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Quando intervenire: seguire o guidare il consenso?

4. Il modello interventista

4.1. Quando intervenire: seguire o guidare il consenso?

L’intervento giuridico, e quello di natura legislativa in particolare, può anzitutto essere consapevolmente differito nell’attesa che su un determinato tema si sia consolidato un orientamento generalmente condiviso a livello sociale23. D’altro canto, può tentare di anticipare e per quanto possibile guidare la formazione del consenso ed il raggiungimento di una valutazione stabile e diffusa di una determinata problematica.

A favore dell’opportunità di un modello di biodiritto che segua, e in qualche modo registri e codifichi, le opzioni già presenti a livello sociale, sta l’esigenza che il fenomeno giuridico si basi su principi generalmente condivisi. Su materie delicate e sensibili come quelle bioetiche, il diritto, che è fenomeno sociale, non potrebbe adottare decisioni che appaiano eccessivamente avanzate o arretrate rispetto al sentire comune. In questo senso, si è sostenuto come

«le questioni bioetiche esigano primariamente un processo di formazione del consenso (…). Il giurista deve sapere che le regole di cui si occupa per mestiere raccolgono bisogni, spinte e valutazioni che nascono prima e fuori del modo legale: il compito pedagogico o terapeutico del diritto rispetto alla realtà sociale si esercita – se può – verso comportamenti marginali, non certo verso il nucleo delle inclinazioni e delle scelte diffuse nel costume»24.

23

In questo senso, il differimento dell’intervento si differenzia dai casi descritti, in termini patologici, di inerzia.

24

Tale impostazione è stata fatta propria, ad esempio, dal Committee

on the Ethics of Gene Therapy, c.d. Commissione Clothier dal nome

del suo presidente (Sir Cecil Clothier), che ha avuto il compito di studiare la situazione e le problematiche della terapia genica nel Regno Unito e di proporre al governo alcuni orientamenti per una legislazione in merito. I componenti della Commissione hanno ritenuto che il mandato non consistesse tanto nel guidare e orientare l’opinione pubblica, quanto nel seguirla e, in linea di tendenza, obbedirle.

«Ciò che si vuole non è sottoporre le convinzioni morali all’esame critico che membri di una simile Commissione dovrebbero essere eminentemente capaci di fornire, ma più verosimilmente trovare alcuni principi che appaiano rilevanti in conformità ai compiti in questione, e che essi ritengono ampiamente accettati dalla comunità»25.

Ed anche il Warnock Committee, intervenuto, come vedremo, in riferimento alla procreazione assistita, riteneva che, visto che affermare un diritto è un atto (anche) sociale, abbisogna di un diffuso riconoscimento e di posizioni condivise dal senso comune26.

D’altro canto, si può individuare una serie di ragioni per cui il diritto non possa certo limitarsi a svolgere una funzione notarile, protocollando, per così dire, scelte già fatte a livello sociale.

Anzitutto, è difficilissimo e assai raro che tali scelte siano largamente condivise. Le questioni bioetiche, come già illustrato, paiono anzi

25

J. HARRIS, Regolamentazione bioetica e legge, in S. RODOTÀ (a cura di),

Questioni di bioetica, cit., 331, 332.

26

M. MORI, Sul diritto di procreare: il caso italiano, in M. WARNOCK, Fare bambini. Esiste un diritto ad avere figli?, Torino, 2004, VIII, titolo originale Making babies. Is There a Right to Have Children?, Oxford, 2002.

caratterizzarsi per essere elemento di divisione piuttosto che di unione; e nelle contemporanee società pluraliste risulta assai improbabile la formazione spontanea di accordi stabili e largamente maggioritari. L’attesa prolungata di una legge, quindi, potrebbe avere risultati controproducenti, provocando

«un progressivo inasprimento della discussione filosofica, giuridica, sociologica, medica, ed una sempre più acuta radicalizzazione delle posizioni, e nel contempo un egualmente progressivo impoverimento della qualità delle argomentazioni. (…) Il dibattito scientifico si [fa] ripetitivo, logorato da problematiche divenute sterili, reso intollerante ed immobile su punti di principio ritenuti imprescindibili»27.

Un esempio di tale rischio di arroccamento e di progressivo allontanamento delle posizioni può essere ben rappresentato dai livelli di incomunicabilità e di scontro legati all’approvazione della legge italiana sulla procreazione medicalmente assistita e sul successivo referendum abrogativo28.

Anche nel momento in cui si fosse consolidato un orientamento prevalente, tuttavia, il suo riconoscimento a livello giuridico non potrebbe mai costituire un’operazione automatica di immediata

27

C.M. MAZZONI, Introduzione. La bioetica ha bisogno di norme giuridiche, in C.M. MAZZONI, Una norma giuridica per la bioetica, cit., 9.

28

La assenza di una legge, in quel caso, ha certamente contribuito a creare un clima in cui si è persa più di un’occasione per approfondire talune tematiche rilevanti, come quella di una riflessione complessiva sullo statuto giuridico dell’embrione. Al riguardo, ci si consenta il rinvio a quanto riportato in C. CASONATO, Legge 40 e principio di non contraddizione: una valutazione d’impatto normativo, e L. BALESTRA, La tutela del nascituro nella legge sulla

procreazione assistita, entrambi in E. CAMASSA, C. CASONATO (a cura di), La procreazione medicalmente assistita: ombre e luci, cit., rispettivamente 34 s. 63 ss.

trasposizione dalla dimensione sociale a quella normativa. L’accoglimento in veste giuridica di impostazioni culturali già presenti a livello sociale, infatti, comporta un’attività discrezionale di aggiustamento e di razionalizzazione, anche tesa a mantenere un certo grado di coerenza complessiva dell’ordinamento la quale può certamente imporre sui contenuti di volta in volta da recepire modifiche non marginali. La giuridicizzazione delle opzioni morali, anche di quelle condivise, risulta quindi efficace solo «se filtrata dalle considerazioni di necessità, fattibilità, compatibilità sistematica della regola giuridica»29.

La necessità di un riesame complessivo dei principi da trasporre dal sociale al giuridico, inoltre, comporta soprattutto in materia bioetica approfondimenti di carattere etico, scientifico, deontologico. L’istituzione di commissioni istruttorie di esperti come quelle tipicamente istituite in Gran Bretagna, su questa linea, potrebbe apparire priva di senso se il relativo compito si limitasse a registrare posizioni già ampiamente accettate, conformi «alle opinioni di gente che esperta non è. Loro dovere è (…) cercare di essere una guida per l’opinione pubblica. Loro dovere dovrebbe essere quello, tra l’altro, di esaminare il valore di argomenti e opinioni speciosi che la gente generalmente sostiene (…) e di mostrare per quali ragioni essi siano inadeguati»30.

Da un punto di vista di tenuta democratica, inoltre, il diritto non potrà avallare acriticamente la scelta maggioritaria, ma dovrà assicurare che la sua decisione sia compatibile con la necessità di tenere aperto un dialogo plurale fra portatori di diverse impostazioni31.

29

P. ZATTI, Verso un diritto per la bioetica, cit., 65.

30

J. HARRIS, Regolamentazione bioetica e legge, cit., 338.

31

In termini generali, quindi, la posizione secondo cui il diritto debba anticipare e comunque orientare la scelta sottolinea la scarsa possibilità, e comunque l’inopportunità e l’inefficacia di operazioni che si limitassero a trasporre in diritto principi e regole già condivise a livello sociale. Si sottolinea, così, il ruolo propedeutico del diritto, e del biodiritto in particolare, anche al fine di persuadere della bontà di una determinata soluzione o di correggere ed al limite sanzionare determinate impostazioni ritenute lesive di interessi da ritenere meritevoli di tutela.

Le due posizioni illustrate, tuttavia, sono in realtà meno distanti di quanto possa apparire a prima vista e riescono ad incontrarsi su un terreno comune. Il diritto deve certamente nutrirsi del rispetto delle posizioni culturali, ma tanto di quelle maggioritarie quanto di quelle minoritarie. Al riguardo, la dimensione costituzionale pare giocare un ruolo importante perché, soprattutto quando vengono in evidenza posizioni e principi tutelati al massimo livello nella gerarchia delle fonti, il diritto non può limitarsi ad un ruolo di certificazione delle opzioni morali prevalenti, il quale svuoterebbe di portata garantista la stessa costituzione e la appiattirebbe sul piano della sua mera versione materiale.

D’altro canto, oggi più di ieri, nelle questioni bioetiche più che in altre, l’obiettivo del diritto non può limitarsi al comando, ma deve tendere all’ordine di una società i cui caratteri vanno rispettati,

«giacché unicamente presupponendo e considerando quei caratteri non le si farà violenza e la si ordinerà effettivamente. Ordinare significa sempre rispettare la complessità sociale, la quale costituirà un vero e proprio limite per la volontà ordinante impedendo che questa

degeneri in valutazione meramente soggettiva e quindi in arbitrio»32.

Rispetto, quindi, non certificazione deferente né opera di copiatura passiva; e rispetto per il pluralismo e la complessità sociale, non ossequio per il mero principio maggioritario.

In questo senso, può essere utile ricordare come il dibattito bioetico appaia privo di limiti temporali e come i relativi problemi paiano sfuggire a soluzioni definitive. In presenza di una situazione che registra un’immancabile divergenza di giudizi e di conclusioni, quindi, anche

«il discorso giuridico non si inserisce al termine [o all’inizio – potremmo aggiungere], ma nel processo di ricerca del consenso, e qui concorre allo studio e alla precisazione delle opzioni non solo in vista dell’esito legislativo, ma anche della stipulazione etica necessaria a una società pluralista»33.

Da un punto di vista propriamente costituzionale, in conclusione, può richiamarsi come

«la funzione di guida della costituzione comprende la

richiesta di continuare la discussione a livello politico-

parlamentare e legislativo [in quanto la stessa]

32

P. GROSSI, Prima lezione di diritto, Roma-Bari, 2003, 16 s.

33

P. ZATTI, Verso un diritto per la bioetica, cit., 64 s. Si veda anche M. MORI,

Introduzione a M. WARNICK,Fare bambini. Esiste un diritto ad avere figli?, cit.,

VIII, che ricorda che, «come Warnock spiega subito nell’Introduzione, parlare di diritti “significa necessariamente entrare nella sfera della moralità in senso sociale o pubblico”, perché affermare un diritto è un atto sociale che abbisogna del riconoscimento da parte di altri. Ecco l’esigenza di posizioni condivise dal senso comune». Cfr. anche J. HARRIS, Regolamentazione bioetica e legge, cit., 339.

costituzione si dimostra valida nell’apertura e garanzia di uno spazio per il libero confronto fra individui autonomi»34.

4.2. Quanto intervenire: leggerezza e apertura v. rigidità ed