• Non ci sono risultati.

2. L'AZIENDALIZZAZIONE DELLE SOCIETA' CALCIO:

2.3 Il mecenatismo sportivo

L’enorme crescita economica del fenomeno calcio ha portato all’affermarsi di un nuovo fenomeno sociale, quello del mecenatismo sportivo: individui con grande disponibilità di capitale decidono di investire in un club a fondo perduto essenzialmente per passione e per un desiderio di affermazione sociale.

Uno dei primi grandi esempi di mecenatismo nel mondo del calcio risale agli anni ’50, quando l’affermato petroliere Angelo Moratti, divenne il quindicesimo presidente nella storia dell’Inter. Nonostante l'enorme quantità di denaro investito, la squadra non riesce a rendere al meglio ed a raggiungere gli obiettivi prefissati. Nella primavera del ’60, Moratti ordina al proprio direttore generale di portare in Italia un eccentrico allenatore argentino, Helenio Herrera. Il tecnico ottiene dalla società un contratto sontuoso, (40 milioni + premi doppi, un’enormità per l’epoca) imponendo subito il suo carisma all’interno dello spogliatoio. La società negli anni successivi acquista giocatori del calibro di Burgnich, Jair, Domenghini, Picchi, Sarti e il fuoriclasse del Barcellona Luisito Suarez. Tuttavia Herrera non riesce a vincere i due successivi campionati, nonostante l’impegno economico del presidente, e la società medita il suo esonero. Per una serie di circostanze l’allenatore rimane sulla panchina e la nuova stagione, sarà la prima di una lunga serie di successi. In quattro anni arrivano tre scudetti, due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali, segno di una straordinaria dimostrazione di superiorità, sia sul piano nazionale che internazionale.

Negli ultimi anni il fenomeno del mecenatismo si è trasformato. Diversamente a quanto avvenuto in Italia con riferimento alle figure di presidente-mecenate come Angelo Moratti, che, di fatto, aveva il ruolo di investire e coprire le perdite a fondo perduto, con il nuovo mecenatismo, all’ingente immissione di risorse finanziarie, corrispondono l’applicazione di moderni modelli di business capaci di imporsi sulla concorrenza già nel breve periodo.

Ne è un perfetto esempio il Paris Saint Germain (PSG). Il PSG viene acquistato nel 2011 dalla Qatar Investment Authority , per il tramite di Qatar Sports

Investments. Prima dell'acquisto i ricavi del club si aggiravano intorno ai 100 milioni di Euro, rappresentati per il 45% da diritti tv e per il 18% da ricavi da gare. Il progetto tecnico era piuttosto mediocre, come conferma il quarto posto ottenuto in Ligue 1 nella stagione 2010-2011.

Con l’arrivo degli sceicchi e la nomina di Nasser Al-Khelaïfi alla presidenza la situazione cambia. Inizia la grandeur di investimenti, acquisti, apporti di equity e quasi-equity (ovvero aumenti di capitale e finanziamenti soci, 143 milioni nel 2012 dai 23 milioni del 2011) che hanno reso il Paris Saint Germain uno dei club più attivi nelle sessioni del calciomercato internazionale. Fin qui si tratta del solito vecchio mecenatismo e dei soliti sfizi da sceicchi. In realtà, anche i ricavi aumentano. Anzi, raddoppiano in un solo anno. Nel 2012 passano infatti a 222 milioni Euro.24 E i ricavi continuano ad aumentare anche nei successivi anni fino a raggiungere la quota di ben 481 milioni nel 2015 ovvero quasi 5 volte i ricavi del 2011 facendo diventare il PSG il quarto club europeo per quanto riguarda i ricavi. Il club di Parigi è diventato così padrone assoluto in patria, grazie allo strapotere economico in campo nazionale, mentre in ambito europeo gareggia ormai stabilmente in UEFA Champions League, ottenendo però come miglior piazzamento solamente i quarti di finale, complici spesso dei sorteggi nelle urne non fortunati.

Il modello di business applicato dal manager del PSG ha così trasformato il club in una delle grandi regine del calcio europeo. Il primo passo di questa ascesa è stato riversare, nei primi anni della nuova gestione, le ingenti risorse provenienti dal Medio-Oriente per poter acquisire campioni di livello al fine di entrare rapidamente nell’élite dei club più forti d’Europa. Questi acquisti importanti sono stati spesso ottenuti investendo cifre fuori mercato al fine di garantire lauti ingaggi, in modo tale da convincere i migliori calciatori in circolazione a vestire la maglia del club che, per storia e blasone, in quel momento non faceva parte dell’élite d’Europa. Alla fase iniziale caratterizzata dalla forte immissione di mezzi finanziari è seguita di pari passo l’impressionante crescita dei ricavi, che

ha dunque permesso al PSG di mettere in moto il circolo virtuoso di cui abbiamo fatto cenno in precedenza; il club infatti ha strutturato la composizione dei ricavi in linea con le principali società di riferimento, per massa critica e per flussi, mettendo in pratica una sostenibile diversificazione del business. Il PSG ricava il 60% delle proprie entrate dai ricavi commerciali (dato che lo colloca primo in Europa per questo flusso); il 18% dallo stadio; il restante 22% dai diritti tv. Quest’ultimo flusso di ricavi è l’unica fonte che vede il club parigino fuori dalla top ten ed il motivo è presto detto: lo scarso appeal del campionato francese penalizza fortemente questa voce, essendo questa Lega considerata il quinto campionato d’Europa alle spalle di Premier League, Liga, Bundesliga e Serie A. Relativamente ai ricavi commerciali della compagine, ha svolto un ruolo determinante la partnership con la Qatar Tourism Authority, che solo nel bilancio 2014/2015, ha garantito la bellezza di 205 milioni di euro, il 42% di tutto il fatturato, mentre nel 2013/14, questa cifra valeva 270 milioni (57%) e 234 milioni nel 2012/13 (58%). Autorità del Qatar che, nel corso del calciomercato estivo del 2017, è stata la stessa ad appoggiare il faraonico acquisto del calciatore Neymar Jr, strappandolo al Barcellona per ben 300 milioni. Ma la Qatar Tourism Authority non è la sola partership stretta dal PSG: ad incrementare i ricavi commerciali hanno contribuito sponsorship importanti quali Emirates (circa 25 milioni di Euro all’anno), Nike (circa 20 milioni di Euro all’anno), Ooredoo (75 milioni Euro in 5 anni). La società parigina non si è limitata però solo alla creazione di nuove partnership, contemporaneamente ha investito nella visibilità del proprio marchio attraverso: tournee internazionali per incrementare la notorierà; strategie di digital marketing con 6 milioni di followers tra Twitter ed Instagram ed i 22 milioni di likes su Facebook. Allo stesso modo, anche l’incidenza delle componenti di costo sul fatturato è andata progressivamente migliorando.

È dunque innegabile che questi ricavi sensazionali, vere e proprie ricapitalizzazioni sotto forma di cospicue sponsorizzazioni, abbiano sorretto significativamente il bilancio del club, innescando il meccanismo virtuoso. La crescita dei ricavi raggiunta in tal maniera ha portato verso l’alto ogni

contratto stipulato in seguito, con il club oramai potenza affermata nel panorama del calcio del Vecchio Continente. Il business model che ne risulta è dunque una combinazione di capitali degli emirati (sempre munifici nell’iniettare liquidità) e strategie di marketing per diversificare il fatturato (sponsorship, merchandising, sfruttamento dell’indotto da stadio, brand extension).

Guardando la massiccia struttura di costo/investimento del club, la sostenibilità del modello di business si basa dunque sulla capacità di incrementare i ricavi commerciali, secondo accordi finora dimostratisi, per così dire, non convenzionali.