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Vantaggi e limiti della modellistica basata sui criter

4. Il modello interventista

4.7. Vantaggi e limiti della modellistica basata sui criter

Come illustrato, i modelli a tendenza impositiva o permissiva si basano sul diverso grado di apprezzamento dell’individuo in quanto libero, autonomo e responsabile centro di volontà e di azione morale. In termini generali, il modello a tendenza permissiva si basa su una concezione del soggetto che ne riconosca e ne valorizzi le caratteristiche di ideale consapevolezza, eguaglianza e libertà dell’agire. Solo a queste condizioni, infatti, si potrà riconoscere che gli individui si autodeterminino in forma propria ed incondizionata; e solo a queste condizioni il diritto potrà garantire le facoltà in capo ai soggetti di identificare il proprio bene e di individuare una accezione propria di dignità che non sia viziata da elementi estranei ma che possa orientarne l’agire in termini autentici.

Il modello a tendenza impositiva, d’altro canto, si fonda su una differente considerazione delle qualità dell’individuo. In esso, il soggetto è più debole e condizionato, incapace di porsi come credibile centro di imputazione e responsabilità morali davvero

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Si tratta di Gonzales v. Oregon, su cui infra, in questa stessa parte del lavoro.

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Cfr. D. HILLYARD, J. DOMBRINK, Dying Right. The Death with Dignity

Movement, New York-London, 2001, 69; L. ORSI, Il controverso esperimento

autonome. La concezione della dignità umana, su questa linea, non può essere lasciata all’autodeterminazione di soggetti che, in quanto non pienamente consapevoli, liberi ed eguali, risultano incapaci di individuare il proprio bene in forme autentiche. Il contenuto della dignità, piuttosto, pare essere individuato a monte rispetto all’individuo, sulla base di orientamenti culturali presuntivamente veritieri, e poi “calato” sul soggetto e fatto rispettare anche contro la sua volontà.

Da questo punto di vista, il criterio impositivo potrebbe risultare più attento alla dimensione concreta degli individui, i quali, particolarmente nel fine-vita, presentano tendenzialmente condizioni di debolezza e di conseguente possibile influenzabilità. L’imposizione anche contro la volontà soggettiva, ritenuta inautentica, della garanzia di determinati beni individuali, può quindi spiegarsi sulla base dell’esigenza di ritenere il soggetto svantaggiato al riparo da possibili soprusi, oggetto di un consenso meramente formale.

In questo senso, d’altra parte, il modello in parola pare fisiologicamente orientato verso un approccio aprioristicamente svalutativo del soggetto e delle sue qualità, il quale rischia di diventare lesivo di principi di autonomia personale giuridicamente garantiti anche a livello costituzionale. Tale tipologia, così, pare meglio adattarsi a società in cui il principio del consenso, ad esempio, non sia stato ancora metabolizzato e la concezione della medicina risulti ancorata a dinamiche di carattere paternalistico. Il criterio permissivo, d’altro canto, sembra basarsi su una concezione di individuo consapevole, eguale e libero che si fatica a trovare nella effettività delle situazioni personali, soprattutto del fine- vita. Nelle sue versioni estreme, così, il modello permissivo potrebbe giungere a non tenere conto dei condizionamenti che su diversi piani (psicologico, economico, sociale) ostacolano la formazione di una

volontà autentica, prestando ossequio a dichiarazioni formali che potrebbero essere anche lontane dall’interesse originale, ma inespresso, del soggetto.

Tuttavia, viene spontaneo chiedersi chi, se non il soggetto effettivamente coinvolto, possa conoscere meglio la sua volontà. Anche quanti si sostituiscono all’individuo, infatti, possono essere altrettanto sviati da pressioni o interessi estranei a quelli concretamente presenti, non avendo certamente strumenti migliori per individuare il reale bene della persona coinvolta di quanto possa avere il diretto interessato. E concezioni astratte di miglior interesse o di dignità umana, costruite sulla base degli orientamenti culturali dominanti, possono essere imposte contro la volontà soggettiva fino al limite di realizzare ipotesi di violenza, sia fisica che (soprattutto) morale, gravemente lesive dei diritti personali anche di natura costituzionale.

Se quindi tutti possono essere influenzati e influenzabili, parrebbe corrispondere al principio di precauzione presumere che sia il soggetto stesso a decidere, entro determinati ma ampi limiti, sulla propria salute e sul contenuto da dare a quanto sia meglio per lui. Tale considerazione pare assumere un significato particolare in riferimento alle scelte di fine vita.

Il principio generale del consenso nei confronti dei trattamenti sanitari sta già ad indicare come quella sulla propria salute sia una scelta individuale, connotata dall’essere decisione di natura essenzialmente morale. Se l’informazione del medico, riguardando percentuali di successo, controindicazioni, effetti collaterali, statistiche di rischio, ecc., assume natura tecnica, la scelta terapeutica, nella sua essenza, è scelta di carattere morale. Riguarda cioè il considerare se un determinato trattamento proposto sia coerente e compatibile con la struttura morale, con l’autopercezione del singolo, con l’immagine che egli ha di se stesso, con la

rappresentazione – se si vuole – della sua umanità. È quindi scelta che si basa su criteri morali, del tutto personali la quale non può non essere fatta, nei limiti del possibile, che dal soggetto direttamente coinvolto. Nel fine-vita, inoltre, le singole decisioni hanno a che fare anche con ciò che rimarrà del soggetto dopo la sua morte, con la memoria del suo comportamento e con l’estrema narrazione della propria personalità.

Per queste ragioni, pare conforme al costituzionalismo di derivazione liberale e pluralista applicare un principio di segno personalista di forte presunzione a favore della considerazione e della tutela della volontà del diretto interessato, il quale se pure potrà non godere di una consapevolezza cristallina e di una libertà piena, potrà comunque esprimere la più autentica delle scelte possibili.

Un’ultima cautela in merito alla modellistica proposta, riguarda le materie cui pare meglio adattarsi. Al pari di altre tipologie, essa pare poter essere senz’altro utilizzata, in termini sia descrittivi che valutativi, nei settori in cui non emergano interessi pubblici prevalenti o posizioni di terzi potenzialmente danneggiabili. L’efficacia dell’applicazione della modellistica alle tematiche di fine-vita, in questo senso, pare esemplare, proprio in quanto tale settore pone al centro della differente regolazione un unico soggetto, non certo isolato dal contesto, ma i cui interessi non si scontrano fisiologicamente con gli interessi di terzi. Il carattere impositivo o permissivo del modello adottato, quindi, esaurisce i propri effetti sulla persona del diretto interessato, senza per questo avere conseguenze dirette su altri individui o su interessi pubblici ad immediata tutela della collettività.

In altri contesti del biodiritto, tuttavia, l’imposizione di una scelta o il permesso di decidere all’interno di un ampio ventaglio di possibilità si ripercuote inevitabilmente sugli interessi di terzi. Nel settore dell’aborto, così, un’opzione impositiva nei confronti della volontà

della donna può avere effetti permissivi sulla vita del feto, mentre un orientamento permissivo sulla scelta della prima può riflettersi in termini impositivi sulla salute o sulla vita del secondo. Nei contesti in cui gli interessi in gioco appartengono ad entità diverse, le cui posizioni sono fisiologicamente contrapposte, insomma, gli effetti impositivi (su un soggetto) corrispondono a conseguenze permissive (sull’altro soggetto) e viceversa, in un rapporto che può essere, a seconda dei casi, anche direttamente proporzionale.

Tale profilo non ci pare annullare l’utilità della modellistica proposta nei settori maggiormente oggetto di bilanciamento, ma richiede che nelle materie ad alto potenziale di contrapposizione di interessi, l’inserimento dell’ordinamento all’interno di uno dei due modelli illustrati non possa desumersi immediatamente dal trattamento rivolto ad uno solo dei soggetti coinvolti – magari di quello più “visibile” – ma debba impostarsi sulla base di un più complesso, quanto consueto nelle materie regolate dal biodiritto, bilanciamento di interessi fra tutte le posizioni interessate.