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Il debito pubblico

Nel documento FGM: un problema da porre (pagine 103-105)

gian ceSare romagnoLi*

2. Il debito pubblico

il debito pubblico è contratto nor- malmente dallo Stato e dalle altre am- ministrazioni pubbliche per far fronte a spese straordinarie o a temporanee deficienze di cassa. I prestiti pubblici sono la fonte più importante di entra- te straordinarie per gli Stati moder- ni. una volta erano stipulati per som- me ridotte e a breve scadenza, diretta- mente dai sovrani, che ne rispondevano con i loro patrimoni o con la concessio- ne al creditore dell’amministrazione di qualche gabella. oggi, invece, i presti- ti sono contratti sia dallo Stato che dai governi sub-centrali e da enti pubblici minori senza garanzie reali. ciò spie- ga l’evoluzione verso somme enormi e con lunga scadenza, oltre al fatto che il successo del prestito è legato alla fi- ducia che il risparmiatore pone sul de- bitore pubblico il quale, per mantener- la, dovrebbe adempiere puntualmente agli impegni assunti con i propri credi- tori. di qui l’importanza assunta dalle agenzie di rating, che valutano, tra le loro attività, i debiti sovrani. da loro, l’italia ha spesso subito duri giudizi a causa della dimensione del suo debito.

Storicamente, il debito pubblico era legato soprattutto a condizioni di emer- genza, ad esempio le guerre, che lo giu- stificavano appunto come una forma di finanziamento straordinario. In un pae- se finanziariamente progredito, il debi-

to pubblico ha, invece, una funzione fi- siologica, nel senso che, con la crescita del reddito, allo stesso modo in cui si manifesta l’esigenza di un ampliamen- to della circolazione della moneta, così si accresce la necessità di disporre di ti- toli del debito pubblico. La giustificazio- ne teorica dei deficit pubblici finanziati dalla vendita di titoli del debito pubbli- co nei momenti bassi del ciclo economi- co si rinviene nel corpus teorico keyne- siano. nel quadro di una politica di de-

ficit spending, il debito pubblico rap- presenta l’esito della regolamentazio- ne della domanda globale. ma le politi- che “keynesiane” avviate nel corso del secondo dopoguerra hanno progressi- vamente trascurato il ruolo congiuntu- rale assegnato loro da Keynes e hanno perseguito obiettivi politici diversi so- vente non virtuosi (acquisizione mone- taria del consenso, appropriazione inde- bita di risorse pubbliche, etc.).

ma quando un debito è eccessivo ri- spetto al prodotto interno lordo (pil) di un paese? a quale livello del rappor- to debito/pil si manifesta la sua inso- stenibilità? La sostenibilità del debito pubblico è legata, in generale, al vinco- lo di bilancio intertemporale che com- porta l’annullamento del rapporto de- bito pubblico/pil nel lungo periodo. Le condizioni da soddisfare sono le seguen- ti: 1. finanziamento della spesa pubbli- ca e degli interessi sul debito attraver- so l’imposizione (condizione non soddi- sfatta in italia negli anni ’70 e ’80); 2. tasso di crescita dell’economia maggio- re del tasso di interesse reale (condizio- ne non soddisfatta in italia dagli anni ’90 ad oggi).

Se un alto rapporto debito pubblico/ pil costituisce un vincolo per la politi- ca economica e per il benessere sociale,

è interessante chiedersi a quale livello fisiologico esso debba essere ricondot- to. La ricerca econometrica di carmen reinhart e Kenneth rogoff, sulla rela- zione tra rapporto debito/pil e crescita del pil, sebbene criticata per alcuni er- rori procedurali, ha indicato il 90 per cento quale tetto che discrimina tra ef- fetti neutrali-positivi ed effetti negati- vi del rapporto suddetto sulla crescita, mentre la banca mondiale ha indicato, a sua volta, la soglia del 77 per cento, avendo incluso nel panel anche i paesi emergenti, che sono più parsimoniosi. va detto che queste soglie quantitati- ve, che derivano da medie di centina- ia di paesi diversi con economie e cul- ture diverse, conservano l’aleatorietà degli approcci della curva barS (bar- ro, armey, rahn e Scully), che sostie- ne la tesi della inesistenza di un trade

off tra crescita del reddito e disciplina fiscale, e pretende di indicare il rappor- to ottimo tra spesa pubblica e crescita. La barS curve vorrebbe la spesa pub- blica italiana situata non oltre il 35 per cento del pil per dare un contributo po- sitivo alla sua crescita. infatti, si osser- va che non basta un alto rapporto debi- to/Pil a causare l’instabilità finanziaria di un paese fortemente indebitato che cresce. Ciò è valso per l’Italia fino all’i- nizio degli anni ’90 e vale tuttora per il giappone, che ha un rapporto debito/pil doppio di quello italiano, ma ha il van- taggio, rispetto all’italia, di detenere, al suo interno, l’intero suo debito pub- blico. tuttavia la caduta della crescita del pil aumenta il rischio di insosteni- bilità del debito. e oggi ciò riguarda in particolare l’italia.

vi è un altro motivo che rende preoc- cupante lo stato della finanza pubblica italiana. il problema di fondo è che la

crisi finanziaria, scoppiata nel 2008, ha lasciato ovunque montagne di debiti di dubbia esigibilità che pesano come una zavorra sull’attività economica in tutto l’Occidente, e di riflesso a livello globale. da quasi un decennio, Stati uniti, eu- ropa e giappone alternano profonde re- cessioni a periodi di crescita stentata, e dopo essere intervenuti con i propri bi- lanci pubblici a sostegno di sistemi ban- cari di fatto insolventi, si trovano a fare i conti con un debito pubblico innalza- tosi, in media, ben oltre la soglia cita- ta del 90 per cento del pil. ora la novi- tà è che il numero dei paesi fortemente indebitati è aumentato in modo deci- so: nel 2007 solo due di essi, giappone e italia, su 33 economie avanzate, ave- vano un rapporto debito/pil superiore al 100 per cento e 3 lo avevano superiore al 90 per cento; nel 2013 questi gruppi di paesi hanno aumentato la loro con- sistenza rispettivamente a 6 e a 10 e rappresentano più del 50 per cento del pil dei paesi avanzati. Le conseguenze che questi debiti potranno ancora avere sull’economia mondiale sono sconosciu- te, perché una situazione come questa non ha precedenti in tempo di pace. La priorità è quella di ridurre i deficit e i debiti pubblici, ma ciò frena l’economia e ritarda la ripresa. di conseguenza, in alcuni paesi i redditi e gli introiti fisca- li diminuiscono, mentre il debito pub- blico continua a crescere e così anche il rapporto debito pubblico/pil.

paralizzati nell’utilizzo della leva fiscale, pressati da una disoccupazione sovente elevata, i paesi ricchi dell’occi- dente hanno fatto ricorso – in maniera sempre più massiccia – a una politica monetaria espansiva, spingendo i tas- si prima verso lo zero, poi oltre in cam- po negativo, adottando politiche “non

convenzionali” di creazione di liquidità note come Quantitative Easing (QE). ma hanno trascurato la trappola del- la liquidità che è sia un prodromo del- la stagnazione secolare, favorita da de- pressione, deflazione, alti tassi d’inte- resse reali sul debito, sia l’antecedente della guerra delle valute.

3. La dinamica del debito pubblico

Nel documento FGM: un problema da porre (pagine 103-105)