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Oggi, il lavoro con la comunità nei servizi sociali territoriali ha una duplice dimensione: da una parte l’organizzazione dei servizi, la pianificazione sociale, il rapporto con gli organismi decisionali politici, dall’altra la sensibilizzazione dei singoli e dei soggetti collettivi ai problemi individuali e sociali della comunità territoriale, il loro coinvolgimento e collaborazione a progetti, messi a punto sia da organismi pubblici sia dalla stessa comunità.179 Nonostante sia chiaro il mandato del servizio sociale nei confronti della comunità, emerge da una ricerca co-finanziata dal Ministero dell’Università, dell’Istruzione e della Ricerca e coordinata da Carla Facchini, che ha coinvolto un migliaio di assistenti sociali in tutta Italia, che vi è una grande difficoltà ad integrare la dimensione di intervento individuale con quella di comunità.180

Analizzando la quantità di tempo dedicata dagli assistenti sociali alle diverse attività, risulta che il 40% delle ore totali viene impegnato nel lavoro diretto con gli utenti, circa il 15 % è rivolto al lavoro di rete di comunità, alla programmazione e alla documentazione e solo il 5% è dedicato alla ricerca e alla formazione permanente.181

Gli assistenti sociali lavorano nella quotidianità con carichi di lavoro pesanti, e, seppur consapevoli della necessità di lavorare nel territorio con i diversi attori che ne fanno parte, tendono a rispondere in prima istanza alle richieste dell’organizzazione, a rispondere all’urgenza di richieste che aumentano in continuazione. Capita poco spesso che istituzioni e organizzazioni chiedano o concedano a professionisti di impegnarsi in attività a livello collettivo e nella comunità.

Molto spazio del lavoro di animazione comunitaria è stato occupato da altre professioni alla ricerca di una loro operatività (animatori di comunità, animatori di tempo libero, psicologi di comunità) creando spesso sovrapposizioni e incertezze sul lavoro comunitario dell’assistente sociale nei servizi territoriali, che, oberato da una serie crescente di compiti istituzionali, ha lasciato spesso questo spazio ad altri, non considerando quei compiti fra quelli prioritari e indispensabili. Il cammino che sembra aprirsi per il servizio sociale ha indiscutibilmente una dimensione comunitaria, insita nel carattere tipico del lavoro territoriale. Questa dimensione deve comprendere certamente la pianificazione e lo sviluppo dei servizi, il coordinamento

179

Allegri E. (2015), Il servizio sociale di comunità, Carocci Faber, Roma

180 Facchini C. (2010) , Tra impegno e professione. Gli assistenti sociali come soggetti del welfare, Il Mulino, Bologna 181ibid

77 delle risorse pubbliche e private, la conoscenza del territorio, ma anche il lavoro con i gruppi della comunità, soprattutto per lo sviluppo delle reti di solidarietà, per la promozione della partecipazione, per il supporto a iniziative di auto – aiuto.

Il servizio sociale, come professione e come disciplina, deve orientare la propria attenzione non più solo ai vulnerabili e agli emarginati, ma anche alla dimensione collettiva, che comprende tutti coloro che vivono, abitano, attraversano un territorio.182 Se i problemi sociali attuali sono riferibili, ad esempio, alla frammentazione dei legami, alla solitudine, alla povertà relativa, assoluta, relazionale, all’intolleranza verso l’altro, non è il livello individuale che va considerato come prioritario per apportare un cambiamento significativo, bensì quello sociale. È necessario cambiare il paradigma di riferimento, assumendo come principio regolatore dei programmi e delle organizzazioni dei servizi la costruzione di un contesto sociale inclusivo, più attento ai legami sociali e più rispettoso delle differenze, all’interno del quale sperimentare nuove forme di intervento “leggero”.183 Si tratta di esplorare le aspettative, le norme, le strutture di potere a livello sociale locale e l’influenza che questi fattori sociali esercitano sulla vita di singoli, famiglie, gruppi e comunità.

Gli aspetti critici attuali del servizio sociale di comunità sono speculari alle prospettive possibili. Abbandonata l’illusione di poter fornire una risposta a ogni tipo di problema attraverso il sistema formale, il dibattito verte, da una lato, sulle strategie più opportune per mantenere la dimensione territoriale come contesto operativo del servizio sociale, a fronte della riduzione del grado di esigibilità dei diritti di cittadinanza, direttamente correlata al managerialismo, al processo di aziendalizzazione dei servizi, alla specializzazione e parcellizzazione delle funzioni, alla delegittimazione del ruolo del servizio pubblico. Dall’altro lato, la discussione è focalizzata sul futuro del servizio scoiale di comunità e del lavoro sociale, alla ricerca di una nuova centralità del cittadino all’interno dei processi di intervento, e di alleanze utili a rilanciare la comunità come luogo eletto di costruzione di legami sociali significativi. Occorre guardare al servizio sociale di comunità in un’ottica di rinnovato interesse, al fianco di attori sociali capaci di assumersi responsabilità rispetto ai problemi, ai conflitti, alle risorse e alle capacità della comunità locale, come è particolarmente necessario nelle fasi di crisi sociale.184

Vediamo ora come i tre autori fin qui presi in esame, affrontano il tema dell’importanza del lavoro di comunità, oggi.

182Allegri E. (2015) , Il servizio sociale di comunità, Carocci Faber, Roma 183Ibid, pp. 48 - 50

78 Elena Allegri affronta il tema della responsabilità del servizio sociale nei confronti della comunità, partendo dall’analisi dei processi economici e sociali in atto in Europa ed in Italia, che stanno provocando progressivi mutamenti delle politiche sociali e dei sistemi di welfare. Accanto alle trasformazioni relative agli scenari socio-demografici (l’invecchiamento della popolazione, i flussi migratori, l’instabilità della condizione lavorativa, le trasformazioni strutturali e relazionali delle famiglie e delle reti naturali di solidarietà) è avvenuta una profonda mutazione del sistema di welfare che è stato drasticamente travolto dalla flessibilità del lavoro, dalla globalizzazione, dall’emergere di nuove povertà, dalla difficoltà a conciliare i tempi di vita con quelli di lavoro, dall’aumento della non autosufficienza, fenomeni che hanno configurato una nuova domanda di protezione sociale. I modelli di welfare, in Europa, hanno subito le pressioni esercitate dalla diffusione del neoliberismo e della cultura managerialista, che hanno imposto l’applicazione di concetti per certi versi insidiosi, quali, ad esempio, “attivazione” e “scelta del servizio”, spostando dal livello sociale al livello individuale il fuoco di attenzione delle politiche, delle organizzazioni e, di conseguenza, degli interventi professionali del servizio sociale.185 Gli effetti sul sistema di organizzazione dell’offerta sono stati devastanti, in particolare per i cittadini che non si riconoscono come “clienti” e che spesso non sono nelle condizioni né di attivarsi in modo autonomo né di scegliere a quale servizio rivolgersi e quali tipi di intervento “acquistare”. Gli assistenti sociali, anche a causa di risorse sempre più residuali, faticano a riconoscersi in tali coordinate. La conseguenza più importante è stata, da un lato, il ritorno ad una logica organizzativa di tipo prestazionale e, dall’altro, l’assunzione di un atteggiamento difensivo da parte dei cittadini, diventati più restii ad essere protagonisti nell’attivazione di processi di autentico cambiamento piuttosto che fruitori di risposte immediate, ma parziali. Si è venuta così a creare, in sostanza, una situazione di stasi, di impasse, e nel contempo di riattivazione di meccanismi tipici di un sistema basato sulla beneficenza, che sembrava essere in via di superamento.186 L’intervento pubblico è basato sul principio di sussidiarietà, e limita quindi il proprio sostegno alle sole situazioni nelle quali le reti sociali primarie abbiano fallito, tanto da essere definito come welfare compassionevole, in un contesto opposto a quello di welfare di cittadinanza accompagnato da un senso generalizzato di instabilità e di spiazzamento. Da tempo esiste, in Italia, una notevole discrepanza tra la domanda e l’offerta di servizi. Si è andata così creando una situazione paradossale. Da un lato, una crescente domanda sociale sempre più complessa, variegata ed esigente, dall’altro una risposta che non ha compreso la complessità e non ha

185Lorenz W. (2010), Globalizzazione e servizio sociale in Europa, Carrocci, Roma

79 prestato attenzione alle esigenze dei cittadini, delle organizzazioni e delle professioni implicate.187 La risposta prevalente è stata, invece, una proliferazione frammentata di funzioni e una parcellizzazione di servizi e di interventi, spesso nemmeno coerentemente coordinati. La specificità di ruoli, di funzioni e di servizi, in risposta alla complessità della domanda, ha creato suddivisioni e dispersioni laddove erano necessari, almeno dal punto di vista dei cittadini, processi di ricomposizione e di semplificazione. 188

La straordinaria riduzione delle risorse finanziarie ha determinato, tra le prime conseguenze, il blocco di progetti e di interventi innovativi. Così, ad esempio, l’assistente sociale, una professione che la legge quadro per la realizzazione dei sistema integrato di interventi e servizi sociali (L. 328/ 2000) considera cruciale nel sistema di welfare, fatica non solo a realizzare, ma anche a pensare la prevenzione,189come ha dimostrato una recente ricerca svolta a livello nazionale,190già citata. Ancora, tra le ripercussioni attribuibili ai mutamenti in atto nel sistema di welfare, in questo caso relative a tutte le professioni socio-sanitarie, è da segnalare un effetto che si potrebbe definire “di ritiro” dalla comunità locale. Medici, psicologi, assistenti sociali, educatori, infermieri, infatti, impegnati su più fronti, hanno dimostrato una generale tendenza a ritirarsi da un lavoro sociosanitario nel territorio, ossia da quei processi che trasformano l’assistenza, la cura, l’educazione da fatti individuali in una dimensione collettiva, forse per impegnarsi nella salvaguardia della loro professione, come può essere comprensibile in situazioni di crisi.191 Questo atteggiamento auto-referenziale si è rivelato controproducente in relazione non solo al rischio di creare un eccessivo distacco dai cittadini e dalle organizzazioni pubbliche e private, ma anche al pericolo di rinunciare ad un proficua analisi e valutazione dei risultati effettivamente raggiunti, nelle condizioni attuali, in un confronto auspicabile sia all’interno delle comunità professionali sia con altre professioni, sia, ancora, con la comunità locale.

Le ragioni, individuate dall’autrice, che determinano l’attuale situazione del paese sono:

- le trasformazioni socio - demografiche: l’invecchiamento della popolazione, i flussi migratori, le nuove tipologie di famiglia, l’allentamento delle reti naturali di solidarietà che

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Allegri E., Facchini C. (2013), Partecipazione e competenze, in Bifulco, Facchini (a cura di) Partecipazione sociale e competenze: il ruolo della professione nei piani di zona, Franco Angeli ,Milano ,pp.63-75

188 Allegri E. (2000), Valutazione di qualità e supervisione. Connessioni teoriche e strategie operative nel lavoro sociale, Lint, Trieste 189Ruggeri F. (2010), Le tensioni del sistema delle politiche sociali e quelle del lavoro sociale in Facchini C. ( a cura di) Tra impegno e professione. Gli assistenti sociali come soggetti del welfare, Il Mulino, Bologna

190 Facchini C. (2010) , Tra impegno e professione. Gli assistenti sociali come soggetti del welfare, Il Mulino, Bologna

80 hanno stimolato nuove domande di protezione sociale e, quindi, la necessità di trovare risposte innovative;

- la crisi finanziaria ed economica in Italia ed in Europa, che ha drasticamente ridimensionato i finanziamenti pubblici e, di conseguenza, sono avvenute pesanti riduzioni degli investimenti sulle politiche sociali, in particolare a livello dei Comuni, con un aumento delle imposte locali;

- il modello di welfare costruito sulle relazioni fra gli attori: Stato, famiglia, mercato, terzo settore, che è stato travolto dalla flessibilità lavorativa, dall’emergere di nuove povertà e del tasso di povertà (principalmente per il ceto medio, le donne e gli anziani), provocando pesanti e negative conseguenze anche sui legami e sulle relazioni sociali;

- il ritiro delle professioni socio-sanitarie locali. A causa dell’introduzione del paradigma aziendale nei servizi, è emersa una dinamica autoreferenziale controproducente, con il rischio di creare troppo distacco dai cittadini e dall’organizzazione, con il conseguente aumento della burocrazia:

- le ripercussioni delle trasformazioni sulle organizzazioni dei servizi e sulle professioni sociali, incaricate di tradurre le indicazioni politiche in pratiche quotidiane. Da tempo, in Italia, una forte discrepanza tra la crescita della domanda sociale, sempre più complessa, e l’offerta dei servizi, sempre più carente di risorse, genera un’incapacità di leggere globalmente le difficoltà e le esigenze delle famiglie, dei gruppi, delle organizzazioni e delle professioni coinvolte.

Elena Allegri, rispetto alla professione dell’assistente sociale, si interroga su come sia utile procedere. La professione, oggi, si trova in un guado e deve scegliere che fare: attraversare e conquistare nuovi territori o arretrare su posizioni assunte in passato, ma in condizioni peggiori. L’unica certezza è che non può stare ancora per molto in una posizione di attesa o forse in una situazione di impasse, pena la rarefazione e la scomparsa della professione stessa.192 Gli assistenti sociali, infatti, lavorano nella quotidianità, interrogandosi sui molti dilemmi che caratterizzano le decisioni da assumere, consapevoli delle molte distorsioni organizzative all’interno delle quali devono comunque operare, subendo la pressione di dover dimostrare efficienza ed efficacia degli interventi attivati secondo criteri di valutazione non propri e in situazioni nelle quali il ruolo professionale è sempre più snaturato. Così, appaiono

81 disincantati e faticano a descriversi e a proporsi come professione innovativa e portatrice di conoscenze utili non solo per fronteggiare i problemi, ma anche per costruire processi di risposta utili a tutti i cittadini.193

Gli assistenti sociali nella loro quotidianità, nelle organizzazioni spesso colme di difficoltà nelle quali si trovano ad operare, cercano di avvicinare la realtà territoriale: questa operazione è indispensabile per collegare i diversi attori che ne fanno parte con le richieste dell’istituzione, che spesso includono un impegno anche a livello collettivo e nella comunità, senza però prevedere di dedicare a ciò un tempo specifico. Il rischio è lo svuotamento delle funzioni peculiari dell’assistente sociale, il quale può trasformarsi in un mero esecutore di compiti burocratici.

Si evidenzia, quindi, la vocazione della professione ad utilizzare un approccio conoscitivo ed operativo attento a comprendere la complessità sociale e a lavorare con i diversi soggetti della comunità. Pertanto, il servizio sociale, in particolare quello di comunità, si realizza appieno quando incrocia la dimensione individuale e la dimensione collettiva. La questione è quella di associare le due dimensioni nell’intervento: questo richiede di dare maggiore attenzione al miglioramento delle condizioni generali di vita, dell’ambiente, piuttosto che al cambiamento, seppur necessario, di un soggetto, di una famiglia o di un piccolo gruppo. Il servizio sociale di comunità mira a promuovere il benessere sociale e la qualità di vita di tutti coloro che vivono, abitano, lavorano in un determinato territorio, attraverso dispositivi che potenzino i legami sociali, le relazioni rispettose tra le diverse appartenenze, l’inclusione e la giustizia sociale, la partecipazione e la responsabilizzazione, senza evitare i conflitti presenti.194 L’autrice si trova in accordo con Gui,195 il quale asserisce che l’assistente sociale non possa più svolgere il proprio ruolo all’interno di processi dei singoli soggetti, ma deve rispondere ad una dimensione più ampia, che riconduca ed abbia come orizzonte il confronto corresponsabile tra individui, comunità e istituzioni sociali. Uno dei rischi possibili è che, a causa di risorse scarse, venga data alla comunità locale il compito di ricercare soluzioni ai problemi sociali sostituendo, di fatto, l’intervento statale. Introducendo l’argomento, la prof.ssa Allegri rivolge l’attenzione ai cambiamenti riguardanti il sistema di welfare, il quale inizia con una configurazione statale, per poi essere di tipo misto ed infine comunitario. Questo ha portato a cambiamenti strutturali e, quindi, al coinvolgimento sempre maggiore di diversi attori:

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Allegri E. (2000), Valutazione di qualità e supervisione. Connessioni teoriche e strategie operative nel lavoro sociale, Lint, Trieste

194Allegri E. (2015) , Il servizio sociale di comunità, Carocci Faber, Roma

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82 pubblici, privati e del privato sociale, chiamati a partecipare attivamente anche nelle funzioni, nelle responsabilità e negli strumenti di regolazione.

Lavorare nella comunità implica un cambiamento di prospettiva. Si tratta di predisporre contesti cooperativi e di confronto, di potenziare conoscenze, di sviluppare competenze, di mobilitare risorse, costruendo tutto ciò mediante processi, tecniche e strumenti. Cambiare prospettiva implica sperimentare nuove forme di intervento più leggero rispetto ad azioni riparative.196 Gli assistenti sociali sono abituati a lavorare con individui o gruppi che presentano bisogni e condizioni simili ed esperienze comuni (disabilità, dipendenza, problemi di salute mentale). Per cambiare il paradigma è necessario partire dalla definizione di bisogno che possono dare le persone interessate. Abbiamo visto che il servizio sociale di comunità è un insieme di azioni all’interno di una traiettoria che parte dall’intervento con la singola persona. passa attraverso il lavoro con i gruppi nella comunità e arriva al lavoro di comunità. L’elemento scatenante può essere determinato dalla domanda di un’amministrazione locale, dalla proposta di un servizio o da un gruppo di associazioni impegnate nel territorio. Il focus dell’intervento si estende progressivamente, allargando il campo di osservazione in ragione degli obiettivi di miglioramento della situazione generale. Tuttavia, tutto ciò non è sufficiente se resta all’interno di un’ottica ripartiva. La prospettiva deve cambiare da ripartiva a preventiva, promozionale, inclusiva. Il cambiamento può avvenire solo uscendo dai servizi e lavorando con le persone nel territorio.197

Elvio Raffaello Martini si interroga sul senso di parlare di comunità e sul sentirsi comunità in uno scenario pervaso dalla globalizzazione, così come è quello odierno. Il termine globalizzazione si riferisce ad un concetto non univoco, che descrive diversi processi in atto nel panorama mondiale, che si traducono in conseguenze su svariati aspetti della vita. Molte forze che influenzano la nostra vita sono impersonali e al di fuori del nostro controllo, di conseguenza diminuisce la percezione di controllo sulla nostra vita, e aumenta la difficoltà a responsabilizzarsi nei confronti dei problemi che affrontiamo. 198

Martini ben delinea il ruolo che la comunità locale può avere nei confronti della globalizzazione e quale contributo può avere la comunità locale dal processo di globalizzazione. Le dimensioni locale e globale199 intrecciano legami complessi e hanno

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Allegri (2013), Gli approcci alla partecipazione in Bifulco, Facchini (a cura di) Partecipazione sociale e competenze: il ruolo della professione nei piani di zona, Franco Angeli Milano, pp.31 – 46

197 Allegri E. (2003), Il servizio sociale di comunità, Carocci Faber, Roma

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Martini E. R., Torti A. ( 2003), Fare lavoro di comunità. Riferimenti teorici e strumenti operativi, Carocci Faber, Roma 199

83 entrambe un loro ruolo: la prima può permettere di ritrovare la percezione, individuale e collettiva, di poter esercitare una qualche forma di influenza sulle proprie condizioni di vita (i processi di globalizzazione alimentano vissuti di impotenza); la seconda può offrire la possibilità di percepirsi appartenenti a una comunità globale, offre alle comunità un antidoto all’autarchia e al municipalismo. Proprio la globalizzazione spinge all’autonomia locale. La sfida che il processo di globalizzazione lancia alla comunità si gioca su questa dimensione: vivere in una società complessa, come quella globalizzata, significa sperimentare sensi di appartenenza plurimi, la globalizzazione consente di sperimentare un nuovo senso di appartenenza, che non cancella tutte le altre, questa percezione può essere correttivo al municipalismo e all’autarchia. Questa consapevolezza potrebbe consentire alla comunità locale di continuare a esistere e ad agire localmente, attingendo a risorse cognitive o affettive, che non siano solo locali: “agire localmente e pensare globalmente”.200

Tra i temi emergenti oggi, alla cui soluzione dovrebbe concorrere anche il lavoro di comunità, l’autore dedica particolare attenzione all’esclusione sociale, alla povertà, alla sicurezza e all’immigrazione. Il lavoro con la comunità promuove relazioni fiduciarie, sviluppa senso di appartenenza, attiva e supporta reti di buon vicinato, sviluppa legami sociali, accompagna processi di integrazione culturale, tutte attività che contribuiscono a fare comunità e sviluppare capitale sociale.

La questione del senso di sicurezza201 è di grande attualità sia nelle grandi che nelle piccole città. Aumentano i comportamenti di cautela tesi alla protezione e ad evitare i rischi: le persone si difendono sempre di più, mentre l’altro viene guardato con circospezione e sospetto. Man mano che aumenta il senso di insicurezza, i legami sociali e il senso di comunità si affievoliscono. Contemporaneamente aumentano le richieste di protezione rivolte alle istituzioni e alle forze dell’ordine. Per accrescere il senso di sicurezza tra le persone bisogna investire sul senso di comunità, agendo su un circolo vizioso per trasformarlo in circolo virtuoso. Il poter contare solamente sulle risorse individuali, di fronte alla complessità dei problemi da affrontare, non è qualcosa di molto rassicurante: le sofferenze individuali non si coagulano in una causa comune che potrebbe essere perseguita con maggior efficacia unendo le forze. Dato che il mondo non è sicuro, ci si barrica dentro la propria fortezza,