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Il diritto politico: le dimensioni internazionale e

5. Con che cosa intervenire: le fonti del biodiritto

5.2. Il diritto politico: le dimensioni internazionale e

Le fonti di natura politica rappresentano – come già visto – una componente essenziale ma problematica del biodiritto. Si tratta di atti che provengono da autorità differentemente connotate, oggi prevalentemente legittimate da una procedura di elezione democratica, «che agiscono essenzialmente sulla base di valutazioni di opportunità»113.

111

D. ATIGHETCHI, Eugenetica: le opinioni nell’Islam, cit., 788 ss.

112

Citiamo ancora da D. ATIGHETCHI, Eugenetica: le opinioni nell’Islam, cit., 785.

113

Il diritto politico può avere derivazione di livello internazionale, comunitario o nazionale. Riguardo agli atti internazionali che si occupano, direttamente o indirettamente, della materia bioetica, potrebbe provocatoriamente sostenersi come la loro vaghezza, ma non sempre la loro utilità, sia direttamente proporzionale al loro numero. Di diversa provenienza e con diversa efficacia – oltre a quanto già detto supra affrontando il tema della dignità umana – si potrebbe citare una lunghissima serie di atti che va dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (1950), dalla Convenzione per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazione della biologia e della medicina (Convenzione sui Diritti dell’Uomo e la biomedicina o Convenzione di Oviedo del 1996) alla Dichiarazione universale sul genoma umano e di diritti dell’uomo (1997), da vari documenti (risoluzioni o raccomandazioni) dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa alla dichiarazione adottata dalla Sesta Commissione ONU sulla clonazione, che invita tutti gli stati membri a prendere «tutte le misure necessarie per proteggere la vita umana» nella ricerca scientifica e proibisce «tutte le forme di clonazione umana, che siano incompatibili con la dignità dell’uomo e la protezione della vita umana»114. Se molti di questi documenti rappresentano importanti “punti di non ritorno” in riferimento ad esperienze tragiche del passato, va anche confermato, non solo in riferimento alla dignità, come difficilmente essi riescano a porsi come componenti davvero decisive in riferimento alla disciplina della bioetica.

114

Fra gli altri, si veda la documentazione giuridica riportata in L. PALAZZANI,

Introduzione alla biogiuridica, cit., passim; A. BOMPIANI, A. LORETI BEGHÈ, L. MARINI, Bioetica e diritti dell’uomo nella prospettiva del diritto internazionale e

Oltre al fisiologico carattere scarsamente justiciable del diritto internazionale, va anche ricordato come alcuni stati rimangano, nonostante tutto, ancora restii a partecipare formalmente a tale livello di tutela.

Può ricordarsi, ad esempio, come proprio l’Italia, nonostante l’adozione della legge 145 del 28 marzo 2001 di ratifica ed esecuzione della Convenzione sui Diritti dell’Uomo e la biomedicina di Oviedo, non possa ancora dirsi parte della stessa Convenzione115. Nonostante la legge italiana preveda che «Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare la (…) Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina» (art. 1) e che «piena e intera esecuzione è data alla Convenzione» va anzitutto registrata la mancata adozione dei «decreti legislativi recanti ulteriori disposizioni occorrenti per l’adattamento dell’ordinamento giuridico italiano ai principi e alle norme della Convenzione» (art. 3). A tutt’oggi, tali atti non risultano emanati, nonostante lo stesso articolo 3 della legge 145 avesse fissato un termine per la relativa adozione in sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge. Nonostante tale inadempienza, peraltro, si potrebbe ritenere la Convenzione applicabile per tutte le questioni disciplinate con sufficiente precisione, per quelle self-executing potremmo dire, tali da non porre

115

La letteratura al riguardo è immensa. Fra gli altri, si vedano i numerosi interventi raccolti nel numero 4 di Bioetica del 1998. Nella prospettiva qui privilegiata, cfr. G. CATALDI, La Convenzione del Consiglio d’Europa sui diritti

dell’uomo e la biomedicina, in L. CHIEFFI (a cura di),Bioetica e diritti dell’uomo,

cit., 267 ss.; C. PICIOCCHI, La Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e la

biomedicina: verso una bioetica europea?, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, 2001, 1301 ss.; A. GITTI, La Corte europea dei diritti dell’uomo e la

Convenzione sulla biomedicina, in Rivista internazionale dei diritti dell’uomo, 1998,

720 ss.; A. BOMPIANI, Aspetti rilevanti per la trasposizione nell’ordinamento

italiano della Convenzione sui diritti dell’uomo e della biomedicina, in

problemi di adattamento al sistema italiano e da non richiedere quindi «ulteriori disposizioni»116.

A questo punto, tuttavia, sorge un ulteriore problema di assai difficile, se non impossibile, risoluzione. Consultando i documenti e il sito ufficiale del Consiglio d’Europa relativo alla Convenzione di Oviedo, l’Italia appare fra i primi stati firmatari (in data 4 aprile 1997), ma non risulta fra quelli che hanno ratificato la Convenzione, tanto che la stessa, nonostante quanto si sostenga da varie parti, non risulta ancora entrata in vigore117. Tale situazione, apparentemente paradossale alla luce della citata legge di ratifica n. 145 del 2001, si spiega con un’inadempienza, difficilmente inconsapevole, di carattere meramente burocratico: con il mancato deposito, dal marzo 2001 ad oggi, dello strumento di ratifica presso il Consiglio d’Europa. Il processo di ratifica della Convenzione di Oviedo, quindi, non risulta completato e la stessa non può essere considerata, in se stessa, diritto vigente in Italia118.

116

In termini generali, B. CONFORTI, Diritto internazionale, Napoli, 2005,

293 ss.

117

Si veda il sito http://conventions.coe.int/Treaty/Commun/ChercheSig.asp?NT =164&CM=8&DF=09/03/04&CL=ITA.

118

A questo punto, potrebbe tentarsi un’acrobazia interpretativa tesa a riconoscere la vigenza, se non della Convenzione stessa, perlomeno della sua sostanza, dei suoi principi. Si potrebbe ritenere, cioè, che la legge 145 del 2001, (ancora) inefficace nel dare piena e intera esecuzione alla Convenzione, introduca di per se stessa e direttamente le disposizioni della Convenzione: non si tratterebbe in altri termini di una legge di ratifica, ma di una “legge normale” in grado di prevedere autonomamente alcune disposizioni che, per circostanze casuali, sono inserite in un altro testo cui la stessa legge rinvia. Seguendo questa impostazione, le disposizioni di Oviedo non sarebbero in vigore in quanto contenute in una Convenzione del Consiglio d’Europa (cui l’Italia non ha ancora aderito), ma lo sarebbero in quanto previste autonomamente in una legge italiana. A parte alcuni profili di debolezza, legati al combinato disposto dell’art. 2 della legge 145 e dell’art. 33 della Convenzione, tale ricostruzione non permette comunque di far ritenere l’Italia parte della Convenzione di Oviedo, isolandola, per così dire, all’interno di una dimensione di “autarchia”.

Passando al livello delle fonti comunitarie, può in questa sede essere solo aggiunto come, a fronte di vaghe e talvolta contraddittorie risoluzioni del Parlamento europeo, direttive e risoluzioni appaiano, ovviamente, occupare un posto di grande rilievo anche in materia bioetica. Da ultimo, ad esempio, si ricordi la legge di conversione n. 78 del 22 febbraio 2006, con cui si è data attuazione alla direttiva 98/44/CE in materia di protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche.