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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA
Facoltà di Scienze Politiche
LAUREA MAGISTRALE
in
SOCIOLOGIA E POLITICHE SOCIALI
IL SERVIZIO SOCIALE DI COMUNITA’
dalla costruzione del Profilo di Salute
allo sviluppo della Comunità in Lunigiana
Relatore: Prof. Riccardo Guidi Laureanda: Debora Luccini
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Ai miei figli, Raffaele e Niccolò
Ai miei genitori e a mio marito che mi hanno permesso di portare
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INDICE
Introduzione
pag. 5Premessa metodologica
pag. 6Capitolo 1: Servizio Sociale di Comunità
1.1 Il Servizio Sociale di Comunità: per una definizione
pag. 81.2
I Modelli operativo – teorici del servizio sociale di comunità
pag. 231.3
Tecniche, processi e strumenti operativi
per un servizio sociale di comunità
pag. 291.3.1 I processi pag. 29
1.3.2 Le tecniche e gli strumenti operativi pag. 44
1.3.3 I soggetti che fanno lavoro di comunità pag. 72
1.4
Il dibattito sul servizio sociale di comunità
pag. 761.5
Le responsabilità del servizio sociale nei confronti della comunità
pag. 88Capitolo 2: Il Servizio Sociale di Comunità in Lunigiana
2.1 L’analisi del servizio sociale della Lunigiana
pag.962.2 Il contesto della Lunigiana
pag. 972.3 La partecipazione nella Società della salute
pag. 1082.4 Il tessuto associativo in Lunigiana: una risorsa importante
pag. 119Capitolo 3: Dalla costruzione del Profilo di Salute allo sviluppo della
Comunità in Lunigiana
3.1 La mia indagine e i risultati attesi
pag. 1283.2 Il processo di costruzione del Profilo di Salute della Lunigiana
pag. 1393.3 Verso l’Agorà della salute: osservazione partecipante
della partecipazione e della collaborazione
pag. 1643.4 La valutazione dei risultati
pag. 176Conclusioni
pag. 1804
La democrazia può resistere alla minaccia autoritaria soltanto a patto che si trasformi, da "democrazia di spettatori passivi", in "democrazia di partecipanti attivi", nella quale cioè i problemi della comunità siano familiari al singolo e per lui importanti quanto le sue faccende private.
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Introduzione
L’esperienza di Laurea Magistrale, ma soprattutto, il dover affrontare l’elaborazione della tesi finale ha fatto si che io mi fermassi a riflettere sulla mia esperienza professionale, e su quanto in questi anni ho osservato: il progressivo aumento delle problematiche di carattere sociale, nonché il determinarsi di una tipologia di bisogno sempre più complesso al quale i servizi devono rispondere a fronte di una diminuzione delle risorse, e la crescente esigenza di elaborare nuove progettazioni e di ottimizzare le risorse presenti a livello territoriale. Il lavoro nasce dalla complessa lettura del mio contesto di lavoro, nel quale come assistente sociale mi trovo quotidianamente a tentare di trovare una soluzione al problema della carenza di risorse. Nel contesto lavorativo si parla spesso di servizio sociale di comunità, caratterizzato dallo spostamento di attenzione dalla dimensione individuale alla dimensione comunitaria, attraverso la riscoperta e la reinterpretazione di diverse tecniche che conducono alla sensibilizzazione ai problemi e alle risorse, nonché alla promozione della partecipazione di tutti coloro che vivono un territorio.
Per questo motivo, quello che mi sono prefissata di indagare in questa tesi è il servizio sociale di comunità in Lunigiana, ed in particolare la costruzione del Profilo di Salute come tecnica di sviluppo della comunità stessa, cercando di mettere nero su bianco tutto ciò che spesso rimane nei pensieri e viene tradotto in pratica con molta velocità, dando spesso per scontato tutti quegli aspetti tecnici e professionali che hanno determinato un’azione, con il rischio di non dare la giusta importanza ai caratteri di specificità e scientificità che sono alla base del lavoro sociale. Questa tesi vuol essere, per me, un momento di riflessione e uno strumento operativo utile per riflettere sul servizio sociale di comunità, anche alla luce delle conoscenze apprese in ambito universitario. Quello che mi piacerebbe fare emergere è quanto il servizio sociale di comunità si faccia in sordina, senza che nessuno se ne accorga, senza chiamarlo con il suo vero nome e spesso senza nemmeno la consapevolezza di farlo. Il lavoro che affronto giornalmente richiede, oltre a competenze di valutazione e programmazione, anche strategie e tecniche di mediazione, formazione e promozione, nello specifico di questa tesi, prenderò in considerazione l’aspetto riguardante la promozione del tessuto sociale, la sua organizzazione e messa in rete con i servizi, con il fine ultimo di progettare insieme per il bene comune.
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Premessa metodologica
La tesi si propone di rispondere alla seguente domanda: “Il processo di costruzione del Profilo di Salute di una zona, come si evince dalle argomentazioni di Elena Allegri, Elvio Raffaello Martini e Franco Vernò, può veramente migliorare il servizio sociale di comunità e sviluppare il senso di comunità?
Il caso preso in esame è la costruzione del Profilo di Salute della Lunigiana.
La tesi è articolata in tre capitoli che corrispondono a tre diverse fasi del lavoro svolto.
La prima fase del lavoro è relativa all’analisi della letteratura sul servizio sociale di comunità, partendo dal tentativo di darne una definizione. Vengono approfonditi tre autori, Elena Allegri, Elvio Raffaello Martini e Franco Vernò, che, partendo da approcci diversi, sviluppano il tema dello sviluppo di comunità fornendo tecniche, metodologie e spunti etico-morali. Vengono analizzate, poi, le responsabilità professionali dell’assistente sociale, riassumendo il titolo V del Codice Deontologico dell’assistente sociale. Il fondamento teorico è premessa dello studio del caso Lunigiana che verrà preso in esame nelle fasi successive. La seconda fase si concentra sul servizio sociale di comunità in Lunigiana. Viene ricostruita una fotografia del contesto Lunigiana, dei bisogni sociali del territorio, dei fattori di vulnerabilità, del tessuto associativo, e della Società della Salute della Lunigiana, in particolare la sua organizzazione partecipata con la Consulta del terzo settore ed il Comitato di partecipazione. Si tenta di ricostruire il quadro attraverso fonti Istat, dati presenti nel Profilo di Salute, nell’Immagine di Salute e nel Piano Integrato di Salute della Lunigiana ed esperienze di lavoro sul campo.
La terza parte analizza qualitativamente il servizio sociale di comunità della Lunigiana, attraverso l’analisi del processo di costruzione del Profilo di Salute della Lunigiana, e la verifica dei risultati attesi, alla luce delle teorizzazioni di Elena Allegri, Elvio Raffaello Martini e Franco Vernò. Lo strumento utilizzato, per verificare se il processo di costruzione del Profilo di Salute ha migliorato il senso di comunità, è l’osservazione partecipante di incontri pubblici promossi dalla Società della Salute della Lunigiana dal titolo: “ La Società della Salute: i cittadini e i servizi”. Questi incontri vengono promossi in ogni Comune della Lunigiana e avranno compimento nell’Agorà della Salute, un istituto di partecipazione, previsto nella Società della Salute, insieme al Comitato di partecipazione e alla Consulta del
7 terzo settore, per favorire la partecipazione dei cittadini attraverso uno scambio diretto di esigenze, opinioni e critiche.
Si tiene a precisare che i dati raccolti non possono essere generalizzati, ma hanno valore solamente nel limitato contesto territoriale della Lunigiana.
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I
SERVIZIO SOCIALE DI COMUNITA’
1.1 Il Servizio sociale di comunità: per una definizione
In questo momento di evoluzione storica del servizio sociale, in ambito nazionale ed internazionale, è decisamente problematico riferirsi ad un’unica definizione che venga unanimemente condivisa sia dagli studiosi del servizio sociale che dai suoi professionisti assistenti sociali. Oggi il servizio sociale può essere considerato sotto diversi aspetti, fra loro correlati: disciplina, professione, meta istituzione, arte, che con varie forme e varie accentuazioni, sono stati presenti nelle definizioni che si sono sviluppate nel tempo, le quali, di volta in volta, hanno privilegiato l’uno o l’altro aspetto. 1
In quanto disciplina, il servizio sociale è una disciplina scientificamente fondata da collocarsi all’interno delle scienze sociali, e riconosciuta in ambito accademico dalla maggior parte dei paesi che aderiscono a organismi internazionali.
In quanto professione il servizio sociale può essere definito una professione di servizio all’uomo in situazione di disagio o difficoltà, in tutte le età della vita ed in tutti i suoi contesti ambientali e di relazione. Dal Pra Ponticelli definisce il servizio sociale una professione di aiuto che si esplica all’interno dei servizi sociali quali strutture pubbliche o private di welfare e si pone come obiettivi quelli di:
- “creare, attraverso il processo d’aiuto, basato su una relazione interpersonale professionale di tipo promozionale, educativo terapeutico, i raccordi necessari fra i bisogni e le risorse familiari e sociali, istituzionali e comunitari, attivando un sistema di aiuto interno ai problemi del singolo o della collettività, favorendo e migliorando i rapporti e le relazioni fra gli individui e fra gli individui e i sistemi di risorse, rendendo l’ambiente nutritivo e promozionale per le persone e i gruppi;
- aiutare, attraverso l’attuazione di un processo promozionale le persone a sviluppare la propria capacità di affrontare e risolvere i propri problemi esistenziali con senso di
9 responsabilità e autonomia, attraverso l’attivazione delle proprie risorse personali e di quelle del contesto familiare e sociale;
- aiutare la collettività a individuare i propri bisogni e ad attivare le reti di solidarietà naturali, i processi di partecipazione, il volontariato organizzato al fine di creare risorse per la soluzione di problemi individuali e collettivi;
- progettare, organizzare e gestire, nell’ambito del sistema organizzato di servizi in cui è inserito, i servizi e le risorse in modo che siano rispondenti ai bisogni individuali e collettivi, personalizzati e non emarginanti;
- evidenziare, studiare e analizzare i problemi collettivi al fine di contribuire alla progettazione e alla realizzazione di un sistema di servizi sociali adeguato nell’ambito delle linee di politica sociale generale e di quelle di politica dei servizi sociali a livello locale”. 2 Anna Maria Campanini definisce il servizio sociale una meta-istituzione del sistema organizzato delle risorse sociali, e una disciplina di sintesi che, attraverso il lavoro professionale dell’assistente sociale rivolto a individui, famiglie e gruppi in situazioni problematiche di bisogno, concorre alla rimozione delle cause del bisogno, infatti, ne ricerca la soluzione tramite un rapporto interrelazionale e l’uso delle risorse personali e sociali indirizzati a promuovere la piena e autonoma realizzazione delle persone; a facilitare il rapporto cittadino - istituzioni; a collegare il bisogno dei singoli al sistema dei servizi e viceversa e contribuisce ai processi di modifica delle istituzioni prevalentemente considerate nell’ambito dei servizi sociali.3
Il servizio sociale costituisce una delle risorse, inserita nel sistema organizzato e integrato dei servizi sociali pubblici, del privato – sociale e privati, che la società predispone per aiutare persone, famiglie, gruppi, comunità in difficoltà ad affrontare i loro bisogni, sostenerli nei loro compiti e responsabilità, promuoverne l’iniziativa, mobilitarne potenzialità e capacità nel cooperare al benessere individuale e sociale, cooperare alla prevenzione dell’insorgere dei problemi. In questa prospettiva il servizio sociale diventa uno strumento fondamentale di osservazione e rilevazione della domanda e del bisogni umani, ne consente l’interpretazione per orientare le scelte di politica sociale, la programmazione, la pianificazione e la valutazione dei servizi sociali, specie su scala locale.4
2Dal Pra Ponticelli M. (1987), Lineamenti di servizio sociale, Astrolabio, Roma, p. 34
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Canevini M D., Neve E. (2005), Servizio sociale, in A. Campanini, Nuovo dizionario di servizio sociale, Carocci, Roma, pp. 567 - 576 4
10 La prima definizione di servizio sociale in quanto arte è di Mary Richmond che nel 1915 lo definì “arte di svolgere servizi diversi per e con persone diverse, cooperando con loro a raggiungere il miglioramento loro e della società”. 5
La componente artistica della natura del servizio sociale assume il significato di rendere visibile la necessaria creatività e intuizione in ogni atto professionale, la capacità di essere innovativi, di cogliere la situazione problematica hic et nunc e individuarne la possibile soluzione in un’armonica sintesi fra creatività, osservazione e analisi della realtà, capacità di scegliere fra diverse opzioni, accompagnati da solida preparazione scientifica.
La definizione più recente di social work, approvata dalla comunità scientifica e professionale in occasione della Conferenza di Montrèal del 2000, poi adottata nel 2001 dallo International Association of School of Social Work e dall’International Federation of Social Workers e approvata al Congresso di Copenaghen è la seguente:
“Il servizio sociale professionale promuove il cambiamento sociale, la soluzione dei problemi nelle relazioni umane e la restituzione di potere e la liberazione delle persone per aumentare il benessere. Utilizzando le teorie del comportamento umano e dei sistemi sociali, il servizio sociale interviene lì dove le persone interagiscono con il proprio ambiente. I principi dei diritti umani e della giustizia sociale sono fondamentali per il servizio sociale.”6
Il servizio sociale, nelle sue varie forme, è orientato verso le molteplici, complesse transazioni tra le persone e il loro ambiente. Il suo obiettivo è abilitare tutte le persone a sviluppare il proprio pieno potenziale, arricchire le loro vite e prevenire le disfunzioni. Il servizio sociale professionale è focalizzato sulla soluzione dei problemi e sul cambiamento. Così, gli assistenti sociali sono agenti di cambiamento nella società e nelle vite degli individui, delle famiglie e delle comunità di cui sono al servizio. Il servizio sociale è un sistema interrelato di valori, teoria e di pratica.
Fino dai suoi inizi, la pratica del servizio sociale si è focalizzata sull’incontro con i bisogni e lo sviluppo delle potenzialità umane. Nella solidarietà con coloro che sono svantaggiati, la professione si batte per alleggerire la povertà e per liberare le persone vulnerabili ed oppresse e per promuovere l’inclusione sociale. I valori del servizio sociale sono incarnati nei codici deontologici nazionali e internazionali. Il servizio sociale rivolge la sua azione verso gli ostacoli, le iniquità e le ingiustizie che esistono nella società. Esso risponde alle crisi e alle
5 M D. Canevini, E. Neve (2005) Servizio sociale, in A. Campanini, Nuovo dizionario di servizio sociale, Carocci, Roma, pp. 567 - 576.
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Questa definizione del sevizio sociale professionale sostituisce la definizione dell’ IFSW adottata nel 1982. E’ sottinteso che il servizio sociale nel 21° secolo è dinamico ed in evoluzione, e pertanto nessuna definizione deve ritenersi esaustiva. Adottata dal General Meeting dell’ISFW in Montreal, Canada, Luglio 2000 - http://www.ifsw.org
11 emergenze così come ai problemi personali e sociali della quotidianità. Utilizza una varietà di abilità, tecniche ed attività coerenti con il focus olistico sulle persone e il loro ambiente. L’intervento di servizio sociale spazia dai processi psicosociali primari, focalizzati sulla persona, al coinvolgimento nelle politiche sociali, nella pianificazione e nello sviluppo.7
L’approccio caratterizzante è quello tridimensionale, che tiene conto contemporaneamente di più prospettive: il processo di aiuto rivolto alla persona con le sue potenzialità ed i suoi limiti, lo sviluppo delle risorse della comunità e l’organizzazione delle risorse del proprio servizio. Il ruolo del servizio sociale è quello di porsi come promotore e accompagnatore di processi di cambiamento, sia a livello individuale e familiare che comunitario e istituzionale, e come punto di raccordo fra problematiche, bisogni e risorse tanto nei confronti di individui e famiglie, quanto, e soprattutto, nei confronti della comunità e dello stesso sistema dei servizi.8 Appare evidente il ruolo della comunità e l’importanza della dimensione comunitaria del servizio sociale. L’assistente sociale ha come referente non solo l’utente singolo o il gruppo, ma anche la comunità, cioè l’insieme della aggregazioni sociali presenti sul territorio, la popolazione nel suo complesso, gli organismi di partecipazione popolare.
La dimensione comunitaria, insita nell’idea di territorio, emerge con evidenza all’interno dei tre obiettivi individuati da Dal Pra Ponticelli:
- “conoscere il territorio, i suoi bisogni, le sue risorse per conoscere le coordinate quantitative e qualitative del contesto nel quale si lavora. È importante avere in ogni servizio territoriale una mappa del territorio, dei suoi bisogni, delle sue risorse;
- diffondere informazioni per aiutare la collettività a conoscere i problemi. Gli strumenti per diffondere le informazioni possono essere assemblee, lettere, manifesti, incontri con gruppi politici, e con gruppi di volontariato, campagne di educazione sanitaria e sociale, dibattiti, conferenze;
- aiutare e sollecitare la collettività a mobilitarsi per la soluzione di problemi che la riguardano. Lo stato sociale non riesce più ad affrontare i diversi bisogni e le diverse esigenze e devono essere riscoperte le reti di solidarietà naturali, i gruppi di auto-aiuto, il volontariato, le cooperative di servizi.”9
7http://www.ifsw.org
8 Dal Pra Ponticelli M. (2010), Nuove prospettive per il servizio sociale,Carrocci, Roma , pp.32
9
12 L’assistente sociale studia la comunità e interviene, insieme ad altri operatori, per stimolare i cittadini alla consapevolezza, alla responsabilizzazione e alla partecipazione nelle decisioni che riguardano lo sviluppo nel territorio.
Da quanto si evince dalle varie definizioni di servizio sociale, è insito nella definizione stessa di servizio sociale la dimensione di comunità.
Ma veniamo ora a definire il servizio sociale di comunità.
Per approfondire il tema ho preso in esame tre autori che, da diverse prospettive, affrontano il servizio sociale di comunità: Elena Allegri, Elvio Raffaello Martini e Franco Vernò.
Elena Allegri definisce il servizio sociale di comunità “l’approccio complesso che il servizio sociale adotta per concorrere allo sviluppo della comunità locale, utilizzando le conoscenze, il metodo, gli strumenti e le tecniche specifici della professione e adattando le proprie funzioni alle esigenze del territorio oggetto, soggetto di intervento. In tal senso il servizio sociale di comunità, attraverso l’analisi, la ricerca, la progettazione, l’intervento e la valutazione, promuove iniziative con la collettività e collega persone e gruppi tra loro perché intraprendano azioni utili a fronteggiare problemi e conflitti comuni”10
Il ragionamento viene sviluppato partendo dal concetto di comunità, di cui l’autrice ci illustra l’evolversi. Il termine è stato introdotto da Tönnies (1887), per denominare le particolari relazioni caratterizzate da un alto grado di densità affettiva tipiche di comunità organiche come la famiglia, il gruppo di amici e la comunità di luogo, intesa come il vicinato o il villaggio, in opposizione alla società caratterizzata da legami deboli.
Rielaborato poi da Durkheim (1893) definendo la Società basata su solidarietà Meccanica (segmentati e semplici, cultura repressiva) e Organica (divisione del lavoro, funzioni e ruoli interconnessi).
Weber (1922), colloca il concetto di comunità al livello delle relazioni sociali all’interno della tipologia dell’agire sociale dotato di senso. La relazione sociale è definita comunità se “la disposizione dell’agire sociale poggia su una comune appartenenza, soggettivamente sentita, dagli individui che la compongono”.La relazione sociale è definita associazione se “la disposizione dell’agire sociale poggia su identità di interessi o su legame di interessi motivato razionalmente”.11
10Allegri E. (2003), Il servizio sociale di comunità, Carocci Faber, Roma , pp.47 11
13 Il concetto di comunità che si sviluppa attraverso il pensiero di questi autori spiega la ragione per la quale si sono succedute espressioni come: comunità locale, comunità territoriale, community care, sviluppo di comunità, intesi come diversi modi di concepire politiche e attuare pratiche, in una dimensione collettiva e in un orizzonte spaziale circoscritto.12 Il termine comunità, nei diversi momenti storici, è sempre un concetto chiave per riflettere sulla costruzione dell’identità individuale e collettiva. Ai fini della ricerca di cui la prof.ssa Allegri si è occupata, la comunità è intesa come un insieme di persone che sviluppano legami sociali, sulla base di valori condivisi e che tendenzialmente compiono azioni per il collettivo di cui si sentono parte.13 In questo modo emerge l’importanza dei legami sociali che stimolano le persone ad un’apertura reciproca; inoltre, la dimensione comunitaria è considerata come elemento fondamentale dagli assistenti sociali, i quali lavorano nel e con il contesto relazionale delle persone.
Propone poi il concetto di comunità locale definito da Gallino come una popolazione, di dimensioni ridotte, che vive stabilmente entro un territorio perimetrato e “riconosciuto come suo sia all’interno sia all’esterno […] sufficientemente grande, differenziato, e attrezzato da poter abbracciare tutti i principali aspetti della vita associata: lavoro, famiglia, educazione, commercio, assistenza, pratiche religiose, etc. Per estensione, è spesso detto comunità locale anche il territorio e il complesso di edifici e di infrastrutture sociali che appartengono alla popolazione ivi insediata. La comunità locale è stata spesso considerata la sede privilegiata del sentimento e dell’agire di comunità”.14 Il concetto di comunità locale implica un riferimento a un contesto territoriale vicino a coloro che vivono il senso di comunità: questo ferimento, in un contesto storico come quello odierno, può sembrare contraddittorio, alla luce del processo di modernizzazione. Se è vero che le relazioni comunitarie possono essere decontestualizzate, è anche vero che il territorio resta comunque uno spazio sociale significativo e condiviso da gruppi diversi. La lettura del territorio, all’interno dei processi di globalizzazione, ci dice che i fenomeni sociali, politici ed economici non sono distribuiti in modo omogeneo, ma si concentrano attorno a una domanda di maggiore sicurezza.
Il rapporto di interdipendenza che nasce dalla condivisione di aspetti, problemi e risorse di un territorio serve a sviluppare il senso di comunità per un miglioramento della qualità di vita. La presenza del senso di comunità permette di distinguere una comunità da un aggregato casuale di persone e la sensazione di poter esercitare un potere (ad es. nei confronti delle
12ibid 13 ibid
14 istituzioni) per produrre o impedire cambiamenti nella propria vita o nel proprio ambiente di vita. Le persone che abitano un territorio, infatti, tendono ad attivarsi e partecipare nel momento in cui percepiscono dei problemi condivisi.15 Questa co-costruzione pratica e simbolica dell’identità non solo alimenta l’appartenenza a una comunità, ma potenzia l’empowerment. Un esempio di questo senso di appartenenza alla comunità è la social street, un’iniziativa nata nel 2013 a Bologna, dall’idea di un residente che ha deciso di creare, in un noto social network, un gruppo dedicato ai residenti della propria via: ciò ha dato luogo a una rete di solidarietà nella quale ogni iscritto mette a disposizione tutto ciò che può essere utile all’altro. Tale iniziativa ha permesso a queste persone di uscire dall’individualismo, di essere propositivi e mettere in atto pratiche di inclusione. Su questo modello, in poco più di un anno, sono nati in Italia e all’estero più di 350 gruppi: essi sono la dimostrazione del bisogno latente di una socialità non finalizzata e indipendente da qualsiasi aspetto economico. Questa esperienza dimostra, inoltre, come l’uso dei social network possa veicolare la socializzazione, creando una connessione virtuosa tra virtuale e reale; tutto ciò dimostra che, nel territorio, ci sono tra le persone conflitti, ma anche capacità e risorse non sufficientemente valorizzate. Nel servizio sociale di comunità le azioni professionali non sono più rivolte alla persona in quanto singolo, ma alla comunità come soggetto collettivo, cioè le reti e le persone che la compongono. Si assiste, in questo modo, ad una svolta: da modelli d’intervento della mancanza, basati su problemi definiti a priori e per risolvere i quali gli interventi erano stabiliti dall’ente, a modelli della competenza (community development), che si costruiscono sul considerare la comunità fonte di soluzioni collettive.16
Elena Allegri, al fine di precisare come una collettività diventa comunità e come si sviluppa il senso di comunità, riprende la definizione di Elvio Raffaello Martini: “la comunità locale può essere intesa come dimensione territoriale, come luogo di vita e ambito di relazioni, come spazio privilegiato per la partecipazione sociale, e ancora il senso di comunità è costituito dall’insieme di sentimenti e percezioni che potenziano un legame affettivo e permettono alle persone di sentirsi parte di un tutto, di avere la convinzione di essere affettivamente importanti gli uni per gli altri e di prevedere che i propri bisogni potranno essere soddisfatti in virtù di tale appartenenza. La possibilità per le persone di sentirsi parte e in relazione con
15Allegri E. (2003), Il servizio sociale di comunità, Carocci Faber, Roma 16ibid
15
gli altri, di percepire un potere e di credere possibile un cambiamento sono a un tempo obiettivi da sviluppare e risorse su cui contare.” 17
Fra le molte possibili definizioni di comunità, Martini intende comunità “un insieme di soggetti che condividono aspetti significativi della propria esistenza e che, per questa ragione, sono in un rapporto di interdipendenza, possono sviluppare un senso di appartenenza e possono intrattenere tra loro relazioni fiduciarie.”18 Vari soggetti possono essere considerati comunità perché condividono aspetti come il territorio, il tetto, le radici, la storia, un progetto, la razza, i problemi, i bisogni, gli interessi, gli hobbies, i nemici. L’interdipendenza dipende dall’aspetto che viene condiviso, ed è così che tra i membri della comunità si instaura un legame affettivo, la cui intensità è influenzata dal numero dei suoi componenti e dal grado di rilevanza e significatività degli aspetti che si condividono.19
Per comunità possiamo intendere sia una dimensione sociale micro, diversa dalla macro società, con un riferimento territoriale (la comunità locale) o senza riferimento territoriale (l’associazione), sia una qualità delle relazioni, i cui aspetti prevalenti sono la mutualità, la solidarietà, la fiducia, la vicinanza; in una parola, i legami affettivi fra le persone. Gli studi sociologici hanno messo in evidenza l’inevitabile declino della comunità locale in conseguenza del processo di urbanizzazione, ma nello stesso tempo hanno verificato l’espandersi di comunità senza prossimità (associazioni o network).
Nei progetti di sviluppo di comunità, questa è considerata nella sua dimensione sociale di insieme di persone che condividono aspetti rilevanti della loro vita, essere comunità, ma ancor più nella sua dimensione di sentimento, sentirsi comunità.20 La percezione del legame affettivo da parte dei membri della comunità e la misura in cui questi si sentono comunità è un aspetto centrale nei progetti di sviluppo. In altre parole, per fare un esempio, è possibile sostenere che un condominio è comunità: le persone vivono sotto lo stesso tetto, hanno dei problemi e delle risorse comuni ed un certo grado di interdipendenza. Ma non è possibile sostenere che le persone si sentano comunità.
17Martini E. R., Torti A. ( 2003), Fare lavoro di comunità. Riferimenti teorici e strumenti operativi, Carocci Faber, Roma, pp.39 18 Ibid, pp.13
19 Martini E. R., Torti A. ( 2007), Comunità in sviluppo. Potenziali limiti e sfide dello sviluppo di comunità in Animazione sociale n. 10, pp 19-28
16 Sentirsi comunità vuol dire sentirsi “parte” di un insieme che comprende molti fra i quali, in quel preciso momento, sono in atto relazioni comunitarie. 21
Sotto un altro aspetto, la comunità può essere considerata come bacino di utenza o come mercato di un servizio o come soggetto/attore sociale. Un soggetto che ha identità, competenza, potere, diritti e doveri, e che è capace di azione. Sentimento di comunità e capacità di azione della comunità sono fortemente correlati al punto che lo sviluppo del senso di comunità è considerato un modo per accrescere le competenze della comunità.22
La partecipazione è possibile solo se si assume il modello della competenza23 che mette in risalto le competenze possedute dalla comunità e si propone di svilupparle: tale modello esalta le capacità, le risorse di cui dispone la comunità e che possono essere impiegate per la soluzione dei problemi sociali e per la soddisfazione dei bisogni dei cittadini (attori protagonisti). La comunità è soggetto di storia: il suo passato, recente e remoto, la segna e ne definisce l’identità e la cultura. Ma la comunità ha anche un progetto per il futuro, implicito, difficilmente definibile e descrivibile, che agisce sulla sua vita.
La comunità è anche soggetto di poteri,24 soggetto politico nel momento in cui partecipa, attraverso le istituzioni e i meccanismi democratici, alla formazione delle scelte che influiscono sulla sua vita. Essere soggetto politico vuol dire partecipare al gioco decisionale in modo esplicito e stabile.
Lo sviluppo di comunità può essere inteso come una particolare strategia di cambiamento.25 Si possono raggruppare gli interventi tesi a migliorare la qualità della vita di una comunità in tre grandi strategie di cambiamento: focalizzate sulle condizioni, sui soggetti, sullo sviluppo di comunità. Il lavoro di comunità è un’azione che si snoda su un’area di confine fra il sociale, lo psicosociale e il sociopolitico e che è costantemente influenzato dalle istanze presenti nella comunità stessa. Riguarda i percorsi attuati per affrontare i problemi, piuttosto che i problemi in quanto tali, e può essere adottato in contesti diversi, per far fronte ad una molteplicità di situazioni che ricadono nell’ambito di competenza di servizi e attori diversi. Esso si concretizza nelle seguenti attività:
- “ facilitazione di processi di responsabilizzazione collettiva;
21ibid
22Martini E. R., Torti A. ( 2003), Fare lavoro di comunità. Riferimenti teorici e strumenti operativi, Carocci Faber, Roma 23 ibid
24 Martini E.R., Manetti M., (1995), Competenze e potere nelle comunità in Animazione sociale n. 10, pp27-52
17 - attivazione e sostegno a processi di collaborazione fra gli attori di un sistema;
- facilitazione di processi di partecipazione degli attori al governo del sistema;
- sviluppo di relazioni che rinforzino la dimensione della fiducia, del senso di appartenenza e del senso di comunità;
- sviluppo di competenze da parte dei membri della comunità.”26
Il lavoro di comunità non è solo una pratica che prevede l’impiego di modelli, metodologie, e tecniche particolari atte a reclutare risorse ed energie da impiegare nei diversi progetti, ma rimanda ad una dimensione etico/politica.27 Eludere la questione etica comporta privare il lavoro di comunità del senso, e farlo diventare una tecnologia che funziona, ma della quale non si sa più cogliere lo scopo. Tale metodo non deve essere fine a se stesso, bensì ancorato a un fondamento di valore: il valore della socialità tra gli uomini, l’idea che ogni persona ha delle risorse da mettere in comune e può dare il proprio contributo attivo per sviluppare relazioni sociali positive, quando trova un ambiente favorevole.
Si assume che la qualità della vita di un contesto sociale può migliorare, se le relazioni tra le persone generano identità e legami fiduciari orientati al trascendimento degli interessi particolari.
Per evitare il rischio della chiusura, è fondamentale che le relazioni interne alla comunità non rispondano solo ad un bisogno di riconoscimento personale e di autoaffermazione e che siano, invece, pervase da una forte motivazione etica.
Sviluppo di comunità indica sia un processo di cambiamento, che i risultati di tale processo.28 Un processo che intende produrre un miglioramento nella qualità della vita dei soggetti che vivono nella comunità, quindi accrescere la capacità degli stessi di risolvere i loro problemi e di soddisfare i propri bisogni. Assumiamo che la qualità della vita dei membri di una comunità dipenda da due ordini di fattori: fattori che riguardano loro come soggetti, e fattori che riguardano le condizioni nelle quali essi vivono e che loro stessi contribuiscono a creare. In generale, e al di là dei contenuti specifici che può assumere, un progetto di sviluppo di comunità ha un duplice obiettivo: sviluppare il sentimento di comunità e sostenere la
26
Ibid, p. 47
27Martini E.R., Manetti M., (1995), Competenze e potere nelle comunità in Animazione sociale n. 10 , pp27-52
18 comunità come soggetto. Detto in altri termini, l’obiettivo dello sviluppo di comunità è far crescere comunità competenti. 29
Martini intende lo sviluppo di comunità sia come filosofia, sia come strategia.
Lo sviluppo di comunità come filosofia30 può esser inteso come un insieme di principi ispiratori, dei criteri di orientamento e di scelta, come far leva sulle risorse, favorire la crescita, l’autonomia, la responsabilità e lo sviluppo di competenze, in una parola l’empowerment di individui, famiglie o gruppi.
Lo sviluppo di comunità come strategia,31 invece, indica un’insieme di azioni finalizzate ad uno scopo preciso e con un soggetto definito comunità. Possiamo parlare di sviluppo di comunità quando è la comunità stessa ad essere assunta come soggetto. Pertanto, non tutte le azioni di empowerment (che sono comunque sempre azioni di sviluppo) possono essere definite di sviluppo di comunità, anche se si richiamano alla filosofia dello sviluppo di comunità.
Messo in questi termini, possiamo descrivere lo sviluppo di comunità come una particolare strategia di cambiamento. Per schematizzare, si possono raggruppare gli interventi tesi a migliorare la qualità della vita di una comunità in tre grandi strategie di cambiamento:
- le strategie di cambiamento focalizzate sulle condizioni - le strategie di cambiamento focalizzate sui soggetti
- le strategie di cambiamento basate sullo sviluppo di comunità Strategie di cambiamento focalizzate sulle condizioni.32
L’intervento sulle condizioni attraverso provvedimenti legislativi, opere di urbanizzazione, interventi economici, creazione di servizi, piani degli orari, ecc. è una delle strade percorribili per risolvere problemi, fare prevenzione o per promuovere la qualità della vita della comunità. Per migliorare la qualità della vita degli individui che vivono in una determinata comunità, si modificano le condizioni nelle quali questi individui vivono, attraverso interventi ideati, progettati e realizzati da soggetti altri rispetto a coloro dei quali si intende migliorare la qualità della vita. Questa, in larga misura, è anche la logica con quale si sono mosse le
29 Martini E. R., Torti A. ( 2007), Comunità in sviluppo. Potenziali limiti e sfide dello sviluppo di comunità in Animazione sociale n. 10 , pp
19-28
30Martini E. R., Torti A. ( 2003), Fare lavoro di comunità. Riferimenti teorici e strumenti operativi, Carocci Faber, Roma 31ibid
19 politiche sociali, nella convinzione che fosse sempre possibile realizzare cambiamenti nelle condizioni e creare nuovi servizi, man mano che emergevano nuovi bisogni. In questa prospettiva, i soggetti, in un certo senso, vengono considerati variabili dipendenti da un contesto che cambia e che “impone” agli stessi di cambiare.
Strategie di cambiamento focalizzate sui soggetti.33
Per aiutare le persone ad adottare i cambiamenti comportamentali richiesti dalle nuove condizioni ambientali, si possono prevedere interventi di sostegno alle persone, attraverso attività di formazione che permettano alle persone di acquisire le nuove abilità, che le mutate condizioni richiedono. Può trattarsi, ad esempio, dell’educazione all’utilizzo di un nuovo servizio, della formazione professionale coerente con l’avvio di nuove attività produttive o l’ingresso di nuove tecnologie, ecc. Ma gli interventi rivolti ai soggetti possono anche non essere determinati da cambiamenti di condizioni. Con interventi di tipo formativo/educativo, si cerca di insegnare alle persone le abilità necessarie per vivere in determinate condizioni, per colmare la distanza che esiste fra richieste ambientali e abilità delle persone. Esempi di questa strategia sono gli interventi nei confronti degli immigrati tesi a permettere a questi soggetti di acquisire le abilità necessarie per vivere nel contesto che li ospita, gli interventi di risocializzazione degli individui che sono stati istituzionalizzati, i corsi per genitori o l’introduzione nei percorsi formativi delle scuole superiori di attività tese a sviluppare capacità di problem solving o capacità relazionali, le azioni di sostegno nei confronti dei soggetti ritenuti svantaggiati, i corsi di orientamento e di inserimento lavorativo, ecc. Non vi è in questo caso alcuna intenzione di modificare le condizioni, anche se è chiaro l’intento di rendere gli individui più competenti per vivere in quelle condizioni.
Strategie di cambiamento basate sullo sviluppo di comunità.34
Questo approccio si pone l’obiettivo di permettere ai soggetti che vivono in determinate condizioni di cambiarle in relazione ai loro bisogni/interessi. In sostanza, si tratta di un processo attraverso il quale i soggetti interessati (persone, gruppi, organizzazioni, famiglie e associazioni, ecc.) acquisiscono competenze e potere per cambiare le condizioni nelle quali vivono e nella direzione che loro stessi decidono. In sostanza, con il processo di sviluppo di comunità ci si pone l’obiettivo di far crescere senso di responsabilità, potere, competenze e
33 ibid
20 senso di comunità di soggetti definiti, affinché gli stessi possano essere in grado di risolvere i problemi che hanno, così come di aiutarsi reciprocamente, di creare associazioni, di attivare imprese, di divenire più efficaci nel controllare l’operato delle istituzioni, ecc.
Questa crescita deve avvenire con modalità coerenti con i risultati che devono produrre e presuppone l’assunzione di responsabilità da parte dei soggetti per le loro condizioni, il riconoscimento e la legittimazione delle loro competenze e dei loro “criteri” di valutazione della qualità della vita e di scelta della direzione da dare al cambiamento.
Il riconoscimento e la legittimazione di questi criteri di valutazione e di scelta dei membri della comunità apre alcune questioni di fondo e in particolare la questione del rapporto con le Istituzioni e con la competenza professionale che è prerogativa del sistema formale dei servizi. Questo passaggio mette in crisi il paradigma centrale di riferimento dei servizi che è “il potere basato sul sapere professionale”. Nello stesso tempo, rende evidente che il “dovere dei cittadini” (a cui si fa appello quando si fanno i richiami all’assunzione di responsabilità) è inseparabile dai diritti dei cittadini di poter scegliere il loro destino, sia pure in un quadro di norme definite e accettate.35
In sintesi, affinché i soggetti possano effettivamente cambiare le condizioni (risolvere i problemi) occorre che gli stessi si sentano responsabili e quindi motivati (senso di responsabilità sociale e senso di proprietà rispetto al problema), abbiano un effettivo potere da spendere, possiedano le competenze necessarie e si sentano comunità.
Inteso in questo senso, lo sviluppo di comunità appare indispensabile sia per realizzare progetti di prevenzione primaria del disagio sociale, sia per garantire la mobilitazione delle risorse della comunità nell’ambito di progetti di community care. Ma è anche condizione della cittadinanza attiva e della democrazia. 36
La responsabilizzazione degli attori sociali rispetto ai problemi delle persone e della comunità è diventata una costante nell’ambito delle politiche sociali e nelle politiche di riqualificazione urbana. Martini sottolinea che il lavoro di comunità non è un’alternativa alle politiche sociali di welfare, ma uno strumento che le integra e ne accresce l’efficacia. Senza un impegno significativo del settore pubblico in questa direzione, senza un chiaro inquadramento in una strategia di potenziamento delle politiche sociali e del ruolo delle istituzioni pubbliche, il lavoro di comunità può prestarsi a strumentalizzazioni pericolose, lasciando ai margini coloro che si trovano in condizione di maggiore necessità. Nel fare lavoro di comunità non si può prescindere dalla consapevolezza che esso non può esistere al di fuori o al di sopra di una
35 ibid 36ibid
21 visione del mondo, dell’essere umano, dei suoi rapporti, del futuro, da un sistema di valori che guida nella valutazione e nell’azione e che permette di collocare la tematica del cambiamento.37
Franco Vernò, sviluppa e descrive, in chiave politico legislativa, alcuni concetti fondamentali che costituiscono il contesto del lavoro di comunità, facendo un excursus sulla legislazione di riferimento e sulla situazione di fatto delle politiche di welfare. Interrogandosi sul significato di sviluppo locale, afferma che lo sviluppo locale è tale se riesce ad attivare un circolo virtuoso che, ambiziosamente, si può chiamare, di crescita democratica di un tessuto locale comunitario, nella misura in cui sviluppa in quel luogo una società orientata al bene comune.38 Lo sviluppo locale non riguarda più solo la crescita economica, ma altri aspetti della condizione di vita della collettività, diventa quindi una questione di organizzazione sociale di società in squadra, di governo locale che garantisca equilibrio tra i diversi attori, intesi come stakeholders, tenendo a bada gli squilibri e dimostrandosi attento alla relativa riduzione delle disuguaglianze, al grado di protezione sociale che faccia da contrappeso agli squilibri dell’economia, alla presenza di una partecipazione democratica che costringa a rendere visibili i processi. Lo sviluppo locale si misura sul grado di qualità sociale di un contesto e richiede come riferimento la promozione di condizioni di qualità sociale.39 L’autore fa emergere il ruolo della programmazione territoriale/locale come fattore di sviluppo locale, realizzabile a due condizioni: che sia partecipata con tutti coloro che insistono con diversi interessi su un territorio, e che sia integrata tra le diverse aree sistemiche delle politiche sociali di sviluppo.
Lo sviluppo locale si attua nella stessa comunità locale, che Vernò intende come il luogo per il vivere quotidiano, che riveste importanza e rilevanza di senso specialmente per le persone in situazione di debolezza e di fragilità sociale. 40 Ammesso e non concesso che la comunità abbia, in qualche epoca, perso la sua rilevanza per la vita degli individui che la vivono, assume importanza soprattutto nelle condizioni di disagio, per le persone in difficoltà, per chi ha scarsa capacità di autonomia, per chi non può muoversi agevolmente. La comunità locale diventa, quindi, ambito privilegiato di intervento in quanto è in questo contesto, definito della quotidianità, che i suoi membri hanno la possibilità di sviluppare il senso di appartenenza e di investire per promuovere benessere nella misura in cui hanno la possibilità di partecipare,
37ibid
38Vernò F. (2007), Lo sviluppo del welfare di comunità. Dalle coordinate concettuali al lavoro di gruppo, Carocci, Roma, pp.16 39
Vernò F. (2015), Quale futuro per la programmazione locale in Welfare oggi n. 1 40
22 influenzare, scegliere, trovare risposte e soluzioni. Inoltre la comunità agisce, per i propri membri, da mediatore41 con l’esterno, con altre comunità, altre istituzioni, altre associazioni, altri professionisti e agisce, inoltre, da filtro con cui interpretare funzioni, realtà culturali e contenuti quali il lavoro, il diritto, l’economia, il denaro, ecc… E’ necessario prestare attenzione alla cultura della comunità, ai modelli e alla struttura delle relazioni e delle interazioni tra fattori personali e ambientali.
23
1.2 I Modelli operativo-teorici per il servizio sociale di comunità
Si possono individuare cinque modelli teorici, a livelli internazionale, per la pratica del servizio sociale di comunità: il modello di sviluppo delle reti di solidarietà sociale, il modello di sviluppo di comunità, il modello di azione politica, la pianificazione sociale e lo sviluppo e coordinamento dei programmi di intervento sociale. I primi tre modelli sono inerenti al rapporto con la popolazione e gli ultimi due riguardano il rapporto con le istituzioni e le risorse sociali.42
Il modello di sviluppo delle reti di solidarietà sociale si riferisce ad attività volte a costruire legami di solidarietà sociale, secondo l’approccio ecologico – sistemico.
Lo scopo di questo approccio è promuovere e costituire reti sociali cui gli individui si rivolgono per aiuto, nel momento in cui la loro situazione diviene così problematica da non poter essere risolta con le sole risorse personali, ma si ha bisogno di un sostegno sociale. Il sostegno sociale può comprendere il sostegno emotivo, il consiglio, la guida, nonché l’aiuto materiale e i servizi che le persone possono ricevere dai loro rapporti sociali; in genere tali rapporti sono caratterizzati dalla vicinanza fisica, dalla frequenza delle interazioni, dalla fiducia e dalla reciprocità.
Le reti sociali di supporto, nel lavoro di comunità, vengono promosse a diversi livelli e con diversi interlocutori. A livello degli organismi decisionali politici, attraverso la costituzione di legami stabili o occasionali con le aggregazioni sociali presenti nel territorio, con le associazioni di volontariato. A livello dei casi singoli, gli operatori intessono legami per la soluzione dei problemi sociali, trovando risorse nell’ambiente di vita del soggetto e cercando di integrare le risorse del volontariato con le prestazioni offerte dall’istituzione. Le conoscenze e le capacità possedute dagli operatori per questo tipo di approccio riguardano essenzialmente il lavoro con i gruppi, le riunioni di negoziazione, la costituzione di set di aiuto, i processi decisionali, ecc…
Il modello di sviluppo di comunità ha l’obiettivo di rendere capace la comunità di prendere coscienza dei propri problemi e di mobilitarsi per risolverli. Secondo tale approccio l’assistente sociale, sia nel lavoro con il singolo utente o il gruppo, sia nel lavoro con la comunità, si pone la finalità di promuovere la partecipazione e il coinvolgimento, partendo dal presupposto che nessuno può prescindere dal contesto sociale nel quale è inserito e che il
42
24 contesto può essere fonte di risorse per risolvere tali problemi. Si tratta di fare un’azione di informazione, sensibilizzazione, mobilitazione, affinché il singolo e la comunità capiscano i propri problemi e mettano in atto attività di auto – aiuto, trovino, al proprio interno, le energie e le risorse per affrontarle, imparando con l’aiuto dell’assistente sociale, a conoscersi, a reagire, a mobilitarsi. L’assistente sociale sollecita le persone a partecipare a gruppi e i gruppi a orientarsi verso attività di azioni sociali per la tutela dei loro diritti e la promozione delle risorse, contatta i gruppi di auto – aiuto e di volontariato esistenti e li coinvolge intorno ai problemi del singolo e della comunità, promuove e ritesse le reti di solidarietà sociale, a livello di vicinato e di gruppi di interesse. Il concetto di fondo di questo modello è quello di rendere consapevole e attiva la comunità nelle sue diverse articolazioni; lo strumento base è quello del gruppo volto al compito, che pianifica e gestisce le diverse iniziative.43
Il modello di azione politica si basa sull’azione per lo sviluppo del potere politico dei gruppi e per la loro presenza attiva nella comunità, partendo dal presupposto che in ogni comunità vi è una pluralità di interessi che frequentemente si scontrano, ma che all’interno di tale processo alcuni gruppi sono costantemente esclusi dalle decisioni che contano. Il compito dell’operatore è quello di sostenere i vari gruppi affinché, in un processo democratico, tutti possano avere le stesse opportunità di partecipazione. Le innegabili realtà sociali dell’ineguaglianza, dell’esclusione, del potere, del conflitto, non devono impedire ai gruppi svantaggiati di partecipare ad attività di azione sociale, per proteggere i loro diritti e ottenere le risorse. Queste opportunità potranno essere colte dai gruppi più deboli solo se aiutati a crescere, a consolidare delle specifiche competenze, a raggiungere credibilità e prestigio nella lotta per il potere decisionale, all’interno della comunità. L’assistente sociale riveste, pertanto, nei confronti di tali gruppi, un ruolo di educatore, di promotore di risorse, di animatore e canalizzatore dell’apatia o del malcontento in azioni chiare, possibili, costruttive, di azione e pressione sociale. L’idea di fondo è quella della garanzia di una presenza di tutti, anche dei più deboli, nella comunità a livello delle decisioni importanti e quindi la l’importanza di un’azione professionale che pone il proprio potere tecnico e istituzionale a servizio degli utenti, purché possano essi stessi acquisire più potere.44
È stato, inoltre, ipotizzato un modello teorico di approccio ai problemi della comunità che riguarda il rapporto con le istituzioni e le risorse sociali, che si basa sulla collaborazione ai processi di pianificazione sociale. Ogni comunità deve poter essere dotata di una serie di servizi, prestazioni, risorse, che devono essere previste, organizzate e gestite dalle istituzioni
43ibid 44ibid
25 pubbliche, con la partecipazione attiva della popolazione. Un processo di pianificazione parte necessariamente dalla conoscenza dei bisogni, delle esigenze e delle risorse del territorio, per giungere a un piano di interventi per raccogliere e diffondere le informazioni, per coinvolgere le risorse comunitarie, integrandole con quelle pubbliche, per realizzare interventi e servizi. L’interlocutore principale è l’istituzione assistenziale che, con il supporto degli operatori, deve essere in grado di cogliere i problemi emergenti, di prospettare soluzioni, di trovare i fondi e le risorse necessari per attuarle. L’operatore deve possedere capacità organizzative che riguardano l’abilità di identificare i problemi, di fissare gli obiettivi, di fare piani concreti, di stabilire priorità, di coinvolgere gli organismi politico – decisionali, offrendo loro tutti i supporti conoscitivi che servono a prendere decisioni realizzabili e chiare. Ma anche abilità strategiche e politiche, che lo mettano in grado di cogliere le reti di potere e di interesse sulle quali agire per prendere decisioni valide, identificare gli spazi di influenza possibili, le aree di conflitto da evitare, gli interessi da potenziare, le alleanze da stringere, e ancora capacità di analisi per studiare situazioni e problemi, per valutare gli obiettivi da porsi e le priorità da definire, per analizzare criticamente i risultati ottenuti dopo l’intervento. L’assistente sociale deve avere capacità e competenza nell’operare con i gruppi, nel collaborare all’impostazione di ricerche, all’organizzazione di progetti, per diffondere le informazioni e per cogliere le esigenze e gli interessi della popolazione alla progettazione, attuazione e verifica degli interventi.
Il secondo approccio che riguarda il rapporto con le istituzioni e le risorse sociali riguarda l’attività di sviluppo e di programmazione dei servizi. L’obiettivo di questo approccio è, essenzialmente, quello di razionalizzare i servizi, tenendo conto della scarsità delle risorse disponibili e della necessità di integrare risorse istituzionali e comunitarie. Mira ad integrare e a rendere più funzionali le risorse dell’istituzione, attraverso la costituzione di équipe e di gruppi di lavoro, a creare rapporti di collaborazione con i vari livelli dell’istituzione, ad attuare azioni di concertazione e di integrazione con operatori di servizi diversi. Il compito principale dell’operatore sociale consiste nel tenere costantemente presente la dimensione comunitaria dei problemi, nella loro genesi, ma anche nella loro soluzione. Occorrono in questo approccio soprattutto competenze in tema di organizzazione dei servizi, ma anche in tema di relazioni interpersonali, di lavoro con i gruppi, soprattutto volti al compito.45
Tra i fondamenti teorici e metodologici che sostanziano il servizio sociale di comunità vanno annoverati l’approccio sistemico relazionale, che ha rivoluzionato il modo di studiare la
26 relazione, il contesto, il cambiamento, la comunicazione umana, in una prospettiva ecologica connessa al concetto di complessità e a quello dell’autoreferenzialità dell’osservatore.46
L’approccio di rete e la network analysis costituiscono un secondo modello. In Italia lo studio della struttura, delle funzioni, e della dinamica delle reti, in quanto forma delle relazioni sociali, ha stimolato un diverso quadro concettuale di riferimento nelle declinazioni di matrice sociologica, in quelle che si riferiscono alla psicoterapia e in quelle del servizio sociale. Così l’approccio di rete può identificare sistemi di risorse sia istituzionali (organizzazione di servizi) sia naturali (famiglia, gruppo, aggregazioni) all’interno del territorio, può addirittura prefigurare un approccio per il cambiamento nel rapporto tra reti primarie e secondarie come sostiene Lia Sanicola.47
Un altro approccio altrettanto importante è quello relativo alla partecipazione nello sviluppo di comunità e quello dell’empowerment di comunità che, mediante il controllo, la consapevolezza critica e la partecipazione unisce la conoscenza e l’impegno sociale.
Elena Allegri, per approfondire il tema dei fondamenti teorici e metodologici del servizio sociale di comunità, considera due prospettive: quella teorico-metodologica e quella etico-politica. 48
Per quanto riguarda la prima, in Italia la riflessione sulla metodologia diventa importante nell’ottica del decentramento, a seguito dell’istituzione dei servizi sociali territoriali negli anni ’70, considerati servizi di base rivolti a tutta la popolazione di un territorio circoscritto. In questo modo si definisce il servizio sociale di territorio, il quale è considerato l’azione professionale di carattere polivalente, multidimensionale e integrato tra sociale e sanitario e tra pubblico e privato, che modella le proprie funzioni sulle esigenze della popolazione in un rapporto di reciproca fiducia.49 La dimensione comunitaria emerge all’interno di tre indirizzi: promozione, sviluppo e coordinamento di servizi e risorse istituzionali e comunitarie; partecipazione sociale, per creare un buon rapporto tra bisogni e risorse territoriali; lavoro con i gruppi della comunità al fine di promuovere la partecipazione e l’autogestione dei servizi e delle risorse per creare legami di solidarietà sociale.50 Il servizio sociale italiano, per collegare i diversi livelli e le dimensioni dell’intervento, elabora l’idea di unitarietà del metodo, ma adottando una prospettiva multidimensionale: la tridimensionalità o trifocalità. Secondo
46Allegri E. (2015), Il servizio sociale di comunità, Carocci Faber, Roma, pp. 48 - 50
47ibid
48Allegri E. (2003), Il servizio sociale di comunità, Carocci Faber, Roma
49Tassinari A. (2013), Servizio sociale di territorio, in A Campanini (dir.), Nuovo dizionario di servizio sociale, Carocci, Roma , pp.586-92 50Dal Pra Ponticelli M. (1987), Lineamenti di servizio sociale, Astrolabio, Roma
27 questa prospettiva le situazioni sono analizzate contemporaneamente da tre angolature: dal singolo, dal contesto ambientale (comunità), dall’istituzione (organizzazione). Secondo l’approccio teorico-metodologico, la prima operazione da compiere è definire qual è il problema e quali sono gli elementi che lo compongono. Un altro importante orientamento è l’approccio di rete, che può identificare sistemi di risorse sia istituzionali (organizzazione di servizi), sia naturali (famiglia, gruppo, aggregazioni) all’interno del territorio; può anche configurare l’organizzazione della cura di stampo comunitario, cioè la community care; può infine prefigurare un approccio per il cambiamento nel rapporto tra reti primarie e secondarie. Attraverso la messa appunto di dispositivi metodologici, tutti gli approcci possono concorrere a orientare e sostenere i processi di responsabilizzazione collettiva.
Per quanto riguarda la prospettiva etico-politica la prof.ssa Allegri sottolinea due elementi importanti: la promozione del collegamento tra persone e gruppi affinché intraprendano azioni utili a fronteggiare problemi comuni; la transizione da una cultura basata sul bisogno e sulla mancanza a una fondata sulle risorse e sulle capacità.51 Stando a questi due elementi, i problemi individuali vengono considerati problemi sociali; in questo modo sono problemi di tutti, ossia pubblici, e quindi gli attori in gioco (istituzioni) devono rispondere in maniera responsabile, agendo in questa cornice di significato. Il servizio sociale deve così orientare la propria attenzione non solo verso le persone vulnerabili, ma soprattutto verso la dimensione collettiva, la quale comprende tutti coloro che vivono, abitano, attraversano un territorio. Risulta, dunque, necessario cambiare il paradigma di riferimento, assumendo come principio guida delle organizzazioni dei servizi la costruzione di un contesto sociale inclusivo, più attento ai legami sociali e più rispettoso delle differenze, all’interno del quale sperimentare nuove forme di intervento leggero. L’importanza dell’impegno etico-politico del servizio sociale è richiamata nei diversi Codici etici di molti Paesi e nella definizione internazionale approvata nel 2014 dalla International Association of Schools of Social Work e dalla International Federation of Social Workers nella quale si legge che “i principi di giustizia sociale, diritti umani, responsabilità collettiva e rispetto delle diversità sono fondamentali per il servizio sociale”52
Ci sono tre pratiche a livello internazionale che sostanziano la prospettiva etico-politica del servizio sociale di comunità:
51
Allegri E. (2003) , Il servizio sociale di comunità, Carocci Faber, Roma 52 http://cdn.ifsw.org/assets/ifsw
28 Pratica antioppressiva o antidiscriminatoria: essa tende a contrastare lo svantaggio che colpisce gli individui, i gruppi e le comunità; si rivolge contro le culture che opprimono le minoranze etniche, le donne e gli utenti maggiormente a rischio di stigma ed è perciò detta “antioppressiva”; ha come scopo il cambiamento socio-culturale finalizzato a modificare gli atteggiamenti sociali negativi.53
Advocacy: compito dell’assistente sociale è dare voce alle persone oppresse, attivando tutti i dispositivi utili a rappresentare il loro punto di vista nei confronti delle istituzioni e delle organizzazioni alle quali si rivolgono e cercando, inoltre, di promuoverne i diritti.54
Policy practice: l’insieme delle attività svolte dagli assistenti sociali come parte integrante del loro lavoro professionale per influenzare lo sviluppo, la produzione legislativa, l’attuazione, la modifica o la conservazione delle politiche di welfare a livello organizzativo, locale, nazionale e internazionale. Questa pratica ha un riferimento specifico nel Codice Deontologico italiano dell’assistente sociale: al Titolo IV.55
53
Allegri E. (2003), Il servizio sociale di comunità, Carocci Faber, Roma
54
ibid
55
29
1.3 Tecniche, processi e strumenti operativi per un servizio sociale di
comunità
Gli autori presi in esame, Elena Allegri, Elvio Raffaello Martini e Franco Vernò, si interrogano sui processi, le tecniche e gli strumenti operativi utili ad attivare e mettere in pratica processi partecipativi, nella prospettiva del Servizio Sociale di comunità.
Elena Allegri e Elvio Raffaello Martini descrivono le tecniche di sviluppo della comunità, basandosi sull’idea comune che nelle comunità stesse ci sono risorse individuali e territoriali non sufficientemente valorizzate.56 Allo stesso tempo Vernò sostiene che la comunità locale sia l’ambito privilegiato di intervento in cui sviluppare il senso di appartenenza e investire per promuovere benessere, nella misura in cui i suoi membri hanno la possibilità di partecipare, influenzare, scegliere, trovare risposte e soluzioni.57
1.3.1 I Processi
Veniamo ora al pensiero dei tre autori in merito ai processi che concorrono allo sviluppo di comunità.
La logica sottesa a tutte le proposte che Elena Allegri presenta, prevede l’adozione di un approccio collaborativo fra i diversi attori che concorrono all’analisi, alla ricerca, alla progettazione, all’intervento e alla valutazione di iniziative promosse con la collettività, per intraprendere azioni utili a fronteggiare problemi e conflitti comuni.58
Secondo Elena Allegri gli approcci partecipativi e collaborativi non scaturiscono da una naturale comunione di intenti, ma da pratiche dialogiche capaci di affrontare e superare posizioni divergenti o antagoniste, le strategie che possono essere adottate per favorire i processi partecipativi sono la facilitazione, la mediazione, la negoziazione.
56Martini E. R., Torti A. ( 2003), Fare lavoro di comunità. Riferimenti teorici e strumenti operativi, Carocci Faber, Roma
57
Vernò F. (2007), Lo sviluppo del welfare di comunità. Dalle coordinate concettuali al lavoro di gruppo, Carocci, Roma 58
30 La facilitazione.
Elena Allegri riprende la definizione di Schwarz: “facilitare è il processo in cui una persona neutrale, accettata da tutti i membri del gruppo e priva di autorità decisionale, fa diagnosi e interviene per aiutare un gruppo a migliorare il modo in cui affronta e risolve i problemi e prende le decisioni. Il compito principale del facilitatore è quello di aiutare il gruppo ad aumentare la sua efficacia migliorando il processo e la struttura. Il processo si riferisce a come un gruppo lavora insieme. Esso comprende i modi attraverso i quali i membri parlano tra loro, risolvono i problemi, prendono decisioni e gestiscono il conflitto.” 59 Il facilitatore è un esperto del processo, specializzato nel favorire le interazioni tra persone e, consapevole della necessità, di accompagnare senza guidare in modo coercitivo coloro che partecipano. Il processo funziona solo se le persone si sentono libere e non strumentalizzate. Il ruolo del facilitatore è controverso in quanto può condizionare il processo con le scelte metodologiche che usa. Il suo compito è quello di accompagnare le persone coinvolte al di là dei pregiudizi e delle posizioni definite a priori, facendo esprimere loro i propri obiettivi e interessi di fondo.60 Secondo l’autrice è utile fare attenzioni a due questioni importanti. La prima riguarda le reciproche rappresentazioni e aspettative tra gruppo e facilitatore, la seconda concerne il controllo sia dei processi sia dei risultati raggiunti, le azioni di monitoraggio in itinere dovrebbero essere svolte dal gruppo insieme al facilitatore, si tratta di riconoscere nel gruppo le diversità, di tutelarle e valorizzarle.
La mediazione.
“La Mediazione è quel processo attraverso il quale una terza persona neutrale, tenta, attraverso l’organizzazione di scambi tra le parti, di permettere a esse di confrontare i punti di vista e di cercare con l’aiuto del mediatore un soluzione al conflitto che le oppone”. 61 Elena Allegri riprende la definizione di Bonafè-Schmitt, la mediazione si pone come un ambito fisico e simbolico di costruzione di una condivisione possibile e la connotazione riconosce il territorio come luogo adatto alla regolazione dei conflitti. La prospettiva comunitaria induce a soffermarsi sui luoghi in cui i processi mediativi possono aver luogo e sulle riforme di socialità che si possono costruire a partire da essa, avendo come obiettivo la costruzione del legame sociale. Per il servizio sociale, questa prospettiva apre delle interessanti piste di lavoro. Lo spazio intermedio, tra individuo e ambiente può diventare uno
59Allegri E. (2015), Il servizio sociale di comunità, Carocci Faber, Roma, pp. 130
60 Martini E. R., Torti A. ( 2003), Fare lavoro di comunità. Riferimenti teorici e strumenti operativi, Carocci Faber, Roma