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3. IL CASO AC PISA 1909

3.7 Intervista al Presidente Corrado

Al fine di analizzare le strategie fino ad oggi percorse dall’AC Pisa 1909, e riscontrare quanto discusso in questa tesi, si è proceduto con un’intervista all’attuale Presidente dell’AC Pisa 1909, Dott. Giuseppe Corrado.

Perché avete investito nel calcio? E perché proprio a Pisa?

Pazzia…prima di tutto perché volevamo essere coinvolti in un’attività che avesse come core business aziendale un’attività sportiva, è chiaro che un po’ di passione deve sempre inspirare qualunque tipo di investimento. Lo sport, insieme alla musica ed al cinema, credo che sia l’attività di intrattenimento che interessa più gente. Come tanti altri giovani anche io ho praticato calcio, l’amore per il calcio mi ha seguito per tutta la mia vita è fino a pochi anni fa era solo un hobby adesso è diventato un lavoro.

L’opportunità che si è presentata 3 anni fa partiva da un presupposto, di un disegno strategico ipotizzato insieme ai miei soci, ossia creare un fondo che potesse essere alimentato da attività legate al tempo libero: Moda, Cinema (che già aveva ispirato la mia attività negli ultimi dieci anni), Arte e appunto Calcio. Fra le varie opportunità che si erano presentate abbiamo scelto Pisa perché rappresentava un riferimento sportivo importante, con una storia, ma specialmente perché vedevamo in questo tipo di opportunità il complesso di tutti i valori necessari per poter far bene.

Abbiamo prima valutato quello che avrebbe rappresentato il contesto di un attività di calcio che per essere finanziata, o meglio per creare i presupposti per essere finanziata, deve avere delle opportunità di base, come una città che rappresenti un marchio. Pisa è sicuramente un marchio internazionale, legato al suo monumento principale. Dalle ricerche che avevamo fatto all’epoca Pisa rappresentava addirittura il riferimento al monumento più nominato da stranieri senza sollecitazioni, più del Colosseo o di altri monumenti nazionali.

Il bacino di utenza risultava essere un bacino di utenza importante, con una particolarità, in provincia la squadra non ha rivali di pari blasone, quindi il nostro bacino di riferimento non doveva essere il comune di Pisa di per sé importante, ma tutta la provincia pisana. Se facciamo un raffronto con altre parti d’Italia la presenza ravvicinata di squadre importanti drena risorse significative. Un Pisa in serie A avrebbe il supporto dei 450mila abitati della provincia.

A tutto ciò aggiungiamo i 45mila studenti costantemente presenti, un aeroporto importante e i 6 milioni di turisti che visitano la città, e quindi la scelta è stata più semplice. Si trattava non solo di una società di calcio che partecipava a delle competizioni sportive, ma anche di brand mediatico che poteva portare opportunità commerciali.

Da subito abbiamo iniziato a lavorare sia dal lato sportivo sia allo sviluppo del brand.

Casualità ha voluto che questo intervento si rivelasse più lungo del previsto, in quanto la retrocessione ha condizionato i programmi di lavoro. Ma nello sport è da mettere in preventivo. Quando siamo arrivati i presupposti di una retrocessione c’erano, la squadra era in una posizione di classifica deficitaria, attendevamo la penalità (dovuta per i mancati emolumenti della precedente società), alcuni giocatori erano infortunati.

Abbiamo quindi dovuto riconvertire il progetto iniziale, in termini di generazione di valore sul brand, perché una squadra che retrocede deve rigenerare la propria credibilità.

Fortunatamente Pisa è una realtà ricettiva, e quindi se pur ad una velocità ridotta la generazione del brand è iniziata…è chiaro che il risultato sportivo creerebbe quei presupposti per un salto di qualità nella proposta di marketing che potremmo andare a fare.

Una squadra che partecipa ad un campionato di Serie B ha un raggio di azione a livello nazionale e quindi si allargherebbero i confini da Provincia/regione a regione/stato.

Presidente dalla sua risposta fa capire che l’acquisto del Pisa non è stato un acquisto “di pancia” ma anzi, la valutazione è stata complessa e dettagliata. E’ opinione comune che facendo calcio non si guadagna in termini economici ma si guadagna in notorietà. Dopo questi primi due anni di presidenza però non sembrerebbe neanche questo un vostro obiettivo.

Io credo che il calcio negli anni ’60 e ’70 ha rappresentato per gli imprenditori un’opportunità di notorietà e un canale pubblicitario per le loro aziende principali.

Non è il nostro caso.

Oggi il calcio è un settore merceologico che si autoalimenta. Non guardiamo la serie C che è in forte difficoltà da questo punto di vista, ma guardiamo alle prime 10 squadre del campionato italiano e 50 squadre del campionato europeo sono dei generatori di cassa.

Sono aziende che portano fatturato attraverso l’utilizzo del brand, attraverso l’utilizzo dei propri tesserati, attraverso l’immagine ed il merchandising e più all’estero che in Italia, attraverso l’utilizzo sfruttamento dello Stadio.

Fino a 20 anni fa il calcio non era un’ “area di business”, era, come dici te, una vetrina per presidenti.

La notorietà non era di nostro interesse in quanto già da anni operavamo nell’intrattenimento (cinema).

Visto che ha citato alcune sue precedenti esperienze lavorative in settori diversi dal calcio. Quali sono le differenze più lampanti.

Io credo che in ogni settore merceologico le regole commerciali, di marketing e gestione delle imprese siano le stesse. Puoi gestire un’azienda che vende saponi, vino, eventi sportivi, cinema o musica ed è la stessa cosa…

La differenza vera è che nell’impatto della generazione di valore e sviluppo del fatturato ha un’incidenza importante il risultato sportivo: la squadra vincente che riesce ad accedere alle più importanti competizioni, ha un’esposizione mediatica

maggiore rispetto alle altre, e questo velocizza la crescita del brand e aumenta le entrate commerciali.

L’evento sportivo è quindi più condizionante e non è possibile pianificarlo con certezza. Pianificare un risultato di vendita attraverso delle iniziative di marketing, attraverso una campagna di promozione si può fare, realizzando più o meno il risultato. Pianificare la vittoria di un campionato è più difficile, i condizionamenti del risultato sono infiniti, la zolla che si alza al momento del tiro nella partita decisiva, la palla che entra/che esce, l’arbitro che non vede il fuorigioco, l’attaccante che sbaglia un gol già fatto… per certi versi il calcio è assimilabile al cinema e alla musica, perché pianificare il successo di un film e di una canzone non è così scontato, nel momento in cui ipotizzi un film costruisci un’ipotesi di successo. Purtroppo però non sempre ingaggiare i migliori attori, i migliori registi, i migliori scenografi fa si che si crei quella alchimia che porta a generare un film di successo. Altre volte invece basta poco, un film normale come “Perfetti Sconosciuti”, che ha centrato sì il tema, ma che viene girato in una stanza (limitando i costi di produzione), doveva catturare l’interesse di un numero relativamente ristretto di persone ed invece è risultato un film di successo da 15 milioni di spettatori. Questo per dire che si può costruire un prodotto, ma non costruire una vittoria.

Sicuramente costruendo una squadra valida crei maggiori presupposti per il successo ma non c’è un modus operandi che ti permetta di arrivare all’obiettivo.

Dal punto di vista operativo-gestionale è stato più difficile portare il suo metodo di lavoro, le sue regole in un ambiente come quello del calcio nel quale a tratti la base della piramide aziendale (calciatori/staff tecnici) hanno un peso specifico se non più importante almeno pari al vertice aziendale rispetto alle precedenti esperienze in altri settori?

Di norma lo è, ma nel nostro caso non è stato particolarmente difficoltoso.

Nella mia vita lavorativa mi è capitato spesso di cambiare “categorie merceologiche”, dopo l’università iniziai a lavorare in Olivetti, dove mi sono

occupato di prodotti per ufficio, poi mi sono occupato di fanali per auto, ho proseguito in Barilla, successivamente a Pagine Utili, ed infine nel cinema. Affrontando realtà diverse capisci che l’inserimento in azienda presuppone anche l’inserimento dei metodi di gestione, perché ognuno ha un approccio differente, le regole commerciali rimangono le stesse come già detto, mentre l’approccio gestionale no. C’è chi è più delegante chi più accentratore, io ho sempre avuto un approccio delegante, responsabilizzando i miei collaboratori ma cercando sempre di mantenere un clima piacevole e amichevole in azienda.

Nel calcio in particolare in una società come questa sono arrivato e ho ipotizzato di procedere ugualmente…

Per farti un paragone ho trovato una realtà molto simile alle Pagine Utili, quando Finivest, nella persona di Berlusconi, mi chiamò per fare un ultimo tentativo di inversione di rotta. La società principale antagonista era Pagine Gialle che aveva un brand che era diventato categoria merceologica.

Era una società vicina al fallimento, il clima di sconforto era tangibile in tutta la struttura, i dipendenti erano timorosi di essere sostituiti in tutto l’ambiente pervadeva l’idea di una fine ormai prossima.

In quell’occasione, come stavolta, prosegui a lavorare con le persone già c’erano. Questo l’ho fatto per due motivi: il primo è perché credo fermamente che la maggior parte delle volte che qualcosa non funziona, ciò non è dovuto alle persone che vi lavorano, ma è il meccanismo che non funziona, secondo perché è per me un orgoglio riuscire ad ottenere l’obiettivo con quelle stesse persone che prima non raggiungevano il risultato.

Qui la difficoltà è stata leggermente superiore per due ordini di motivi: il primo perché, se non fossimo entrati tre giorni dopo, il Pisa era tecnicamente fallito in quanto erano scaduti i tempi per l’ultimo pagamento, per cui noi siamo intervenuti di fretta, dando fiducia a quel poco di contabile che avevamo visto, che poi non è stato neanche tutto quello che avremmo dovuto vedere e quindi entrammo in una società che aveva necessità di cambiare alcune cose. La pancia ti diceva che alcune cose andavano cambiate subito, però di mezzo c’era il risultato sportivo, per cui abbiamo cercato di congelare la situazione per quello

che era, dando fiducia a tutte le persone presenti ed al loro modo gestionale. Il secondo perché nel periodo di “luna di miele”, nel quale dovevamo conoscerci, abbiamo riscontrato molta diffidenza, sia esterna all’azienda ma anche interna. Concordo con te quando dici che sono stato un innovatore da questo punto di vista, tutti i nuovi entrati nel calcio hanno sempre cambiato il management e i dirigenti anche ai livelli più bassi, e questa mia idea di proseguire con chi già era in azienda ha creato un senso di, diciamo sospetto, che non mi ha permesso da subito di creare quel clima aziendale al quale accennavo prima.

Come avrai potuto constatare i primi significativi cambiamenti apportati in termini di personale sono stati effettuati al termine della stagione sportiva successiva al nostro arrivo. Abbiamo dato la possibilità a tutti di esprimersi al meglio, seguendo quelle che erano le nostre direttive, e solo allora abbiamo deciso di procedere con alcuni avvicendamenti.

Io sono nato a Casal Monferrato, la mia crescita è stata influenzata dalla tradizione contadina ed in particolare mi è sempre rimasta impressa un’immagine che ho avuto modo di riscontrare diverse volte nella mia vita lavorativa: tu quando vuoi far crescere bene un albero lo devi potare, sembra un controsenso, tagliare per crescere….ma invece è proprio così se la potatura avviene nel giusto momento, tagliando i rami più periferici, si vedranno presto i risultati e la pianta crescerà rigogliosa.

Analizzando l’efficacia a posteriori della nostra scelta, se devo fare un’autocritica, mi soffermo sull’aspetto temporale. La potatura di quei rami periferici che impedivano una crescita più immediata forse poteva avvenire prima. Il nostro tergiversare è stato dettato dalla particolarità dell’ambiente “calcio” di essere influenzato dai giudizi, suggestioni, sensazioni, che in qualche modo condizionano il pensiero aziendale.

In questi primi anni di Presidenza ha avuto modo di confrontarsi con tantissimi Presidenti, Amministratori, Direttori, che come detto generalmente non hanno avuto il suo approccio gestionale. Pensa che la sua metodologia nel lungo periodo porterà risultati?

Diciamoci la verità, il calcio è cresciuto in termini di brand, ma non è cresciuto nella gestione. Ancora oggi purtroppo ci sono tantissimi operatori che non hanno un’adeguata formazione. Persone che scelgono un percorso universitario, più o meno simile al tuo, per entrare nel calcio sono ancora poche, o meglio, in molti iniziano gli studi con l’idea di lavorare in questo settore, ma poi si vedono la strada sbarrata da altri, generalmente ex calciatori che mancano di professionalità.

Io credo che la professionalità che stiamo cercando di trasmettere noi come società sia anche superiore a diverse squadre di categorie superiori.

Indipendentemente dai risultati, continueremo a percorrere questa strada.

Il management delle squadre di calcio deve acquisire di professionalità, ad oggi prevale l’immagine rispetto alla sostanza.

Partecipazione della società. Dal punto di vista teorico si individuano due macro-modelli con riguardo alla partecipazione societaria: modello chiuso nel quale la proprietà dell’azienda è di una persona, un’azienda o un piccolo gruppo di imprenditori (modello di comune uso in Italia) o modello aperto nel quale le partecipazioni sono frammentante (modello tedesco). In quale dei due modelli sta l’AC Pisa 1909?

Il nostro modello è un ibrido.

Al momento dell’acquisizione eravamo 4 soci, ma adesso siamo rimasti in 3 redistribuendoci le azioni del ex socio. La nostra idea, che permane tutt’oggi, era quella di avviare l’attività per poi aprirsi all’imprenditoria locale.

Non poniamo limiti a priori: se sapremo essere interessanti, se sapremo sviluppare il brand, se riusciremo a costruire lo stadio, questa società emulerà un

modello aperto come quello tedesco, si vedrà una partecipazione allargata spinta dall’interesse generato dalla stessa società.

Dal punto di vista strategico manageriale la letteratura in materia individua tre modelli: modello soriano, contraddistinto dall’assunzione di svariati professionisti altamente qualificati nei diversi ambiti aziendali con l’obiettivo di far aumentare i ricavi distaccandoli per quanto possibile dall’influenza del risultato sportivo, modello mecenatismo sportivo, ossia immissione di ingenti capitali per l’acquisizione dei migliori calciatori e conseguente sviluppo dei ricavi tramite sfruttamento degli stessi e tramite il raggiungimento del risultato sportivo ed infine il modello dell’autofinanziamento, attraverso il raggiungimento del risultato sportivo aumentano i ricavi e quindi aumentano le disponibilità economiche per l’acquisizione dei migliori calciatori. Il modello che lei ha immaginato per il Pisa a quale di questi si avvicina?

Se guardiamo a quanto fatto nella nostra prima stagione completa (s.s. 2017/2018) la nostra operazione si avvicina di più ad un mecenatismo sportivo di seconda generazione. Abbiamo speso cifre importanti per la categoria per acquisire quelli che noi pensavamo essere i migliori giocatori.

Considerando la logica di funzionamento di questo modello, posso anche aggiungere che i ricavi non sono cresciuti di pari passo ma questo secondo me è dipeso in gran parte dalla retrocessione. Abbiamo comunque confermato i ricavi dell’anno precedente e ciò può essere considerato un buon risultato.

I ricavi da biglietteria sono rimasti inalterati nonostante la partecipazione ad un campionato minore, questo si è ottenuto, oltre che per quanto già detto, anche grazie alla comunicazione e l’entusiasmo creato intorno al nostro prodotto.

In questa stagione abbiamo deciso di apportare un cambiamento. In una lega con poca visibilità come la nostra, il ritorno economico di questa strategia non è sufficiente a permettere un’adeguata crescita

Se devo però guardare al futuro, immagino il mio Pisa come un mix fra il modello di autofinanziamento e il modello Soriano. Dovremo essere in grado di autofinanziarci partendo dal risultato sportivo, poiché, essendo in Serie C, non riusciamo ad attrarre quella visibilità nazionale necessaria al nostro sviluppo. Una volta ottenuto il risultato sportivo, l’idea è quella di massimizzare gli introiti, cercando anche fonti di guadagno collaterali all’evento principale. Il modello Soriano è il mio modello ideale con un’accezione di spettacolarità assoluta, e la creazione del nuovo stadio ci aiuterà in tal senso. Lo sviluppo ci permetterà anche di interagire con aree di intrattenimento nelle quali già operiamo (es. moda, cinema), ottenendo vantaggi economici e strutturali non indifferenti.

Per adesso sono tutte ipotesi di progetto, la condizione imprescindibile per far si che tutto ciò avvenga è sempre quella del passaggio di categoria.

Presidente lei costantemente rimarca la necessità del passaggio ad una categoria superiore. In Serie C non c’è la possibilità di creare modello di Business sostenibile?

No, purtroppo non credo sia possibile.

Ad oggi io credo che se si forma una squadra competitiva con una gestione oculata, dove non ci sono interferenze esterne, come ad esempio le ambizioni della “piazza”, dove non sono presenti situazioni precedenti di squilibrio, a fine anno si registrerà una perdita tra le 500 mila e il milione di euro.

C’è da dire che, in termini di competitività sportiva, la Serie C negli anni è diventata più laboriosa rispetto alla Serie B.

Sempre più costantemente si assiste al “doppio salto” (squadre che ottengono la promozione dalla Serie C alla Serie B, e l’anno seguente dalla Serie B alla Serie A) o a squadre che comunque, senza grandi cambiamenti in termini sportivi, raggiungono ottimi piazzamenti nella serie superiore.

Questo significa che il dislivello in termini sportivi non è così ampio come lo è in termini economici.

In Serie C e Serie B i costi sono simili, sono i ricavi ad aumentare in modo rilevante.

Io credo che un modello virtuoso possa esser generato solo con l’approdo in Serie B.

Il passaggio di categoria, come ha precedentemente evidenziato dà modo alle società di incrementare sensibilmente i ricavi a fronte di un mantenimento dei costi. L’aumento dei ricavi però non scongiura il mal funzionamento delle società: sono frequenti i casi di club che ottengono la promozione e la stagione successiva sono vicini al baratro o nella peggiore ipotesi falliscono. Come spiega questo singolare fenomeno?

E’ un passaggio “drogato” in termini gestionali. L’esempio lampante è il Pisa della precedente gestione. È venuto in Serie B utilizzando risorse spropositate rispetto a quelle che sapeva generare. Con le nuove entrate si sopperiva alle mancanze precedenti.

E’ fondamentale ottenere la promozione, ma è altrettanto importante non fare il passo più lungo della gamba altrimenti si innesca un circolo vizioso che porta al tracollo societario.

Facendo riferimento alla sua esperienza nel settore, quali sono i rischi derivanti dall’entrata nel mondo del calcio?

Il rischio principale è quello di farsi coinvolgere emotivamente e ambiziosamente dall’ambiente. La ricerca dell’esposizione mediatica porta a compiere anche delle scelte poco ponderate. Il coinvolgimento emotivo spesso porta ad investire solo in ambito sportivo, a discapito di altri aspetti vitali per l’azienda.

Il rischio di una società di calcio, che sia in Serie A, B o C, è, a mio parere, amplificato dal fatto che comunemente chi gestisce la società gestisce anche la squadra. Questo è un errore.

La squadra è il prodotto, ma la società è ciò che le sta intorno. La squadra può retrocedere, ma, se la società è solida, si può risalire. Invece se ci si fa prendere

dalla gestione della squadra, e si perde la misura della possibilità di generare valore attraverso le iniziative commerciali, attraverso la generazione d’interesse a prescindere dal risultato sportivo, allora diventa inevitabile il tracollo economico societario.

Guardando al futuro prossimo del suo club, quanto può incidere nel breve periodo a livello gestionale la creazione del nuovo stadio?

Molto. A due anni dall’apertura del nuovo stadio prevediamo di raddoppiare i ricavi di biglietteria, e di sponsorizzazioni a parità di categoria. A Pisa transitano 5 milioni di turisti, se riuscissimo ad attrarre almeno un terzo di questi turisti, anche al prezzo simbolico di 1 euro, sarebbero ricavi che l’AC Pisa 1909 non ha mai registrato.

Sarà necessario creare una divisione commerciale diversa dall’intrattenimento sportivo che possa sfruttare il potenziale economico derivante dalla creazione di eventi. Inoltre avremo disponibili oltre al museo del calcio e all’area medico-