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I documentari di propaganda della DC e del PC

VI.4 Il miracolo della ricostruzione e la denuncia sociale

Ci sono due diverse «Italie» nei documentari realizzati nel dopoguerra dalla Democrazia Cristiana e dal Partito Comunista. Il Paese, uscito distrutto dal conflitto bellico, da ricostruire materialmente e spiritualmente, pian piano risale la china. Lo fa principalmente sotto la guida dei democristiani, che dal 1948 conquistano le redini del potere, e con l’aiuto materiale degli Stati Uniti, che, attraverso il Piano Marshall, da una parte erogano aiuti al Paese, dall’altra, lo imbrigliano sotto la propria sfera d’influenza. La risalita è lenta e difficoltosa, ma la ricostruzione fa via via vedere i suoi frutti, così come pian piano migliorano le condizioni di benessere degli Italiani. Accanto ai risultati positivi, però, si annidano le sfide non ancora vinte, poiché le migliori condizioni di vita non raggiungono tutti allo stesso modo. Il Paese tra gli anni cinquanta e sessanta presenta ancora numerose ferite, segnate dalla miseria, dall’emarginazione e dal disagio sociale. Queste piaghe affliggono soprattutto il Sud, quel Mezzogiorno arretrato e sofferente che non riesce in nessun modo a colmare il suo eterno gap col Nord d’Italia. I contrasti tra le due realtà, quella della ripresa e quella della persistenza del malessere, non appaiono nella propaganda democristiana. Artefice della difficile ricostruzione, la DC ne esalta le grandi realizzazioni, i passi in avanti compiuti, con un tono di grande ottimismo e speranza. Viceversa, la propaganda del PCI, il partito escluso dal governo del Paese e relegato negli angusti angoli dell’opposizione parlamentare, riflette solo quello che in Italia non va, con tono critico e di dissenso. I documentari dei due partiti, così, messi a confronto, sembrano palare di due Paesi diversi. Nel racconto entusiasta di quanto di buono è stato fatto, va aggiunto, la DC non è sola. Oltre ai documentari di propaganda da essa realizzati esiste tutta una ricca produzione di materiali audiovisivi collaterali. Da una parte, a parlare delle buone realizzazioni del potere democristiano c’è l’informazione «ufficiale» del diffusissimo cinegiornale Incom, che, creato da una società produttrice vicina al governo, fa una cronaca dell’Italia di quegli anni decisamente faziosa. D’altra parte, aiuti vengono anche dagli Stati Uniti, attraverso la mole di prodotti audiovisivi (realizzati direttamente dagli Americani o anche commissionati a registi italiani), che, diffusi nelle sale o attraverso cinemobili ambulanti, hanno lo scopo di pubblicizzare il Piano Marshall, far vedere quanto di positivo è stato fatto grazie ad esso e far penetrare nella popolazione italiana il verbo del capitalismo e del consumo di massa. A questi materiali di propaganda si aggiungono, a partire dal 1951, gli audiovisivi prodotti dal Centro di Documentazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’organismo nato per pianificare una comunicazione istituzionale integrata, volta a raccontare le tante realizzazioni del governo democristiano dell’epoca della ricostruzione.

Nonostante quest’abbondanza di materiali audiovisivi di propaganda a favore della DC, il partito promuove la realizzazione di alcuni filmati propri, come ad esempio Il

futuro è già cominciato (1958)81. Come suggerisce il titolo, il filmato fa capire che il futuro, fino a pochi anni prima sognato attraverso i racconti di fantascienza, nel 1958 s’identifica col presente, un presente fatto di progresso della tecnica, automatizzazione, conquista dello spazio, ma anche di aumento del benessere generale. Quindi, si passano in rassegna le grandi conquiste del Paese sul piano economico-industriale, illustrate, con tono didascalico, da uno speaker che compare sulla scena. Le immagini che si sovrappongono mostrano i grandi passi in avanti compiuti nell’agricoltura,

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nell’industria e nell’edilizia. Riprese, spesso dall’alto, montate con uno stile moderno e dinamico, mostrano campi coltivati con metodi tecnologici, industrie operose e i profili di nuove città, pronte a contenere, nelle belle case del boom dell’edilizia, i crescenti flussi di inurbamento. Il paesaggio è mutato rispetto a pochi anni prima e il filmato lo mette bene in evidenza. Si parla anche dei tanti soldi che lo Stato ha messo a disposizione della pubblica istruzione e della buona riuscita della politica monetaria, che ha rafforzato la lira. Non si dice, però, chi è l’autore di questo «progresso graduale ma sicuro». Nell’opera si fa un generale riferimento allo Stato, a chi ha indirizzato la politica in modo tale da ottenere tali risultati lusinghieri. Dunque, il riferimento alla DC è solo indiretto. Il partito, tuttavia, compare in chiusura del filmato, quando, come sigla finale, appare lo scudo crociato col sottofondo di un motivo musicale politico. Un tono

altrettanto entusiastico è presente in Una guida stabile e sicura (1964)82, un

documentario realizzato per le elezioni amministrative. L’Italia che vi si vede è quella dinamica ed evoluta degli anni sessanta. L’ottimismo del commento non ha limiti. Il filmato si apre con delle inquadrature di bambini e ragazzi. Sono i figli del progresso, si dice, il volto dell’Italia che ce l’ha fatta. Quindi si parla del miracolo economico e si fa riferimento alle «inevitabili» conseguenze di uno sviluppo così accelerato. Si minimizzano, così, i paradossi, i lati negativi e le mancate vittorie del boom: in Italia, precisa infatti lo speaker, il prezzo del miracolo è stato ben più basso che altrove. Si vedono, quindi, i risultati di questo progresso, simbolizzati dall’autostrada del Sole, «un’opera di pace», grazie alla quale l’Italia è «più unita, più colta, più bella». Il progresso, però, nel Belpaese convive con una tradizione culturale forte, permeata dai valori cattolici. Di questa civiltà, dell’Italia dei mille campanili, che si vedono anche nelle immagini, la DC si fa espressione. Il partito, si spiega, vuole tutelare i valori di base dell’italianità, in tal senso esso si pone come l’emblema della civiltà italiana, a differenza del PCI, il «partito della protesta», «opportunista», che incarna una cultura estranea a questa tradizione. È interessante la ricetta di sviluppo qui proposta dalla Democrazia Cristiana. Si tratta di una trasformazione che coabita con la tradizione. Il partito in questo filmato mostra la propria volontà di guidare il progresso nei dinamici anni sessanta, ma di conciliarlo con la propria cultura di base fortemente tradizionale e plasmata dai valori cattolici.

Se la Democrazia Cristiana con trionfalismo fa i bilanci della crescita del Paese, il Partito Comunista punta gli obiettivi delle sue cineprese su quegli aspetti della realtà censurati dall’informazione ufficiale. Negli anni cinquanta e sessanta, a fronte di un Paese in fermento, proiettato verso la crescita, ma anche dilaniato da manifestazioni di malessere sociale, il PCI fa luce sulle lotte operaie e su tutte quelle zone d’ombra non ancora illuminate dal miglioramento delle condizioni di vita. Diversi sono i documentari che raccontano di scioperi finiti nel sangue e di funerali delle vittime di tanta violenza. Con essi il PCI vuole denunciare il malessere sociale, che conduce la classe operaia alla mobilitazione, e il potere violento che reprime nel sangue le lotte dei lavoratori. Ne I

fatti di Modena (1950)83, un’altra opera diretta da Carlo Lizzani, si mostra la cronaca

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Una guida stabile e sicura (1964), produzione: D.C. Spes, 13’30’’, colore, sonoro.

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I fatti di Modena (1950), regia: Carlo Lizzani, operatore: Giorgio Merli, produzione: Libertas Film, 10’, b/n, sonoro.

Nello stesso anno, probabilmente contestualmente, Carlo Lizzani gira anche Modena una città dell’Emilia rossa (1950) (regia: Carlo Lizzani, soggetto e sceneggiatura: Carlo Lizzani, commento: Ganni Rodari, fotografia: Giorgio Merli, organizzazione: Enzo Alfonsi, Piero Sciarra, musica: Mario Zafred, produzione: Libertas Film, 28’, b/n, sonoro), un mediometraggio che racconta della crescita del capoluogo emiliano grazie al buon operato dell’amministrazione comunale comunista. Il filmato presenta uno stile molto convenzionale, che riecheggia quello

dei funerali dei sei operai della fabbrica Orsi, uccisi dalla polizia durante lo sciopero del 9 gennaio del 1950. Nei sei minuti di filmato si vedono procedere le bare, coperte dal tricolore, nel corteo funebre che si fa strada tra due immense ali di folla. La città partecipa in massa per dare l’ultimo saluto agli operai. Il clima che il documentario trasmette, accompagnato da un commento scarno e solenne, è di dolore e compostezza. Tra i partecipanti ci sono anche Palmiro Togliatti e Giuseppe Di Vittorio. Il cortometraggio si conclude proprio con un discorso del leader comunista. L’opera, che raccontava una pagina della cronaca del tempo lesiva dell’immagine del potere governativo, fu ampiamente censurata. Sul visto della censura era prescritto di «Limitare la proiezione alla parte che inizia con l’uscita delle salme dall’ospedale alla fine del discorso di Togliatti»84. L’appunto del censore è l’ennesima prova delle difficoltà che avevano le opere di denuncia del PCI di circolare liberamente in un Paese governato da una forza avversaria al comunismo. La scia di sangue non si ferma a Modena. Nel luglio del 1960 altri cinque operai, tutti comunisti, cadono vittima della

polizia durante una manifestazione a Reggio Emilia. I morti di Reggio Emilia (1960)85

fa un resoconto di questa nuova tragedia. Il documentario, composto per la prima metà da immagini fisse, intende mostrare la brutalità esercitata dalla polizia all’epoca del governo Tambroni. Dal racconto della violenza di Reggio Emilia, infatti, il filmato allarga la visione a uno scenario più ampio, per illustrare le diverse manifestazioni di protesta sedate nel sangue dalle forze dell’ordine su disposizione del governo. Le immagini sono d’impatto. Mostrano prime pagine dei giornali, più simili a bollettini di guerra, che disegnano la mappa della violenza nel Paese. Oppure ritraggono città militarizzate, momenti di guerriglia urbana, con uomini che scappano, feriti, camionette della polizia e volti contratti in grida, resi ancora più impressionanti dalle istantanee. La seconda metà del filmato, composta da immagini in movimento, racconta dei funerali degli operai uccisi a Reggio Emilia, cui prese parte anche Togliatti.

Assieme alle lotte sociali, nei filmati della propaganda comunista si raccontano anche pagine scure di malessere sociale. I sobborghi degradati delle grandi città, le periferie del Paese non ancora toccate dallo sviluppo, le terre abbandonate dai suoi nativi, costretti a ricercare fortuna emigrando, sono alcuni dei temi scottanti al centro di diversi documentari di denuncia, molti dei quali girati nel profondo Sud. In Una città da

salvare (1964)86 lo sguardo è rivolto verso la capitale dell’automobile, Torino, eletta a simbolo dell’Italia del miracolo economico. La metropoli condensa in sé i paradossi di un boom dell’economia iniquo, che arricchisce alcuni e lascia nella miseria molti altri. Le immagini parlano di una città sovraffollata, soffocata dal cemento e dal traffico. Il commento allerta sullo sviluppo caotico, sulla mancanza di servizi e sulla corruzione. Il benessere, si dice, è per pochi, di certo non per coloro che quel benessere lo costruiscono con il duro lavoro di ogni giorno. Si vedono, così, operai emarginati nelle baracche dei sobborghi torinesi, o spinti nella provincia e costretti a fare diverse ore di viaggio ogni giorno per raggiungere il posto di lavoro. Per costoro non ci sono case,

dei cinegiornali Luce. All’inizio si descrivono alcune ricchezze artistiche della città, poi si racconta delle attività economiche, della crescita dell’agricoltura, della modernizzazione dell’industria e dei servizi sociali. Modena, che ha dato i natali a diversi partigiani, è rappresentata come una città perfettamente efficiente e in grado di venire incontro alle esigenze delle classi lavoratrici. L’obiettivo è raffigurare l’amministrazione rossa come un modello da imitare e non da temere.

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Il testo del documento è riportato su http://aamod.archivioluce.com, nell’ambito della descrizione del filmato.

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I morti di Reggio Emilia (1960), 19’23’’, b/n, sonoro.

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Una città da salvare (1964), regia: Ennio Lorenzini, Vittorio Nevano, testo: Saverio Vertone, fotografia: Franco Di Stefano, montaggio: Renato May, operatore: Emanuele Di Stefano, produzione: Unitelefilm, 18’45’’, b/n, sonoro.

eppure le amministrazioni pubbliche spendono risorse preziose per finalità inutili se paragonate ai loro bisogni. L’inchiesta individua i responsabili di tanta ingiustizia nei potentati economici, attenti solo ai propri interessi. Tra questi c’è la Fiat, che da una posizione di monopolio affolla il mercato di autovetture destinate ad ingolfare il paesaggio urbano italiano. Una città da salvare rappresenta una classica inchiesta filmata degli anni sessanta, volta a denunciare, a rivelare i non detti dell’informazione ufficiale, a mostrare l’altra faccia del miracolo87.

VI.4.1 La questione meridionale

La questione meridionale è uno tra i temi più scottanti dell’agenda politica italiana del dopoguerra. La fine del conflitto, col suo strascico di devastazione, riporta all’attenzione del Paese e di chi ne prende in mano le redini il drammatico divario esistente tra i suoi due estremi. Messa tra parentesi negli anni del fascismo, l’atavica arretratezza economica e culturale del Sud riesplode in tutta la sua forza nel periodo immediatamente successivo alla guerra. Lo Stato è costretto ad assumere provvedimenti speciali per venire incontro alle esigenze delle popolazioni afflitte da miseria e sottosviluppo. Ma nulla riesce a colmare lo scarto esistente tra il Nord e il Sud. Neppure il miracolo economico compensa il gap, anzi lo enfatizza. Il bisogno di lavorare fa svuotare le città meridionali. Gli operai del Sud, manodopera indispensabile degli insediamenti industriali settentrionali, sono i veri fautori del boom, ma di certo non i beneficiari, ridotti a vivere in condizioni di ristrettezze nelle periferie urbane. La ricchezza del miracolo non si spalma equamente lungo tutta la penisola e la questione meridionale è destinata a restare un tema perennemente attuale.

Il Meridione entra molto presto nella produzione audiovisiva di propaganda. Dalla sua posizione di partito di opposizione, che si fa interprete delle istanze delle masse operaie e contadine, il PCI sostiene la realizzazione di Nel Mezzogiorno qualcosa è cambiato (1949)88 di Carlo Lizzani, scritto con Mario Alicata, intellettuale meridionale, nonché esponente del PCI. Si tratta di un’opera fondamentale per il regista, che da quel momento inizia l’importante collaborazione col Partito Comunista, in cui milita89. Il documentario è realizzato in occasione dell’Assise per la rinascita del Mezzogiorno, svoltasi nel 1949 in alcune città del Sud. Si susseguono le immagini di Crotone, Salerno, Bari, Matera, dove giungono uomini politici e sindacalisti come Fausto Gullo, Mario Alicata, Giorgio Amendola, Emilio Sereni e Giuseppe Di Vittorio, nonché intellettuali e artisti. Lo sguardo della cinepresa diventa cupo quando si sofferma sulle

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Assieme a Torino, un’altra città culla dell’emigrazione è Milano. Anch’essa negli anni sessanta sconta i disagi provocati dall’arrivo di enormi flussi di meridionali. Alla questione dedica un documentario la locale federazione del PCI, intitolato Il prezzo del miracolo (1963) (produzione: Sezione stampa e propaganda federazione PCI - Milano, 14’, b/n, sonoro). Il filmato mostra la vita degli operai immigrati nelle periferie della città e l’attività di alcune sezioni del PCI, allo scopo di fare propaganda elettorale per il partito. Il documentario è interessante perché testimonia quanto l’emigrazione rappresentasse una tematica urgente e sentita, al punto da essere oggetto anche di filmati di propaganda delle sezioni locali del PCI.

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Nel Mezzogiorno qualcosa è cambiato (1949), regia: Carlo Lizzani, soggetto e sceneggiatura: Mario Alicata, Carlo Lizzani, commento: Mario Alicata, fotografia: Giorgio Merli, montaggio: Enzo Alfonsi, organizzazione: Enzo Alfonsi, Piero Sciarra, produzione: Rinascita, Tecnofilm, 22’, b/n, sonoro.

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Così, infatti, ha ricordato Lizzani: « Si trattava in assoluto del mio primo lavoro in campo cinematografico. Avevo delle esperienze come aiuto regista con De Santis e Rossellini, ma, in quel periodo, mi sentivo più uno studioso che un regista. Proprio quella esperienza fu per me fondamentale per farmi decidere a continuare sulla strada della regia.» Pasquale Iaccio, Dopoguerra tra Neorealismo e tradizione, in Giovanni Fiorentino (a cura di), Luci del Sud, Castellammare di Stabia, Eidos Editore, 1995, p. 27.

condizioni di arretratezza atavica di aree della Calabria e della Campania. L’analisi è poi arricchita da dati che quantificano la presenza industriale nel Mezzogiorno, la distribuzione della proprietà terriera e la percentuale di campagne abbandonate. Ma la rappresentazione non è solo negativa: il filmato coglie il desiderio di riscossa che alberga nei figli del Sud e che si palesa nelle lotte nelle fabbriche e in quelle per l’occupazione delle terre. Le immagini chiudono su una manifestazione politica a Melissa, cui partecipano politici e intellettuali di tutta Italia. Il documentario fu realizzato con mezzi ridottissimi, al punto che si girò con molti impedimenti, compresa

l’assenza di riprese sonore dirette90. Tuttavia, Nel Mezzogiorno qualcosa è cambiato è

considerata la più importante inchiesta cinematografica girata nel Mezzogiorno negli anni del dopoguerra91. Il PCI sostenne l’opera perché attraverso essa voleva dare una risposta alla vittoria elettorale della DC di un anno prima, registrando quel grande risveglio del Sud che prese forma nella mobilitazione popolare e nell’occupazione delle terre del biennio ‘48-’49. Il tono del documentario è combattivo ed ottimista, avvertendo la vicinanza di un cambiamento radicale della società, presagito dalla straordinaria alleanza nella lotta tra contadini ed operai del Meridione92. Non stupisce che un’opera di questo tipo, negli anni in cui più acceso è lo scontro tra le sinistre ed il governo, subisse interventi censori. Sul visto censura, tra le prescrizioni imposte, si richiede:

«di eliminare le scene della occupazione delle terre e le seguenti frasi “nelle assemblee preparatorie convocate in ogni fabbrica, in ogni rione, in ogni villaggio, non soltanto sono stati raccolti in quaderni di rivendicazione i bisogni che assillano le popolazioni meridionali ma è stato (sic) anche riconfermata l’esigenza di non fermarsi alla denuncia pura e semplice e di passare dalla denuncia all’azione”, e le parole “considerato territorio di sfruttamento”»93

.

Il potere teme la carica rivoluzionaria dell’opera e la contrasta con le forbici del censore. A questi ingiusti tagli farà cenno qualche anno dopo lo stesso Lizzani. « È inutile dire - dichiara sulla rivista «Filmcritica» - che i miei documentari sono stati fatti a pezzi dalla censura (pensate che - sacrilegio - il documentario sul Sud faceva vedere i contadini che occupavano le terre! E allora perché non è proibito parlare alla stampa di quegli avvenimenti e ai giornali illustrati, anche non di sinistra, di riprodurre immagini

di quelle invasioni?)»94. Di fronte alla mobilitazione preoccupante del Sud e al

fenomeno dell’occupazione delle terre il governo sente di dover intervenire con urgenza. La tensione è forte: nel biennio 1948-1949 la scintilla delle agitazioni scoppiata in Calabria dà luogo ad un incendio di proteste che si diffonde rapidamente in tutto il Mezzogiorno. Molti contadini in rivolta contro i latifondisti perdono la vita negli scontri sedati nel sangue dalla polizia. L’ondata di agitazioni rappresenta un’occasione propizia per le sinistre per raccogliere consensi tra le plebi meridionali, mettendosi alla testa del movimento di occupazione delle terre, come già avvenuto nell’immediato dopoguerra. Per arginare questo fenomeno e anche per sedare il malcontento della sua ala sinistra, contraria alla politica antipopolare del governo sul fronte economico e del

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Giacomo Gambetti, Nel Mezzogiorno qualcosa è cambiato, «Il Nuovo Spettatore», n. 12, 1989, p. 39.

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Antonio Vitti, Il cinema meridionalistico. Lizzani nel paese del neorealismo, in Vito Zagarrio (a cura di), Carlo

Lizzani. Un lungo viaggio nel cinema, Quaderni della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, Venezia,

Marsilio, 2010, p. 143.

92

Pasquale Iaccio, Cinema, storia e Mezzogiorno nel secondo dopoguerra, in Pietro Cavallo, Pasquale Iaccio,

L’immagine riflessa. Fare storia con i media, Napoli, Liguori, 1998, p. 249.

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Il testo del documento è riportato su http://aamod.archivioluce.com, nell’ambito della descrizione del filmato.

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mantenimento dell’ordine pubblico, la DC vara il progetto della riforma agraria. Essa prevede lo spezzettamento e la distribuzione ai contadini di enormi latifondi incolti ed abbandonati, per favorire la nascita di piccole proprietà contadine. Tra il 1949 ed il 1950 più di 800mila ettari di terra sono espropriati e circa 200mila sono le piccole proprietà

che ne derivano95. Attraverso questo provvedimento il governo prova a ridare una

speranza ai suoi figli del Sud. La speranza è il fulcro della propaganda democristiana di questi anni, che alle prospettive rosee di un futuro migliore associa un puntuale resoconto di quanto il governo realizza negli anni della ricostruzione per le regioni