gian ceSare romagnoLi*
3. La dinamica del debito pubblico e il declino economico dell’Italia
3.1 Illusione finanziaria e debi to pubblico in Italia nel ven-
tennio 1971-1991
dall’inizio degli anni ’70, l’interven- to pubblico ha introdotto nel sistema economico italiano una serie di misu- re che hanno consentito sia importanti conquiste sociali di benessere, sia spre- chi di risorse pubbliche che hanno fat- to aumentare progressivamente il rap- porto debito/Pil, fino ad allora inferiore alla media europea (41 per cento), senza considerare gli effetti di lungo periodo di queste misure. Sono state sottaciu- te le conseguenze negative che avreb- bero condizionato in modo crescente il
benessere futuro della popolazione, ol- tre che la politica economica nazionale. L’illusione finanziaria, che consiste in un’erronea valutazione collettiva degli scopi e delle conseguenze della spesa pubblica e degli oneri relativi al prelie- vo fiscale, ha consentito ai governi che si sono succeduti di accumulare debito pubblico per quarant’anni, allontanan- do progressivamente, come si è detto, il rapporto debito/pil dalla media euro- pea, soprattutto nel primo ventennio di questo periodo. Lo stesso finanzia- mento di una spesa pubblica crescente, ma in parte improduttiva, attraverso la creazione di moneta o attraverso l’emis- sione di titoli è una forma importante di illusione finanziaria, in quanto ren- de difficile la visibilità degli effetti net- ti delle politiche finanziarie. Anche la tesi che la crescita del rapporto debito pubblico/pil in italia sia da addebitare solo ai governi degli anni ’80, e non a quelli degli anni ’70, ha creato illusio- ne finanziaria ex post, distogliendo l’at- tenzione dalle cause della crescita dei deficit pubblici annuali di quel decen- nio, ormai divenuti strutturali. il mes- saggio che è stato diffuso per anni era che il debito pubblico non costituiva un problema, perché equivaleva a ricchez- za privata, ma si glissava sul fatto che ciò non valeva per la quota di esso de- tenuta da non residenti.
La consuetudine di deficit struttura- li iniziata negli anni ’70 va in gran par- te addebitata alla decisione politica di finanziare provvedimenti di spesa fina- lizzati al consenso in un’epoca di conte- stazione sociale violenta. L’uso politico prolungato della illusione finanziaria fu favorito dalla libera disponibilità, da parte dei governi, degli strumenti della sovranità monetaria e valutaria e dal-
le norme che vietavano la mobilità dei capitali, consentendo così al tesoro di pagare tassi reali negativi di rendimen- to ai detentori dei titoli pubblici, ovvero alle famiglie e alle banche. venuti meno questi vantaggi dello Stato nell’uso de- gli strumenti di politica monetaria negli anni ’80, prima con il “divorzio” tra te- soro e banca d’italia e poi con la libera- lizzazione del movimento dei capitali, e venuto meno, infine, anche lo strumen- to della politica valutaria con l’accordo di basilea-nyborg del 1987, che preve- deva la fine degli aggiustamenti valu- tari all’interno dello Sme, sono emersi i costi in termini di stagnazione econo- mica del paese. essi si sono associati a una politica ormai priva degli strumen- ti monetari e vincolata nell’uso di quelli fiscali da un debito pubblico accumula- tosi a causa di una inefficiente alloca- zione delle risorse economiche e finan- ziarie. Ma l’illusione finanziaria non è mai venuta meno. ad essa si è poi ag- giunta quella fiscale, alimentata dalla convinzione che l’aumento della spesa fosse mirato solo a colmare deficit reali di beni e servizi pubblici dovuto inve- ce, in gran parte, ai malfunzionamenti dell’economia pubblica e della pubbli- ca amministrazione. La stessa Legge Finanziaria (LF), nata nel 1978 al fine di controllare la dinamica di una spesa pubblica, spesso asservita a interessi particolari dei governi e del parlamen- to attraverso mirati errori di previsio- ne, ha finito per essere usata come stru- mento di aggiramento dell’art. 81 del vecchio testo della costituzione. com- plici il frazionamento delle maggioran- ze di governo e gli interessi particolari dei singoli parlamentari, visibili nei te- sti approvati con migliaia di commi pro- pri di leggi omnibus, la Lf ha favorito
nei fatti, fino alla revisione del 2012, l’aggiramento del 3° comma dell’art. 81: “con la legge di approvazione del bilan- cio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese. ogni altra legge che im- porti nuove o maggiori spese deve indi- care i mezzi per farvi fronte”.
La politica economica di un paese con uno dei più alti rapporti debito/pil del mondo e il cui debito è ora per ol- tre un terzo detenuto da non residenti, è stata soggetta a una forte dose di ete- rodirezione. Ciò si è verificato a parti- re dalla prima metà degli anni ’70, per censurare soprattutto i comportamen- ti perversi nella finanza pubblica: dalle indicazioni di herr Schmidt e del fon- do monetario internazionale (fmi) ne- gli anni ’70, all’adesione allo Sme e, in particolare, dopo la firma del Trattato di basilea-nyborg del 1987, che elimi- nò la possibilità di svalutazioni compe- titive all’interno del Sistema moneta- rio europeo (Sme). al declino matura- to, per le ragioni suddette, a partire dai primi anni ’90, si è aggiunta la globaliz- zazione che ha eroso il nostro vantag- gio comparato in molti settori rispetto ai nostri partners industrializzati. inol- tre sono emersi, sui mercati internazio- nali, anche nuovi attori rappresentati dai paesi emergenti.
3.2 Il declino economico dell’Ita-