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Il danno ambientale preso in considerazione dalla direttiva.

IL DANNO AMBIENTALE

8. La disciplina europea in tema di ambiente: la direttiva comunitaria nr 2004/35/CE

8.5 Il danno ambientale preso in considerazione dalla direttiva.

A differenza di quanto era stato proposto nel Libro Bianco, che prevedeva di prendere in considerazione congiuntamente il danno all'ambiente e i c.d. danni tradizionali, e a differenza di quanto previsto nella nostra previgente legislazione, la direttiva copre solo alcune fattispecie di danno all'ambiente.

L'art. 3.3. della direttiva esclude infatti la risarcibilità delle posizioni individuali, stabilendo che: "Ferma restando la pertinente legislazione nazionale, la presente direttiva non

70 Gli argomenti economici al riguardo sono stati avanzati da Landes e Posner,

Joint and Multiple Tortfeasors: an Economic Analysis, in Journal of Legal Studies, 517(1980); per una analisi completa cfr. Frezza, Parisi, Rischio e causalità nel concorso di colpa, in Riv. dir. civ., 1991, I, 233.

conferisce ai privati un diritto a essere indennizzati in seguito a un danno ambientale o a una minaccia imminente di tale danno". Il dato essenziale per poter cogliere le novità che la direttiva impone al nostro ordinamento interno è che non contiene alcuna indicazione che possa far intendere l'ambiente come un bene unitario, secondo la declinazione che era stata data dall'art. 18 legge 349/1986. Al contrario essa identifica tre specifiche risorse ambientali:

1. il danno alle specie e agli habitat naturali protetti, così come disciplinati dalle direttive 92/43/CEE e 79/409/CEE;

2. il danno alle acque, vale a dire qualsiasi danno che incida in modo significativamente negativo sullo stato delle acque, così come definito dalla direttiva 2000/60/CE;

3. il danno al terreno, vale a dire qualsiasi contaminazione del terreno che crei un rischio significativo di effetti negativi sulla salute umana a seguito dell'introduzione diretta o indiretta nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi nel suolo.

Per cogliere questo aspetto appare necessario ricordare che, come accennato, il modello italiano è rimasto isolato nel contesto europeo.

Inoltre, come si avrà modo di vedere, il diritto vivente italiano sembra aver intrapreso una strada del tutto diversa rispetto alla fattispecie legale in cui erano cancellati tutti i profili logicamente deducibili dal principio europeo chi inquina paga, salvo quello della colpa dell'agente. Non stupisce quindi che l'apporto dell'esperienza italiana in sede di elaborazione della normativa europea sia stato pressoché nullo.

Va infatti ricordato come in sede comunitaria la nozione di danno ambientale sia stata al centro di un lungo dibattito che trova nel Libro Verde sul risarcimento dei danni all'ambiente del 1993 un ampio studio di riferimento sui principali sistemi di responsabilità ambientale, e nel Libro Bianco sulla responsabilità

per danni all'ambiente del 2000 un documento strategico per le future scelte della Commissione europea.

La direttiva del 2004 pur non pronunciandosi, comprensibilmente, sulla nozione di ambiente sotto un profilo ontologico, tuttavia fornisce direttamente la nozione di "danno" da impiegarsi all'interno del sistema di responsabilità da essa delineato, per cui si deve intendere "un mutamento negativo misurabile di una risorsa naturale o un deterioramento misurabile di un servizio di una risorsa naturale, che può prodursi direttamente o indirettamente".

Sempre ai sensi della direttiva per "servizio" deve intendersi "la funzione svolta da una risorsa naturale a favore di altre risorse naturali e/o del pubblico".

Emerge da tale disposizione l'importanza del criterio della misurabilità del detrimento ambientale, che la nozione di cui all'art. 18 legge 349/1986 lasciava del tutto nell'ombra. Sia chiaro che la misurabilità cui fa riferimento la direttiva non significa quantificazione in senso economico del danno, e, quindi, del relativo obbligo risarcitorio; significa, invece, misurabilità in senso fisico secondo i normali metodi quantitativi delle scienze della natura. Ma perché siano applicabili tali criteri occorre che sia identificata la risorsa ambientale lesa, come appunto fa la direttiva rivolgendosi esclusivamente alle acque, ai suoli (nei limiti anzidetti) e alla biodiversità.

Esiste quindi un nesso sistematico forte tra la nozione di misurabilità della lesione ambientale e l'identificazione di precise risorse ambientali, nesso sistematico che esclude nozioni vaghe ed omnicomprensive di ambiente e, conseguentemente, di danno ambientale.

Così intesa, la nozione di danno ambientale di cui alla direttiva in esame comporta alcune notevoli conseguenze.

La prima è la più evidente: non è più riproponibile l'idea di ambiente come bene immateriale, che si era affacciata da noi sia in dottrina che in giurisprudenza, ove anzi essa è prevalente

grazie all'autorevolezza delle Corti che l'hanno accolta. Per quanto autorevole sia la giurisprudenza sul punto il suo insegnamento non può perpetuarsi in un diverso quadro normativo, specie se si tratta di un quadro normativo europeo. La seconda è che senza contraddire necessariamente la nozione di ambiente come bene unitario, tuttavia il criterio di misurabilità del danno ambientale impedisce di scollegare la lesione del bene ambiente dalla lesione di specifici beni.

Tuttavia, al fine di comprendere meglio quali modifiche la direttiva comporti per l’esperienza italiana occorrerà analizzare più in dettaglio quali siano i criteri di risarcimento del danno fatti propri dalla stessa direttiva.

Prima di fare ciò è tuttavia necessario riferire attorno alla nozione di singola risorsa che, come predetto, integra un certo grado di novità rispetto al modello nazionale.

Si è già osservato come dalla direttiva emerge una nozione di danno ambientale tripartita che prende in considerazione: le acque, la biodiversità e i suoli, che vengono definite ai sensi della precedente legislazione comunitaria già in vigore.

Solo nell'ambito dell'ipotesi concernente l'inquinamento dei suoli viene invece presa in considerazione la nocività del danno all'ambiente per la salute umana.

Occorre infine sottolineare come nella versione definitiva della direttiva, il 4° Considerando specifichi che il danno ambientale "include altresì il danno causato da elementi aerodispersi nella misura in cui possono causare danni all'acqua, al terreno o alle specie e agli habitat naturali protetti".

La direttiva non si applica invece, per espressa disposizione, a quei danni causati da inquinamenti di carattere diffuso, a meno che non sia accertabile un nesso causale tra il danno e le attività dei singoli operatori71.

71 Così dispone l'art. 4, comma 5: "La presente direttiva si applica al danno

Per quanto concerne la minaccia di danno, la direttiva prevede che il sistema di responsabilità ambientale si applichi non solo al danno vero e proprio, ma anche qualsiasi minaccia di danno imminente.

La minaccia imminente di danno viene definita come il rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno ambientale in un futuro prossimo.

Per misure di prevenzione si devono intendere, ai sensi della direttiva, le misure prese per reagire a un evento, un atto o un'omissione che ha creato una minaccia imminente di danno ambientale, al fine di impedire o minimizzare tale danno. Il senso di tale disposizione è che anche le azioni di danno temuto, o analoghi provvedimenti, debbono avere, pur operando all'interno di un ragionamento prognostico, come dato di riferimento sostanziale gli stessi elementi costitutivi della fattispecie di danno ambientale che si sono appena esaminati.