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Segue Gli Stati Uniti d’America

4. Il modello interventista

4.5. Il modello a tendenza impositiva

4.5.1. Segue Gli Stati Uniti d’America

La Corte Suprema degli Stati Uniti ha da tempo individuato un right

to refuse medical treatment che trova una pluralità di fondamenti,

tanto a livello costituzionale, sia federale che statale, quanto a livello di common law e di statutory law55.

Tale diritto comprende, già nella sua dimensione costituzionale, la facoltà di rifiutare trattamenti life-saving e life-sustaining e, a differenza di quanto accade in Italia, anche l’idratazione e la nutrizione artificiali; la giurisprudenza è al riguardo consolidata nel riconoscere il principio secondo cui «a competent person has a

constitutionally protected liberty interest in being free of unwanted artificial nutrition and hydration»56.

Nel caso in cui il soggetto non sia più capace d’intendere e volere, peraltro, risulta legittimo imporre un onere della prova del rifiuto particolarmente rigoroso (caso Cruzan)57. La maggioranza degli Stati della federazione, su questa linea, ha riconosciuto la legittimità dei c.d. testamenti biologici (living will), con cui ogni soggetto capace può decidere anticipatamente quali trattamenti non dovranno essere praticati nel caso dovesse non essere più in grado di manifestare tale decisione, oppure può indicare una persona che possa scegliere in nome e per conto suo. Da notare come con tali strumenti si possa

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Oltre alla dottrina di common law sull’informed consent, anche alcune Costituzioni statali (right to privacy) ed altri state statutory instruments portano a considerare sussistente il right to refuse. Sull’origine storica di tali concetti, si permetta il riferimento a C. CASONATO, Diritto alla riservatezza e trattamenti

sanitari obbligatori: un’indagine comparata, Trento, 1995.

56

Si tratta di Cruzan v. Director, Missouri Department of Health 497 US 261 (1990).

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Sul caso Cruzan la letteratura è ormai sterminata. Fra gli altri, A. SANTOSUOSSO, Il paziente non cosciente e le decisioni sulle cure: il criterio della

volontà dopo il caso Cruzan, e G. PONZANELLI, Nancy Cruzan, la Corte Suprema

degli Stati Uniti e il “right to die”, entrambi in Il Foro italiano, 1991, IV, 66 e 72;

J. MENIKOFF, Law and Bioethics. An Introduction, cit., 304; H. BIGGS, Euthanasia.

solo disporre del rifiuto delle cure e non dell’eutanasia attiva. I living

wills, inoltre, fanno sorgere alcune perplessità riguardo al requisito

dell’attualità del consenso che fa riferimento al fatto che quanto espresso in una situazione di salute e comunque di capacità di esprimere le volontà; quanto espresso in una condizione cui si è sostituito uno stato di incapacità, che può anche essere cronologicamente lontano dal momento della decisione, potrebbe non corrispondere più alla volontà attuale del paziente. Può nascere il dubbio, insomma, che le condizioni cliniche, fisiche, psicologiche del paziente, mutate a motivo della patologia invalidante, potrebbero indurre lo stesso paziente a scegliere ciò che in un momento anteriore di capacità, ma di sostanziale inconsapevolezza sul proprio stato, aveva escluso, o viceversa. In questi termini, il soggetto non potrebbe essere effettivamente in grado di poter prevedere la sua volontà nel caso di stati di incapacità e non potrebbe quindi assumere in condizioni ordinarie decisioni vincolanti per condizioni straordinarie58.

Il diritto al rifiuto, in ogni caso, ha assunto un contenuto esclusivamente negativo, un right to refuse appunto, e la Corte Suprema federale non ha mai accettato di intenderlo in termini positivi, di right to die, il quale rimane sanzionato penalmente ovunque, tranne che per l’assistenza al suicidio in Oregon59. Due

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Per questo, pare a molti eccessivamente rigido imporre al medico di attenersi, sempre e comunque, alle dichiarazioni anticipate del paziente, mentre più ragionevole pare lasciare, a determinate condizioni, un pur limitato margine di discrezionalità, teso a valutare eventuali mutamenti dei presupposti (fisici, psicologici o derivati da evoluzioni tecnologiche) che hanno portato il paziente ad esprimere una determinata scelta in via preventiva. Fra gli altri, cfr. il numero monografico di Bioetica, 2/2001; P. CATTORINI (a cura di), Le direttive anticipate

del malato, Milano, 1999; L. IAPICHINO, Testamento biologico e direttive anticipate, Milano, 2000; U. VERONESI, Il Testamento Biologico. Riflessioni di dieci giuristi, Milano, 2006.

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sentenze del giugno 1997, così, hanno confermato come le legislazioni statali che vietano l’aiuto al suicidio non presentino profili di incostituzionalità rispetto all’equal protection clause (Vacco v. Quill) ed alla due process clause (Washington

v. Glucksberg)60.

Nella motivazione del caso Vacco v. Quill, in particolare, la Corte Suprema rovescia all’unanimità la sentenza della Corte federale d’appello (del secondo circuito), ritenendo che la distinzione tra il lasciarsi morire rifiutando un trattamento (eutanasia passiva) e il provocare la morte (eutanasia attiva) sia fondata, logica e del tutto ragionevole61. Negando che il divieto dell’aiuto al suicidio possa avere effetti su qualsivoglia diritto fondamentale, la Corte individua alcuni interessi statali – fra cui «prohibiting intentional killing and

preserving life; preventing suicide; maintaining physicians’ role as their patients’ healers; protecting vulnerable people from indifference, prejudice, and psychological and financial pressure to

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Si tratta rispettivamente di Vacco, Attorney General of New York v. Quill, 117 S.Ct. 2293 (1997) e di Washington v. Glucksberg, 521 U.S. 702 (1997). Fra i tanti commenti di carattere giuridico, cfr. M. UHLMANN (ed.), Last Rights? Assisted

Suicide and Eutanasia Debated, Washington, 1998, in particolare, 409 ss.;

L.L. EMANUEL (ed.), Regulating How we Die. The Ethical, Medical, and Legal

Issues Surrounding Physician-Assisted Suicide, Cambridge, 1998; M.I. UROFSKY,

Lethal Judgements. Assisted Suicide & American Law, Lawrence, 2000, 130 ss.;

H. BIGGS, Euthanasia, Death with Dignity and the Law, Oxford, 2001; D. HILLYARD, J. DOMBRINK, Dying Right. The Death with Dignity Movement,

Routledge, 2001; L.I. PALMER,Endings and Beginnings. Law, Medicine, and Society in Assisted Life and Death, Westport, 2000, 107 ss.; K. FOLEY,H. HENDIN, The Case

Against Assisted Suicide. For the Right to End-of-Life Care, Baltimore, 2002. In

generale, cfr. anche J. KEOWN,Euthanasia Examined. Ethical, Clinical and Legal Perspectives, Cambridge, 1999.

61

Vacco, Attorney General of New York v. Quill, 117 S.Ct. 2293 (1997): «Unlike the Court of Appeals, we think the distinction between assisting suicide and

withdrawing life sustaining treatment, a distinction widely recognized and endorsed in the medical profession and in our legal traditions, is both important and logical; it is certainly rational».

end their lives; and avoiding a possible slide towards euthanasia» – i

quali risultano essere del tutto prevalenti, come confermato in

Washington v. Glucksberg, sulla volontà individuale.

In Vacco v. Quill, inoltre, i giudici possono concludere per la legittimità delle leggi impugnate le quali, trattando tutti alla stessa maniera, non presentano alcuna lesione del principio di eguaglianza (ai sensi dell’equal protection clause) né contraddicono la giurisprudenza in materia di right to refuse62. Un ulteriore elemento alla base di Vacco v. Quill, generalmente condiviso da quanti si oppongono al riconoscimento dell’eutanasia diretta o indiretta, è rappresentato dai rischi legati alla c.d. «slippery slope»: dai rischi di scivolamento, cioè, rappresentati dal fatto che, una volta riconosciuta la legittimità dell’eutanasia diretta in alcune (anche poche) delle sue forme, la pratica possa essere oggetto di abusi, oppure la società si “abitui” alle categorie eutanasiche tanto da ampliarne oltre misura la legittimità63.

Sulla base di tale giurisprudenza, può quindi concludersi come l’ordinamento costituzionale statunitense si ponga nel novero di quelli appartenenti al modello tendenzialmente impositivo, tutelando il principio di autonomia individuale in via tendenziale ma

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Vacco, Attorney General of New York v. Quill, 117 S.Ct. 2293 (1997): «On

their faces, neither New York’s ban on assisting suicide nor its statutes permitting patients to refuse medical treatment treat anyone differently than anyone else or draw any distinctions between persons. Everyone, regardless of physical condition, is entitled, if competent, to refuse unwanted lifesaving medical treatment; no one is permitted to assist a suicide». Il problema, però, è che sono proprio quelle «physical conditions» che possono impedire un esercizio efficace del right to refuse e che

possono condannare un paziente ad una vita non ritenuta più dignitosa. Cfr. infra, la parte dedicata a Il metodo del biodiritto.

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Fra gli altri, G. DWORKIN,R.G. FREY,S. BOK, Eutanasia e suicidio assistito.

Pro e contro, Torino, 2001, tit. originale: Euthanasia and Physician-Assisted Suicide. Riprenderemo in forma critica tali considerazioni nel capitolo dedicato al Metodo del biodiritto.

negandolo, in ogni caso, in riferimento a comportamenti eutanasici di natura attiva, sia diretta che indiretta.