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LA CORRUZIONE NEL PERIODO 1974 1995: ANALISI DEI DAT

CAPITOLO 5 GLI “ATTORI”

5.4 Mafia e malavita italiana

Il sistema degli scambi occulti instaurato da Sindona e Calvi ha portato, come si è visto riguardo ai rapporti con la Loggia P2 e con il Vaticano, a una notevole incertezza riguardo alle date dei principali incontri. L’amicizia tra Michele Sindona e la Mafia viene fatta risalire alla Liberazione122 e alla fine degli anni Cinquanta (1957) il banchiere siciliano viene invitato a partecipare al vertice mafioso che si svolge all’hotel

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Caretto, E., Le accuse della vedova di Calvi «Perché uccisero mio marito», in “La Stampa”, 7 ottobre 1982, pp.1-2.

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Pinotti, F., Poteri forti, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 2005, p.176.

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Il giudice Ferdinando Imposimato afferma: «L’avventura del banchiere di Patti iniziò a Palermo nel 1944, con un florido commercio di armi, ricevute dagli americani appena sbarcati e rivendute ai separatisti siciliani, che sognavano uno Stato isolano indipendente, o federato agli Stati Uniti, in primis Lucky Luciano». Imposimato, F., L’Italia segreta dei sequestri, Roma, Newton Compton editori s.r.l., 2013, p. 162.

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Delle Palme di Palermo con ordine del giorno la gestione del mercato della droga123. Una data certa è quella del 1° novembre 1967 dove Fred J. Douglas, capo dell’International Criminal Police Organization di Washington, scrive alla Criminalpol di Roma affermando:

I seguenti individui sono implicati nell’illecito traffico di sedativi, stimolanti e allucinogeni tra l’Italia e gli Stati Uniti e fra altre regioni d’Europa:

- Daniel Anthony Porco, nato a Pittsburg (USA) il 7 novembre 1922, professione contabile. Pare abbia grosse somme in Italia, presumibilmente ricavate da attività illecite negli Stati Uniti;

- Michele Sindona, nato a Patti (Messina) l’8 maggio 1920, professione procuratore, residente a Milano in via Turati;

- Ernest Gengarella, che pare abbia interesse nel motel Sands di Las Vegas; - Vio Rolf, nato a Milano, su cui per il momento non abbiamo altri dati124.

La lettera viene trasmessa alla polizia di Milano e tre mesi dopo il questore Giuseppe Parlato risponde nel seguente modo:

Allo stato degli accertamenti da noi svolti, non sono emersi elementi per poter affermare che le persone di cui innanzi, e soprattutto il Porco e il Sindona, siano implicati nel traffico degli stupefacenti tra l’Italia e gli USA125

.

La Relazione di minoranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia rileva come già agli inizi degli anni Settanta vi fossero stretti rapporti d’affari tra malavita siciliana e Michele Sindona. In particolare rileva:

La mafia agrigentina ha tentato recentemente un rilancio di tipo moderno con una operazione speculativa di carattere finanziario collegata con il sottobosco delle finanza milanese del clan di Sindona e realizzata quasi interamente in provincia di Agrigento. Si tratta dell’ ‘Interfinanziaria S.p.a.’, con sede centrale a Milano, che riusciva ad aprire oltre 20 sportelli in provincia di Agrigento in piccoli comuni spogliati dell’emigrazione e economicamente molto depressi. All’improvviso la vecchia e la nuova mafia si attivizzò e cominciò il reclutamento dei depositi: una vera e propria caccia al risparmio di emigrati, ex possidenti, piccoli e medi proprietari di terre che, spinti dall’elevato tasso di interesse concesso (più del doppio del tasso praticato da altre banche!) e a volte da promesse

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Marco Magnani, Rita di Giovacchino e Ferruccio Pinotti fanno risalire tale incontro al 1957 e

quest’ultimo fornisce inoltre il giorno esatto: 2 novembre. Secondo Lombard tale riunione si tenne invece il 12 ottobre 1964 all’hotel Due Palme di Palermo. Cfr. Magnani, M., Sindona. Biografia degli anni

Settanta, Torino, Einaudi, 2016, p. 125; Di Giovacchino, R., Il libro nero della prima Repubblica, Roma,

Fazi Editore srl, 2005, p. 1958; Pinotti, F., Poteri forti, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 2005, pp. 46-47; Lombard, Soldi truccati: i segreti del sistema Sindona, Milano, Feltrinelli, 1980, p. 15.

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Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Sindona e sulle responsabilità politiche ed amministrative ad esso eventualmente connesse – VIII legislatura – Doc. XXIII n. 2-sexies, Relazione conclusiva, relatore on. Giuseppe Azzaro, Roma, 15 aprile 1982, p. 171. [online] Disponibile a: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/907991.pdf

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d’impiego nelle agenzie dell’Istituto, riversarono nelle sue casse più di 4 miliardi e mezzo di depositi nel volgere di poco tempo126.

La Relazione di maggioranza della medesima Commissione afferma:

Sono stati frequenti i casi di finanziamenti concessi con la mediazione di personaggi in qualche modo collegati al mondo della mafia, così come non sono mancate le ingenti fortune patrimoniali costruite sulla degenerazione e sui difetti del sistema bancario. Una legge bancaria, nata in un clima e in tempi diversi e diretta a sostenere certi gruppi di pressione, si è rivelata inadeguata nel dopoguerra alle esigenze del mercato creditizio e ha favorito la formazione in Sicilia di una costellazione inverosimile di istituti bancari, non dissimile, pur nella diversità delle dimensioni, da quella sulla quale, negli ultimi anni, ha costruito il suo impero personale Michele Sindona127.

Michele Sindona rappresenta per la Mafia il punto di riferimento per le operazioni di ripulitura e di investimento del denaro proveniente dai traffici illeciti. Il sociologo Pino Arlacchi dichiara a riguardo:

Tutto il capolavoro dell’avvocato Sindona è consistito appunto nella creazione di un canale di comunicazione tra il circuito finanziario legale e il circuito dei capitali accumulati illegalmente. Prima degli anni Settanta non esistevano in Italia collegamenti organici tra i due circuiti128.

Grazie alle proprie doti il banchiere di Patti contribuisce a incrementare le fortune della criminalità organizzata, reinvestendo nel mercato legale dell’economia i proventi derivanti dalla produzione e vendita di droga, dal commercio di armi e dai riscatti derivanti dai sequestri di persona. Pino Arlacchi, esponendo il concetto di mafia

imprenditrice129, offre un confronto tra gli “investimenti” della mafia americana e

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Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia – VI legislatura – Doc. XXIII

n. 2, Relazione di minoranza, relatori onn. La Torre, Benedetti, Malagugini, Adamoli, Chiaromonte, Lugnano, Maffioletti, Terranova, Roma, 4 febbraio 1976, p. 608. [online] Disponibile a:

http://legislature.camera.it/_dati/leg06/lavori/stampati/pdf/023_002001.pdf

La Relazione di minoranza evidenzia, inoltre, come il fenomeno del clientelismo (§ 2.1.4) sia talmente diffuso all’interno dell’Interfinanziaria S.p.a. al punto che «gli impiegati assunti, spesso senza i necessari titoli ed un adeguato grado di istruzione, erano quasi tutti figli o parenti stretti di esponenti mafiosi locali, i quali non avendo mansioni burocratiche da svolgere venivano utilizzati come ricercatori di clienti, data, appunto, la loro ‘influenza’».

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Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia – VI legislatura – Doc. XXIII

n. 2, Relazione di maggioranza, relatori onn. Carraro, Roma, 4 febbraio 1976, pp. 200-201. [online] Disponibile a: http://legislature.camera.it/_dati/leg06/lavori/stampati/pdf/023_002001.pdf

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Arlacchi, P., La mafia imprenditrice. Dalla Calabria al centro dell’inferno, Milano, Il Saggiatore, 2007, p. 170.

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Pino Arlacchi ipotizza, nel proprio elaborato, che «l’impresa mafiosa costituisca un tipo di impresa definito, la cui superiorità economica sulle altre imprese viene garantita – a parità di tutte le altre condizioni – da tre differenziali specifici che costituiscono i suoi specifici vantaggi competitivi rispetto a una impresa ‘normale’». Tali vantaggi competitivi comprendono:

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italiana. In particolare, l’autore pone l’attenzione sulla difficoltà per la mafia americana di riversare i capitali illegali sul mercato legale a causa delle presenza di barriere all’entrata quali le leggi sui capitali di dubbia provenienza, l’assenza del segreto bancario, l’efficace attività della polizia e dell’FBI e dal basso tasso di profitto dell’investimento nel mercato legale. Contrariamente, in Italia, l’inesistenza di leggi antimafia (la prima legge risale al 1982) e la limitata ampiezza del un mercato illegale (tranne che per la droga) hanno contribuito al riciclaggio di denaro sporco nel mercato legale130.

Con il crollo dell’impero Sindona anche gli investimenti della criminalità organizzata subiscono una forte battuta di arresto e nell’intento di recuperare i piccioli andati in fumo nelle spericolate manovre speculative del banchiere siciliano, la Mafia decide di aiutare don Michele nella messa in scena del proprio rapimento131. I magistrati Gianni Simoni e Giuliano Turone, ripercorrendo gli avvenimenti principali della vita di Michele Sindona nell’anno 1979, asseriscono:

Michele Sindona non si arrende, e così facendo imbocca la strada che dal purgatorio porta all’inferno. Poiché i suoi progetti non hanno successo, scende sempre più in basso, in un percorso nel quale l’eccentricità, l’astuzia, le blandizie, la corruttela e la sfrontatezza paiono cedere progressivamente il passo alla follia132.

Michele Sindona scompare da New York il 2 agosto 1979, a meno di un mese dalla morte del commissario liquidatore della Banca Privata Italiana Giorgio Ambrosoli. Il giorno seguente alla scomparsa la segreteria del banchiere siciliano riceve una telefonata e le viene riferito che Sindona è stato preso prigioniero. Il 9 agosto arriva una nuova rivendicazione nella quale viene annunciato che il prigioniero è nelle mani del

Gruppo proletario di eversione per una giustizia migliore. Nei messaggi che vengono

recapitati a persone vicine a Sindona quali la segretaria Xenia Vago, i familiari di Sindona e gli avvocati del banchiere John Kirby, Marvin Frankel e Rodolfo Guzzi,

- la compressione salariale (attraverso l’evasione dei contributi previdenziali e assicurativi e la non retribuzione degli straordinari) e maggiore fluidità della manodopera occupata nell’impresa mafiosa;

- la maggiore disponibilità di risorse finanziarie rispetto a un’impresa “pulita”.

Arlacchi, P., La mafia imprenditrice. Dalla Calabria al centro dell’inferno, Milano, Il Saggiatore, 2007, pp. 100-111.

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ivi, p. 112.

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A riguardo, Gianni Simoni e Giuliano Turone riportano uno stralcio di un dialogo tra due criminali appartenenti a Cosa Nostra Marino Mannoia e Stefano Bontate, nel quale quest’ultimo asserisce che Sindona ha investito i soldi del Bontate stesso e anche quelli di Totuccio Inzerillo e di John Gambino. Simoni, G. e Turone, G., Il caffè di Sindona, Milano, Garzanti Libri s.p.a., 2009, p. 20.

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131 emerge il ruolo del banchiere siciliano quale vittima del sistema giudiziario, del comunismo e dei politici che lo avevano abbandonato dopo la morte dell’avv. Ambrosoli.

In realtà le lettere vengono scritte dallo stesso Sindona e affidate a uomini di fiducia di Cosa Nostra i quali attraversano l’oceano allo scopo di far risultare spedite dagli Stati Uniti le missive del fantomatico Gruppo proletario. A riguardo, il giudice Ferdinando Imposimato che si è occupato del finto rapimento di Sindona, commenta:

Lo stile del messaggio era vagamente quello delle BR, ma non c’era una giustificazione ideologica per il sequestro. Pensai mancasse un interesse politico a rapire un finanziere fallito e assediato dai creditori: l’ipotesi di autofinanziamento proletario attraverso il sequestro non reggeva. Oltretutto, nessuna somma era stata richiesta. Altra anomalia rispetto all’ipotesi di un rapimento terroristico, era la provenienza da Brooklyn del messaggio. L’idea che un partito comunista combattente avesse creato una base operativa a New York mi sembrava davvero improbabile: mancava qualunque indizio in tal senso133.

Sindona, aiutato da mafiosi siciliani i quali gli procurano un passaporto falso intestato a Joseph Bonamico, vola da New York a Vienna e dopo varie tappe intermedie (Atene, Brindisi, Caltanissetta) giunge il 17 agosto 1979 nel capoluogo siciliano. In seguito, dopo l’arrivo in Sicilia di John Gambino (6 settembre 1979) Sindona si trasferisce fuori Palermo in un villino di proprietà dei suoceri di Rosario Spatola134. Le indagini svolte hanno consentito di affermare che nella messa in scena del rapimento, Michele Sindona è stato aiutato dalla Mafia e un articolo del quotidiano “La Repubblica” si spinge oltre arrivando a dichiarare che quello di Sindona «fu un soggiorno a tratti piacevole: lunghe passeggiate in Via Libertà, sontuose cene nei migliori ristoranti a mare a Mondello, puntatine nelle banche per cambiare dollari sotto il falso nome di Joseph Bonamico»135.

La missiva più rilevante risulta essere quella datata 12 settembre 1979 e indirizzata all’avvocato Guzzi, nel cui testo sono elencate le dieci richieste dei rapitori:

1. Lista dei 500. Fornire nomi: ne bastano dieci purchè si tratti di personaggi in vista delle finanza o della politica.

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Imposimato, F., L’Italia dei sequestri. Le inchieste shock dal caso Moro a Emanuela Orlandi, Roma, Newton Compton editori s.r.l., 2013, p. 168.

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Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Sindona e sulle responsabilità politiche ed amministrative ad esso eventualmente connesse – VIII legislatura – Doc. XXIII n. 2-sexies, Relazione

conclusiva, relatore on. Giuseppe Azzaro, Roma, 15 aprile 1982, p. 169. [online] Disponibile a: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/907991.pdf

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Quel soggiorno con i mafiosi, in “La Repubblica”, 27 settembre 1984, p. 2. [online] Disponibile a: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/09/27/quel-soggiorno-con-

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2. Nomi delle Società estere (costituite dalla Bpi o dallo studio Sindona) di proprietà o di cui potevano disporre persone connesse con la Democrazia Cristiana, e relativi movimenti di fondi.

3. Lo steso per il Psi e per il Psdi.

4. Pagamenti effettuati, con prelievo di somme dalle banche di Sindona italiane ed estere, a partiti politici o a personalità politiche.

5. Operazioni regolari o irregolari in titoli o merci effettuate da Michele Sindona o dai dirigenti delle banche per conto di partiti politici o di personalità politiche.

6. Operazioni irregolari in titoli o merci effettuate per conto di clienti importanti.

7. Bilanci falsi depositati in banca per ottenere credito da società importanti, con lo scopo di danneggiare i piccoli azionisti.

8. Operazioni effettuate dallo studio Sindona o dalle sue banche per conto di società importanti, con lo scopo di danneggiare i piccoli azionisti.

9. Operazioni irregolari effettuate con l’aiuto di Sindona, di due banche e loro funzionari per conto del Vaticano, della Snia-Viscosa, della Montedison, di società di Agnelli, Ursini, di Rovelli, di Bonomi, di Monti, o di altri importanti.

Anche per i punti dal terzo al nono bastano una decina di casi importanti. Desideriamo elementi di riferimento precisi, cioè i numeri di conto, o specificazione del bilancio falso o di singole operazioni.

10. Se è vero che Michele Sindona ha richiesto ai Magistrati italiani e americani, da molto tempo e quando, gli esperti per verificare i conti delle sue banche italiane ed estere (compresa Amincor Bank) e se, quando e con quale documenti, ha esonerato le banche estere dal vincolo bancario136.

I veri destinatari delle lettere sono tutti gli attori coinvolti a vario titolo nel sistema degli scambi corrotti instaurato da Michele Sindona. Lo scopo è quello di suscitare tra i vecchi compagni d’affari il timore che il “prigioniero Sindona” possa rivelare nomi e operazioni scottanti allo scopo di ricevere il tanto sospirato aiuto. Tuttavia, anche questo tentativo fallisce e Sindona, invece di battere in ritirata, decide di alzare ancora il tiro. Il 18 settembre invia da Roma una lettera di minacce al suo acerrimo nemico Enrico Cuccia, direttore generale di Mediobanca, mentre il 5 ottobre viene incendiata la porta d’ingresso dell’abitazione milanese di Cuccia. Il 25 settembre (la data esatta è fornita dalla Relazione conclusiva della Commissione parlamentare sul caso Sindona), in prossimità di un incontro segreto a Vienna richiesto dai “rapitori” agli avvocati di Sindona, il banchiere di Patti si fa sparare a una coscia dal fidato dottor Miceli Crimi al fine di avvalorare la tesi del rapimento. Gli avvocati di Sindona si sarebbero resi conto in prima persona della crudeltà dei rapitori e, avvalorando di conseguenza la tesi del sequestro, avrebbero dato uno slancio al piano ricattatorio sindoniano che aveva subito una battuta d’arresto. Il piano va in fumo a causa dell’inefficienza del servizio postale il quale si rivela tuttavia di fondamentale aiuto per l’Autorità giudiziaria. Il mancato

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133 recapito della missiva costringe i “sequestratori” (in particolare Francesca Paola Longo) ad avvisare telefonicamente l’avv. Guzzi che l’indomani avrebbe ricevuto da un corriere una lettera dei “rapitori”. La polizia, che controlla il telefono dell’avvocato di Sindona, il 9 ottobre intercetta il corriere Vincenzo Spatola. L’arresto di quest’ultimo fa saltare tutti i piani di Sindona e la criminalità organizzata siciliana decide di abbandonare definitivamente don Michele. I soci di Sindona decidono di far rientrare il banchiere a New York il 13 ottobre e la mattina del 16 ottobre, in una cabina telefonica di Manhattan, Michele Sindona ricompare ufficialmente.

Riguardo l’arresto di Spatola, il giudice Ferdinando Imposimato propone le dichiarazione rilasciategli da Giuseppe Miceli Crimi:

Ero con don Michele quando abbiamo saputo che Vincenzo Spatola si era fatto prendere dalla polizia. Appresa la notizia, divenne pallido come un morto e ci ha chiesto con voce tremante: ‘Che ne sarà di me?’ John Gambino gli rispose: ‘Tu torni a New York e dichiari che i tuoi rapitori ti hanno liberato’. Le guance rigate di lacrime, don Michele allora replicò: ‘Ma finirò in prigione!’ Allora, disgustato da quel mollusco che c’era già costato un mucchio di soldi, si è voltato dall’altra parte. Prima di andar via, gli fece: ‘Non sei più nessuno. Le tue famose relazioni non hanno alzato un dito per aiutarti. Michele sei finito. Fortunatamente, abbiamo chi è capace di rimediare ai tuoi errori’137.

Così come il Vaticano e la loggia massonica Propaganda Due, anche la mafia siciliana decide di abbandonare Michele Sindona e di rivolgersi al suo erede naturale: il banchiere milanese Roberto Calvi. Se tale scelta può risultare immediatamente evidente, maggiori dubbi si pongono sul perché la Mafia abbia deciso di aiutare Sindona nel finto rapimento. Secondo l’economista Marco Magnani il motivo di tale interessamento è dovuto alla volontà di Stefano Bontate e Salvatore Inzerillo di recuperare i soldi del traffico di droga affidati al banchiere di Patti e andati perduti con il fallimento delle sue banche138. Lo scrittore Carlo Lucarelli, invece, pone l’attenzione sui documenti di proprietà di Sindona e motiva il viaggio in Sicilia di quest’ultimo con la volontà di recuperare dei documenti ricattatori da usare al fine di ricevere aiuto e uscire da una situazione diventata disperata. L’autore prosegue il proprio ragionamento ponendo vari interrogativi:

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Imposimato, F., Un juge en Italie: pouvoir, corruption, terrorisme. Les dossiers noirs de la Mafia, Paris, Éditions de Fallois, 2000, p. 217 (traduzione dell’autore).

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Magnani, M., Sindona. Biografia degli anni Settanta, Torino, Einaudi, 2016, p. 134. Cfr. Simoni, G. e Turone, G., Il caffè di Sindona, Milano, Garzanti Libri s.p.a., 2009, p. 20.

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La trova quella lista? Forse no. O forse si, la trova ma la deve cedere a qualcun altro: alla Mafia, a Stefano Bontade [correttamente Bontate], in cambio della cancellazione dei debiti e dell’annullamento di una sicura condanna a morte139.

Seguendo il ragionamento di Lucarelli viene avvalorata la tesi del mandante mafioso nell’omicidio di Roberto Calvi e a riguardo, il giornalista Ferruccio Pinotti, avvalendosi delle indagini effettuate dai pubblici ministeri Luca Tescaroli e Maria Monteleone, riporta diverse confessioni rilasciate da pentiti di mafia. Questi ultimi concordano sul fatto che Roberto Calvi sia stato scelto quale sostituito di Michele Sindona nel riciclaggio del denaro proveniente dalle attività illegali di Cosa Nostra. Sul movente dell’omicidio, Pinotti riporta uno stralcio dell’ordinanza di custodia in carcere di Giuseppe Calò (detto Pippo, ritenuto il cassiere di Cosa Nostra) dalla quale emergono tre punti chiave che hanno portato alla decisione di uccidere Calvi:

a) la revoca della carica di presidente del Banco Ambrosiano avrebbe potuto trasformare Calvi in una scheggia impazzita;

b) la paura che Calvi, il quale aveva già rilasciato una dichiarazione, poi ritrattata, riguardo ai finanziamenti occulti ai partiti politici, potesse ammettere di essere coinvolto nel riciclaggio di denaro mafioso;

c) il timore che il banchiere milanese potesse ricattare i “soci siciliani”140. La tesi secondo la quale Calvi sia succeduto a Sindona quale banchiere di fiducia del sistema degli scambi corrotti è avvalorata dal giudice Luca Tescaroli. Quest’ultimo, basandosi sulle dichiarazioni resegli dal collaboratore di giustizia Antonino Giuffrè, ripercorre l’avvicendamento dei due banchieri dichiarando:

‘Giuffrè spiegò che Calvi aveva preso il posto che era stato di Sindona e che il cassiere della mafia Pippo Calò era riuscito a mettersi in contatto con Calvi proprio tramite il banchiere di Patti. Segnatamente, Calò aveva instaurato rapporti con Calvi negli anni Settanta, attorno al 1974-1975, tramite l’uomo d’onore Sindona. […] La circostanza che il Banco ambrosiano abbia funto da riciclatore di capitali per conto di Cosa Nostra trovò un conforto obiettivo negli accertamenti effettuati sul sequestro di Pietro Torielli, avvenuto il 18 dicembre 1972 a Vigevano. L’imprenditore venne rilasciato il 7 febbraio 1973 a Opera, dietro pagamento della somma di 1,5 miliardi di lire da parte dei familiari. Risultò il versamento del riscatto, per complessivi 841 milioni di lire, presso conti del Banco ambrosiano. […] In definitiva Calvi, nel subentrare a Michele Sindona, risultò svolgere una funzione di volano tra i vecchi e i nuovi equilibri strategici avvicendatisi in seno a Cosa Nostra dopo la cosiddetta ultima guerra di mafia. Se Calvi avesse messo in atto il suo