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L’appeal internazionale: modelli chiusi e aperti

2. L'AZIENDALIZZAZIONE DELLE SOCIETA' CALCIO:

2.6 L’appeal internazionale: modelli chiusi e aperti

Se si vanno ad esaminare le gestioni societarie dei campionati europei più importanti, si nota come vi siano ambienti più aperti ad investimenti esteri e ambienti molto meno inclini all’apertura a capitali provenienti da oltre i confini nazionali. Analizzando i modelli di controllo societario possiamo distinguere due modelli: il modello chiuso ed il modello aperto. Quando una società è controllata da un singolo o da pochi azionisti, si parla di modello chiuso; in questo caso il potere è riunito nelle mani di una limitata cerchia di azionisti di maggioranza, ossia di chi apporta il capitale di rischio. In Italia, questo modello organizzativo è caduto già da tempo in uno stato di crisi dovuto alla crescente problematicità dei mecenati nel riuscire a coprire le perdite, causate dal mancato ammodernamento del proprio modello di business in seguito agli effetti della già citata (capitolo 1) Sentenza Bosman. Basti pensare al fatto che nell'ultimo decennio sono fallite in Italia oltre 70 società professionistiche o che storici presidenti come Moratti prima e Berlusconi poi abbiano infine ceduto i loro storici club (Inter e Milan) a investitori cinesi. In tal caso, potremmo dire che, giocoforza, il loro modello è divenuto aperto: infatti il motivo per cui i due grandi club di Milano sono le uniche due società di calcio di livello internazionale ad essere state acquisite interamente da investitori cinesi risiede nella situazione di immobilità in cui erano venuti a trovarsi a causa della carenza di risorse finanziarie. Per quanto riguarda invece il modello aperto, in questo caso sono coinvolti nella gestione del club, oltre al presidente, anche altri azionisti più o meno rilevanti. In questo modello, oltre all’aspetto economico, convergono anche altri interessi di ordine sia sportivo che socio culturale. Esso assume spesso le forme dell’azionariato popolare, tipico ad esempio di Germania e Spagna. In Germania è infatti stabilito che il 50%+1 delle quote deve appartenere ad associazioni sportive, ad eccezione dei club che hanno dimostrato di possedere una governance stabile negli ultimi venti anni, come Wolfsburg e Bayer Leverkusen. Discorso diverso per quanto riguarda l’Amburgo, dove i tifosi del team hanno la facoltà di incontrare periodicamente il management della società: diviene così più forte il legame fra

la dirigenza e la tifoseria, una delle fonti primarie di reddito per qualsiasi club. Anche il Bayern Monaco sottoscrive la filosofia dell’azionariato popolare, infatti ben il 75% del suo capitale è in mano all’associazione sportiva (composta di oltre 180.000 soci) ed il restante 25 % è diviso in parti eguali tra Allianz, Adidas e Audi. Proprio in conseguenza di ciò, infatti, la Germania risulta non essere meta appetibile per investimenti esteri. Sotto la pressione di alcuni club che temono di non avere il peso finanziario necessario per competere con i rivali della Premier League e della Liga spagnola, è stata indetta a marzo 2018 una votazione per cambiare la regola del 50%+1: la maggioranza dei club però ha votato contro il cambiamento e la regola è rimasta quindi invariata.

Per quanto riguarda la Spagna, a partire dagli anni ‘90 è stata introdotta la forma giuridica della SAD (Sociedad Anonima Deportiva) per la quale la responsabilità dei proprietari viene circoscritta al capitale posseduto dentro il club stesso, in maniera tale che non ci sia più il rischio che gli stessi soci possano vedere intaccati i propri beni personali.27 Per diventare soci si deve acquisire le quote del club, con il beneficio, oltre che di essere coinvolti attivamente nella vita della società, di poter usufruire di agevolazioni nell’acquisto dei biglietti. Il massimo organo di governo della società è l’assemblea dei soci, che può essere convocata dalla Junta Directiva, per propria iniziativa o per iniziativa di almeno il 10% dei soci o il 30% di quelli delegati, ossia coloro che vanno a comporre l’assemblea. I doveri dell’assemblea sono l’approvazione del bilancio e del budget predisposti dalla Junta, che ha invece il compito di tracciare le linee guida economico-sociali del club, redigendo il bilancio, predisponendo i budget e inquadrando strategia ed obiettivi stagionali del club. Il presidente viene eletto con suffragio universale, dura in carica 4 anni e non può essere eletto per più di due mandati consecutivi; ha un ruolo meramente di garanzia, infatti, a titolo esemplificativo, non finanzia lui stesso la campagna acquisti, ma si impegna a ripianare la perdita del club, nel caso ce ne fosse. Nella maggior parte delle volte il presidente viene individuato da migliaia di soci-azionisti nel corso di votazioni che per le comunità locali sono

più intense delle elezioni di stampo politico. Ovviamente, anche in questo caso i grandi club di Spagna sono difficilmente avvicinabili dal punto di vista degli investimenti esteri, essendo Barcellona e Real Madrid due realtà più che consolidate, nonché tra i club più ricchi al mondo. Solo l’Atletico Madrid ha in parte accolto investimenti esteri, avendo il gruppo cinese Wanda rilevato il 20% della società.

Spostando lo sguardo verso il calcio inglese, si nota come negli anni sia diventato terra di conquista per molti investitori esteri, che hanno puntato su club poco titolati e sconosciuti, trasformandoli con il tempo in realtà di livello internazionale. L'origine di questa apertura all’estero del calcio inglese risale al 1992, periodo in cui avvenne la scissione tra alcuni top club e la FA, ossia la federazione calcistica nazionale. In quell’anno infatti 22 squadre dell’allora First Division si dimisero in blocco dal campionato della federazione per fondare un torneo personale. Da allora iniziò a svilupparsi e a diffondersi il prodotto Premier League in tutto il mondo. Grazie a ingenti diritti TV, partite trasmesse nelle ore di massimo ascolto, quotazioni in borsa ed ambienti con un regime fiscale molto favorevole, si venne a creare un ambiente florido nel quale investire. Ad oggi la quotazione in borsa delle maggiori società di calcio inglesi rappresenta la norma e non l’eccezione, mentre i diritti televisivi nazionali ed internazionali fruttano circa 2,2 miliardi di euro (quasi il doppio di quelli della serie A italiana). Un ambiente che agevola gli affari, una tassazione favorevole e un diffuso rinnovamento degli stadi dopo i tragici fatti dell’Heysel hanno fatto il resto: al momento 11 dei 20 club della massima serie inglese sono in mani straniere (tra cui il sorprendente Leicester campione di Inghilterra 2015/2016, di proprietà thailandese).

Per quanto riguarda l’Italia invece, al netto di due club storici come Milan ed Inter e della Roma, risulta essere fuori dal giro per ragioni non solo prettamente economiche. Fino al 1995 (sentenza Bosman) i club italiani erano predominanti; sfruttando un sistema drogato dalla crescita del mercato dei diritti televisivi hanno continuato a spendere senza preoccuparsi di produrre le risorse di cui avevano bisogno. Ma il mercato dei diritti tv non è stato un fenomeno circoscritto

all'Italia ma comune anche negli altri paesi.

In questi ultimi anni i grandi club europei hanno puntato su modelli di business più sostenibili, costituiti da varie fonti di ricavo mentre in Italia si è continuato a far leva sul cosiddetto mecenatismo. Oltre ad avere sempre minor seguito al di fuori dei confini nazionali e a non avere stadi di proprietà (con l’eccezione dello Juventus Stadium), il calcio italiano paga anche diverse problematiche che vanno al di là del settore stesso. Una delle problematiche principali, infatti, è costituita da un sistema fiscale, contributivo e giudiziario ritenuto tra i meno favorevoli in Europa. Questo è indubbiamente un motivo per il quale il calcio italiano non ha l’appeal degli altri campionati: se in Inghilterra anche team di medio-bassa classifica, senza una grande storia, diventa per investitori esteri un’importante opportunità di business, in Italia questo non accade.