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Il problema del nesso causale.

IL DANNO AMBIENTALE

8. La disciplina europea in tema di ambiente: la direttiva comunitaria nr 2004/35/CE

8.2 Il problema del nesso causale.

Già nella Proposta di direttiva, si era sottolineato come fosse stato ritenuto inopportuno optare per un regime dove i principi usuali in termini di onere della prova e di nesso causale sarebbero stati significativamente alterati66.

Nel sistema delineato dalla direttiva questo caposaldo rimane intangibile.

In questo senso dispone infatti il 13° Considerando della direttiva, specificando chiaramente che: "A non tutte le forme di danno ambientale può essere posto rimedio attraverso la responsabilità civile. Affinché quest'ultima sia efficace è necessario che vi siano uno o più inquinatori individuabili, il danno dovrebbe essere concreto e quantificabile e si dovrebbero accertare nessi causali tra il danno e gli inquinatori individuati. La responsabilità civile non è quindi uno strumento adatto per trattare l'inquinamento a carattere diffuso e generale nei casi in cui sia impossibile collegare gli effetti ambientali negativi a atti o omissioni di taluni singoli soggetti".

Il principio è ripreso dall'art. 4 (Eccezioni), comma 5 della direttiva, che condiziona l'applicazione della normativa comunitaria al danno ambientale o alla minaccia imminente di tale danno causati da inquinamento di carattere diffuso alla concreta possibilità di accertare un nesso causale tra il danno e le attività di singoli operatori.

Ciò non deve sorprendere posto che la direttiva richiama il principio "chi inquina paga" come sua base giuridica all'art. 1. Si è visto infatti che tale principio, pur essendo incompleto per quanto attiene l'identificazione della struttura della fattispecie del danno ambientale, tuttavia comporta alcune esclusioni. In applicazione di detto principio la direttiva 2004/35/CE richiede che sia l'effettivo responsabile del danno a sopportare i costi della

prevenzione e della riparazione del danno, stabilendo altresì che qualora l'iniziativa sia stata presa dall'Autorità competente, questa possa recuperare dall'operatore attraverso idonee garanzie (reali o finanziarie), i costi sostenuti in relazione alle azioni di prevenzione e riparazione.

In linea più generale, occorrerà sottolineare come i rigorosi principi dettati dalla direttiva in ordine al nesso causale, recepiscano appieno le elaborazioni svolte a questo proposito dalla dottrina europea, secondo la quale il problema del nesso di causalità non è tema che può essere trattato disgiuntamente da quello degli scopi che ci si ripromette di raggiungere con lo strumento della responsabilità civile in questo settore. La scelta di una regola causale piuttosto che di un'altra viene infatti ad incidere direttamente sulle modalità e sui livelli di svolgimento di una determinata attività, ampliando o restringendo l'area dei rischi che possono essere imputati ad un operatore, non diversamente da quanto avviene con la scelta di un determinato tipo o regime di responsabilità.

L'esame sui criteri per determinare il nesso di causalità tra una determinata attività imprenditoriale ed un danno all'inquinamento dovrà dunque tener presente il fatto che si tratta sempre di un problema di opportunità in relazione al momento in cui smettere di ripercorrere a ritroso lo svolgimento causale.

Essendo il nesso di causalità finalizzato a selezionare le conseguenze dannose di una determinata azione o attività, la sua identificazione dovrà essere affrontata tenendo conto dello scopo e dei propositi che hanno le norme la cui violazione ha portato al verificarsi del danno.

Le soluzioni da adottare in materia di nesso di causalità non potranno quindi astrarre dagli scopi che si prefigge la responsabilità civile in campo ambientale e dovranno quindi essere elaborate in sintonia con questi ultimi.

Tali soluzioni dovranno in particolare essere poste in riferimento con gli scopi di prevenzione e di deterrenza che la responsabilità

civile si propone di raggiungere nel settore ambientale, affinché la problematica del nesso di causalità non vanifichi gli intenti perpetrati con lo strumento della responsabilità civile, ma − anzi − si ponga in linea con gli obiettivi di quest'ultima.

Secondo una parte della dottrina appare chiaro, e conseguente a quanto appena detto, che la disciplina del nesso di causalità si atteggerà in modo differente a seconda che si tratti di identificare il nesso di causalità nel caso di danni derivanti da una azione illecita, oppure da attività rischiosa, ma lecita. Essendo infatti diverse le funzioni dei due tipi di responsabilità, diversa dovrebbe essere anche la disciplina del nesso di causalità. Mentre infatti le funzioni svolte dalla responsabilità civile per atto illecito sono quelle della reintegrazione del patrimonio del danneggiato da un lato e, dall'altro, quella di sanzionare determinati comportamenti così da prevenirli per il futuro, la responsabilità oggettiva per rischio lecito, pur condividendo la prima di queste due funzioni, pone l'accento soprattutto sulla funzione di razionalizzazione dell'attività economica pericolosa, costituendo una pressione economica nei confronti dell'imprenditore in questo senso. Ponendosi il problema della selezione delle conseguenze dannose risarcibili secondo questa dottrina si dovranno profilare diversamente anche i criteri limitativi di queste ultime. Se infatti è vero che non sono riscontrabili differenze sostanziali in relazione ai criteri limitativi derivanti dalla prima delle due funzioni della responsabilità civile, ossia quella reintegrativa, diversi sono i limiti reputati connessi con l'altra funzione della responsabilità, che nel caso della responsabilità per atto illecito dovrebbe essere di tipo sanzionatorio e preventivo, mentre nel caso della responsabilità oggettiva di mera distribuzione economica del rischio.

In definitiva, ove l'attività inquinante sia stata autorizzata, non potranno essere presi in considerazione danni solo arduamente riconducibili all'attività posta in essere dell'operatore, così come espressamente richiamato dalla direttiva.