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Quanto intervenire: leggerezza e apertura v rigidità ed

4. Il modello interventista

4.2. Quanto intervenire: leggerezza e apertura v rigidità ed

Passando alla misura da dare all’intervento normativo, può individuarsi un modello che si costruisce secondo principi di leggerezza e apertura a fronte di un’opposta tipologia di carattere pesante e chiuso. Tali modelli si affidano, il primo, a logiche di inclusione e di dialogo fra diversi saperi, oltre che all’attenzione alle particolarità dei singoli casi; il secondo, all’intervento esclusivo della componente giuridica, e prevalentemente del formante legislativo, ed alla chiusura del sistema grazie a norme rigide e non bilanciabili con la specificità delle situazioni concrete. Trattando, appunto, di modelli, si indicheranno qui le principali caratteristiche che astrattamente connotano un tipo rispetto ad un altro. Evidentemente, la realtà presenta esperienze in cui non è altrettanto facile distinguere nitidamente la natura e i caratteri concretamente adottati, i quali potranno mostrarsi in termini meno netti e talvolta confusi o sovrapposti.

Il primo modello, che come abbiamo visto in precedenza si ricollega alle caratteristiche della famiglia di common law, adotta uno schema di regolamentazione che trova nella dimensione giuridica, ed in particolare nel formante legislativo, solo il punto di partenza della disciplina delle questioni di bioetica. La legge, in questo senso, da un lato, tende a porre una serie di paletti esterni, per così dire, tesi a circoscrivere entro confini ampi l’attività permessa; dall’altro, indica

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E. DENNINGER, La tutela dell’embrione e la dignità dell’uomo. O: dei limiti

della forza normativa della Costituzione, in V. BALDINI (a cura di), Diritti della persona e problematiche fondamentali. Dalla bioetica al diritto costituzionale, cit.,

(solo) i principi generali entro cui la stessa dovrà muoversi, riconoscendo poi vasti spazi di decisione a componenti normative di carattere extra-legislativo ed extra-giuridico35.

La disciplina britannica della procreazione medicalmente assistita, al riguardo, può offrire un valido esempio.

Ai tempi in cui venne alla luce Louise Brown, la prima bimba al mondo nata grazie ad una fecondazione in vitro (1978), il Regno Unito era caratterizzato da un regime di laissez faire in materia riproduttiva. Le nuove possibilità dischiuse dalla tecnologia divisero la popolazione fra quanti accettavano con fiducia i progressi nel settore e quanti ne criticavano i potenziali manipolativi. Il governo così diede l’incarico di studiare le problematiche sollevate dal caso ad una commissione ad hoc: il Committee of Inquiry into Human

Fertilisation and Embryology, detto, dal nome della sua presidente, Warnock Committee36.

Per quanto riguarda il ruolo e la misura da attribuire all’intervento legislativo in materia bioetica, i componenti del Committee si trovarono concordi nell’indicarne vantaggi e svantaggi:

«We believe that new laws will be necessary to cope

with the new techniques for alleviating infertility and their consequences, and to deal with the developments in research in the field of embryology. But we foresee real dangers in the law intervening too fast and too extensively in areas where there is no consensus.

35

Per una ricostruzione parzialmente diversa della scelta di un diritto elastico, leggero, sobrio e aperto, si veda P. BORSELLINO,Bioetica tra autonomia e diritto,

cit., 208 ss.

36

M. WARNOCK, A Question of Life. The Warnock Report on Human

Furthermore both medical science and opinion within society may advance with startling rapidity»37.

La Commissione, quindi, invitò il Parlamento ad adottare una legislazione leggera e flessibile che permettesse di bilanciare l’esigenza di vigilare sul settore riproduttivo con l’opportunità di non irrigidire eccessivamente un campo soggetto a rapidi mutamenti sia tecnico-scientifici che di valutazione sociale e politica.

Il Parlamento si mosse nel solco tracciato dal rapporto Warnock indicando, da un lato, i termini ed i limiti giuridici entro cui poter compiere la fecondazione assistita e le altre attività che avessero a che fare con il trattamento dell’embrione, e istituendo, dall’altro, un’autorità indipendente (la Human Fertilisation and Embryology

Authority) con il compito di vigilare ma anche di regolare in buona

parte i trattamenti medici associati agli sviluppi tecnologici nel settore. Ne derivò una normativa (lo Human Fertilisation and

Embryology Act) ritenuta in buona misura permissiva la quale, ad

esempio, non proibisce la creazione di embrioni umani a scopo di ricerca e neppure la ricerca sugli embrioni sovrannumerari e su quelli creati a tal fine, purché non abbiano superato i quattordici giorni dalla fertilizzazione dell’ovocita38.

Per quanto più interessa in questa sede, la Gran Bretagna ha adottato un approccio di intervento leggero, teso non a disciplinare i dettagli e nemmeno l’insieme delle regole da adottarsi in materia di riproduzione assistita, ma a porre dei limiti esterni di carattere abbastanza ampio (divieto di clonazione, protezione dell’embrione a partire dal quattordicesimo giorno, diritto di informazione e consenso per i donatori, ecc.) lasciando tutto il resto, oltre che la soluzione dei

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M. WARNOCK, A Question of Life. The Warnock Report on Human

Fertilization and Embryology, cit., 7.

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Cfr. R.G. LEE,D. MORGAN, Human Fertilisation & Embryology. Regulating

singoli casi, ad un combinato disposto ricavabile dal Code of

Practice e dalle pronunce adottate dalla Human Fertilisation and Embryology Authority, oltre che dalle sentenze dei giudici

“ordinari”39. Seguendo i caratteri tipici dell’esperienza di common

law, infatti, lo Human Fertilisation and Embryology Act apre la

disciplina della procreazione assistita e del trattamento della fase iniziale della vita sia al formante giurisprudenziale che a componenti normative non strettamente giuridiche, riconoscendo un vasto potere di regolamentazione di carattere generale, attraverso il Code, e di intervento sul caso specifico ad una commissione di esperti pluridisciplinare, composta da medici, giuristi ed esperti di profili religiosi, filosofici ed etici40. Da ricordare, inoltre, come il Code of

Practice sia periodicamente aggiornato, a testimonianza della

volontà di tenere in stretto collegamento il diritto dell’inizio-vita con le evoluzioni tecnico-scientifiche e con le relative valutazioni da parte deontologica, sociale e politica41.

Tutt’altro approccio, riconducibile al secondo modello caratterizzato da rigidità ed esclusione, risulta adottato dalla legge n. 40 del 2004 che disciplina in Italia la procreazione medicalmente assistita. Oltre ad alcuni principi di carattere generale – forse perfino troppo generale (tutela di «tutti i soggetti coinvolti», tutela forte di un embrione per cui non si danno definizioni) – la legge italiana disciplina le pratiche di fecondazione assistita con una lunga serie di dettagli e disposizioni minute. A testimonianza della “pesantezza”

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Per una ricostruzione della giurisprudenza più significativa, fra gli altri, cfr. S.A.M. MCLEAN, La fecondazione medicalmente assistita nel Regno Unito: il

dibattito sulla regolazione giuridica, in C. CASONATO,T.E. FROSINI (a cura di),La fecondazione assistita nel diritto comparato, cit.; R.G. LEE, D. MORGAN, Human

Fertilisation & Embryology. Regulating the Reproductive Revolution, cit., 134 ss.

40

Tutte le informazioni sull’Authority sono reperibili al sito http://www.hfea.gov.uk/Home.

41

Dal 1991, anno della prima adozione del Code of Practice, si è raggiunta nel 2004 la sesta edizione: http://www.hfea.gov.uk/HFEAPublications/CodeofPractice.

della disciplina italiana, la legge ricorre al diritto penale, ed alla pena della reclusione, al fine di scoraggiare le condotte vietate (art. 12)42. Il medico che produca più di tre embrioni o comunque un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto è punito con la reclusione fino a tre anni; e stessa pena è prevista per la crioconservazione di embrioni (art. 14). A nessuna autorità o commissione di esperti, inoltre, è attribuito il potere di decidere su singoli casi, nemmeno su quelli che possono apparire più problematici: la legge, al riguardo, non dispone alcuno strumento di flessibilità. Ed anche le linee guida, che pure sono emanate con proprio decreto dal Ministro della salute e che vanno – esse, non la legge – aggiornate periodicamente, sono singolarmente considerate «vincolanti» (art. 7).