. 60. 24 ivi, p. 48. 25 ivi, p. 51.
175 Fig. 6.2: Rapporto tra variazione % della spesa pubblica ed emersione della
criminalità politico-affaristica (1971-2004)
Fonte: Davigo, P., La corruzione in Italia. Percezione sociale e controllo penale, Bari,
Laterza, 2008, p. 61.
Prendendo spunto dalle figure sopra riportate, viene posta ora attenzione su un ulteriore elemento ritenuto fondamentale per l’avvio di Mani Pulite. Le figure 6.1 e 6.2 riportano i principali casi di corruzione registrati a partire dal 1971. Questi casi sono stati giudicati dalla magistratura singolarmente, sebbene molti di essi fossero legati tra loro, come per esempio la vicenda del Banco Ambrosiano e quella della Loggia P2. L’inchiesta Mani Pulite segna una svolta nel modo di procedere delle indagini. I vari casi di corruzione che emergono dalle indagini di tale inchiesta giudiziaria vengono collegati tra loro, arrivando a ricostruire buona parte di Tangentopoli, ovvero il sistema della corruzione presente. Tale considerazione è facilmente riscontrabile se si contano i casi riportati dalle figure 6.1 e 6.2 negli anni Ottanta e negli anni Novanta.
A tal riguardo, nell’intervista condotta da Davide Pinardi, Piercamillo Davigo riscostruisce il modus operandi della magistratura negli anni Novanta:
Il problema è che fino a quando non si hanno notizie di reato non cominciano le indagini. Ma quando finalmente iniziano si scoprono rapidamente i pubblici ufficiali che hanno