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Il modello tedesco di esclusione differenziale

I due modelli che abbiamo appena esaminato partono da presupposti antitetici e sulla carta paiono lontanissimi. Come abbiamo avuto modo di vedere però, l’applicazione di un determinato modello in risposta a un’esigenza di gestione sociale non è mai un’operazione meccanica, ma un modus operandi negoziato, dibattuto, spesso riconfigurato in base agli esiti che questo produce, sia in termini di benefici, sia in termini di criticità. Considerando che nell’ultimo decennio, in particolare dal Duemila fino ai giorni nostri, la società occidentale è stata scossa nel profondo da questioni afferenti l’inclusione sociale dei

134 migranti, questi modelli hanno subito dei contraccolpi che in alcuni casi hanno portato a un cambiamento di paradigma. Il modello francese si faceva e si fa promotore dei valori francesi come ideali comunitari e pertanto chiede ai propri immigrati di farli loro per accedere a una società egualitaria e laica; il modello inglese si è fatto promotore della difesa delle differenze per cui alle varie comunità etniche non è stato richiesto di adottare gli usi, i costumi e il paradigma valoriale inglese. Tale modello però è entrato fortemente in crisi e l’approccio multiculturale, tipicamente britannico, sta lasciando il posto ad un approccio nazionalista che sbandiera la “britannicità” come elemento di riconoscimento e di coesione sociale. Veniamo ora al modello tedesco, storicamente connotato dal fatto di considerare i migranti come ospiti temporanei e cerchiamo di analizzarne gli esiti e le tendenze attuali.

Gli anni sessanta del Novecento in Germania sono passati alla storia come quelli del Wirtschaftswunder, ossia del miracolo economico. La manodopera straniera era espressamente richiesta e le quote di lavoratori ammessi venivano stabilite in base alla necessità dei diversi settori del mercato. I lavoratori stranieri provenivano in gran parte da Spagna, Grecia, Italia, Jugoslavia, Turchia e Portogallo e venivano impiegati nell’industria mineraria, automobilistica e nell’edilizia. Essi erano i cosiddetti Gastarbeiter, i lavoratori ospiti, in quanto la loro presenza era concepita come temporanea, riguardante soltanto il periodo in cui era necessaria ai fini di rispondere alle esigenze del mercato tedesco. Dunque ci si aspettava che tali lavoratori tornassero a casa una volta espletata la loro funzione. Di conseguenza non ci si poneva il problema della loro inclusione nel tessuto sociale tedesco. Venivano incorporati nel mercato del lavoro, ma erano esclusi dalle altre aree della società, come quella della cittadinanza e della partecipazione politica. Per questo il modello di integrazione tedesco è stato definito di esclusione differenziale. Tale modello però non ha funzionato, essenzialmente per due ragioni: la prima è che molti Gastarbeiter non hanno fatto ritorno ai loro Paesi di origine, ma si sono stabilizzati in Germania, la seconda è che essi hanno proceduto a fare i ricongiungimenti familiari portando in Germania mogli e figli. Ciò ha comportato quindi il perpetrare nel tempo dei flussi migratori, i quali sono diventati un fenomeno strutturale che non ha più riguardato solamente lo spostamento temporaneo di lavoratori stranieri, ma il trasferimento definitivo di intere famiglie con l’intenzione di restare sul suolo tedesco per costruirvi il proprio avvenire.

135 Rauf Ceylan, un esperto in materia di immigrazione e religione, lamenta che la Germania ha cominciato ad attuare politiche di integrazione solo a partire dal nuovo millennio, con un grosso ritardo rispetto ai tempi di sviluppo del fenomeno migratorio. Ciò naturalmente ha comportato non pochi problemi. Ismael Tipi, politico conservatore di origini turche, membro della CDU, l’unione cristiano-democratica tedesca, ritiene che la Germania sia stata miope per troppi anni nei confronti del fenomeno migratorio. Egli si fa portavoce della propria comunità etnica di appartenenza, quella turca, che secondo alcuni studi fatti dal Berlin Institute for Population and Development è quella che presenta maggiori problemi di integrazione nel tessuto sociale tedesco. In un articolo pubblicato su Spiegel online International dichiara: "It was an illusion to believe that we were all just guest workers and would eventually go back to Turkey.172 L’articolo, scritto da Matthias Bartsch,

Andrea Brandt e Daniel Steinvorth continua poi raccontando che l’illusione di cui parla Tipi ha avuto inizio il 30 Ottobre 1961, con la firma di un accordo tra la Germania dell’Ovest e la Turchia per il reclutamento di forza lavoro. Accordi analoghi erano già in essere con l'Italia, la Grecia e la Spagna, ma l'economia della Germania occidentale era in piena espansione e la domanda di lavoro sembrava illimitata. Dopo essere stati vaccinati e avere superato un test di idoneità fisica, centinaia di migliaia di turchi ad Ankara e ad Istanbul sono stati fatti salire a bordo di treni speciali alla volta di Monaco di Baviera dove si è proceduto a smistarli nelle varie zone industriali del Paese bisognose di manodopera. Le aziende tedesche erano principalmente interessate ad assumere operai semi-qualificati o non qualificati per poterli pagare poco, impiegarli nei lavori meno ambiti, come in catena di montaggio e assegnare loro i turni peggiori (le notti e i giorni festivi). Le zone di reclutamento preferite erano le regioni più remote e povere della Turchia, dove la popolazione sapeva a malapena leggere e scrivere, cosa che ovviamente penalizzava chi di loro migrava in Germania in quanto li marginalizzava ulteriormente, rendendo ancora più difficile la loro partecipazione nella vita sociale tedesca. I lavoratori turchi vivevano in dormitori costruiti appositamente per loro nelle adiacenze delle fabbriche in cui lavoravano e ci si aspettava che, passato qualche anno e messo da parte un discreto gruzzoletto, tornassero tutti in madrepatria. A tal proposito, nell’accordo turco-tedesco del ’61, era stata

136 stipulata una "clausola di rotazione" finalizzata a limitare il soggiorno in Germania di ogni lavoratore a soli due anni. Ma se da un lato la situazione politico-economica in Turchia era incerta e tanti lavoratori turchi opponevano resistenza al ritorno a casa, dall’altro l’industria tedesca faceva pressioni affinché agli immigrati turchi fosse data la possibilità di restare perché avevano dimostrato di essere lavoratori affidabili, produttivi e molto meno pretenziosi rispetto a quelli tedeschi. Non da ultimo, le aziende erano stanche di dovere investire continuamente nella formazione di nuovi lavoratori. Stando così le cose nel 1964 la clausola di rotazione è stata eliminata dall’accordo turco-tedesco, dando l’opportunità a chi lo desiderava di restare a lavorare in Germania. Ma si sa che il vento cambia in fretta e così, con l’incombere della crisi petrolifera del ’73, i lavoratori stranieri si sono subito trasformati da risorsa fondamentale a onere gravoso, portando l'allora cancelliere Willy Brandt a promulgare una moratoria sul loro reclutamento. Paradossalmente però, questa misura anziché fermare il fenomeno migratorio ha portato a un suo incremento in quanto i lavoratori immigrati, temendo che lasciare la Germania avrebbe significato non potervi più tornare, non solo sono rimasti, ma si sono fatti raggiungere dalle loro famiglie. Non più soli, i lavoratori stranieri hanno cominciato a trasferirsi dai dormitori in appartamenti economici all’interno dei quartieri vicini alle fabbriche, che i tedeschi a poco a poco abbandonavano per spostarsi in zone di maggiore prestigio. Ciò ha portato con il tempo allo sviluppo di interi quartieri abitati da immigrati come Marxloh nella città occidentale di Duisburg e Neukölln a Berlino.

Lo storico contemporaneo Ulrich Herbert ritiene che proprio verso la metà degli anni ‘70 ci sia stata l’inversione di tendenza che ha trasformato i Gastarbaiter in immigrati permanenti, ma anziché favorire il loro processo di inclusione sociale la politica ufficiale tedesca fino alla fine degli anni ’90 ha tentato di incentivare il loro desiderio di tornare a casa, con iniziative come quella di offrire fino a 10.500 marchi tedeschi (€ 5.400) a coloro che avessero lasciato la Germania per rientrare nel proprio Paese di origine. Sempre su questa linea è l’introduzione in molte scuole di lezioni supplementari in turco, non per promuovere il bilinguismo, ma per preparare i bambini a una vita futura in Turchia. Il risultato di ciò è stato, secondo Herbert, una generazione di “bilingue illetterati” nel senso che questi ragazzi non sono diventati fluenti né nella loro lingua madre, né in tedesco e questo ha comportato per loro basse prospettive occupazionali all’interno del mercato del lavoro tedesco, il cui settore industriale nel frattempo si era specializzato e dunque

137 richiedeva lavoratori qualificati e non più scarsamente istruiti come negli anni ’60. Solamente i verdi sostenevano il diritto per gli stranieri di soggiornare e risiedere sul suolo tedesco e si facevano portavoce di campagne a favore di una società multiculturale e inclusiva che contrastavano la retorica xenofoba di ampie fasce della CDU. Alfred Degger, nel 1982, mentre era capo della CDU nello stato dell’Assia, sosteneva che il ritorno degli stranieri al loro Paese di origine doveva essere la regola e non l’eccezione e che non era immorale chiedere che ciò che restava della Germania andasse ai tedeschi. Opinioni simili sono state espresse negli anni ‘90 da Manfred Kanther, il Ministro degli interni nel governo dell’allora cancelliere Helmut Kohl. Il dibattito inerente a queste tematiche è scoppiato fragorosamente nei primi mesi del ’99 quando Roland Koch, allora capo della CDU dell’Assia, promuove una campagna contro la doppia cittadinanza e il suo elettorato sostiene una raccolta firme contro gli stranieri.

Oggi, a quasi venti anni di distanza, si può affermare che le politiche di integrazione raccolgano maggiori sostenitori. Nel 2005 Armin Laschet, un politico della CDU, è diventato il ministro dell'integrazione della Renania Settentrionale-Vestfalia, la prima carica di questo tipo in tutta la Germania e ha dichiarato che il Paese deve smettere di negare la realtà dei fatti e abbracciare politiche di integrazione tese all’inserimento dei cittadini stranieri nel tessuto sociale tedesco. Nell’ultimo decennio la Germania ha investito sui corsi di lingua gratuiti per gli stranieri e ha semplificato il riconoscimento dei titoli di studio dei cittadini extracomunitari per facilitare il transito dei lavoratori qualificati e degli accademici. Riguardo alle seconde generazioni si è stabilito che i nati dopo il primo gennaio del 2000 su suolo tedesco da genitori di cui almeno uno in possesso di permesso di soggiorno da non meno di tre anni possono assumere la cittadinanza tedesca; inoltre dal 2014 è stata ammessa la doppia cittadinanza per i figli degli stranieri che da almeno otto anni vivono in Germania o che frequentano da almeno sei anni la scuola tedesca.173

Anche nei confronti dell’immigrazione dei richiedenti asilo la Germania ha optato ultimamente per la politica delle porte aperte. La cancelliera Angela Merkel, che per tempo ha relegato la questione dei migranti forzati nelle mani del ministro degli interni Thomas de Maizière, è stata scossa enormemente dai fatti di Heidenau, una cittadina della Sassonia, poco distante da Dresda dove gruppi di neonazisti hanno sfilato in corteo per manifestare la

138 loro opposizione all’apertura di un centro di accoglienza per i richiedenti asilo e hanno scatenato scontri con la polizia incitati dagli abitanti del luogo. Questo è stato solo uno dei 200 episodi di violenza perpetrati nel 2015 ai danni dei richiedenti asilo per mano di esponenti dell’estrema destra e Merkel ha deciso che non poteva più procrastinare la battaglia contro l’odio xenofobo e razzista.

Certo è che il Paese non è esente nemmeno da atti di violenza da parte di cittadini di origini immigrate. Il 2015 si chiude in maniera violenta inaugurando funestamente il nuovo anno con le aggressioni di Colonia durante la notte di Capodanno. Mentre sono in atto i festeggiamenti nel piazzale della stazione, un gruppo di individui di sesso maschile che a poco a poco diventa sempre più nutrito, fino a raggiungere un migliaio di persone, perde il controllo. Sono ubriachi e violenti, lanciano bottiglie, sparano razzi, petardi e fuochi d’artificio e scatenano risse. Gli agenti di polizia entrano in azione e riescono a ristabilire l’ordine: i facinorosi vengono allontanati, alcuni identificati e fermati mentre al commissariato cominciano ad arrivare le prime denunce per furto, molestie e abusi sessuali da parte di donne che si trovavano nel piazzale della stazione. Nei giorni seguenti prosegue la scia di denunce il cui computo definitivo è di 1.163. Di queste, 492 sono per reati sessuali, dall'insulto allo stupro. I procedimenti penali ammontano a 130 e riguardano 42 marocchini, 39 algerini, 17 iracheni, 9 siriani, 7 tedeschi, 1 spagnolo. I restanti hanno a che vedere con stranieri che provengono da altri Paesi del Medio Oriente, del Nord Africa, dei Balcani, dall'India, dall'Eritrea, dall'Iran, dall'Afghanistan e dall'Europa dell'Est. Si tratta in prevalenza di individui arrivati in Germania negli ultimi due anni, 59 di essi sono richiedenti asilo e 18 sono migranti irregolari.174 Le violenze di San Silvestro a Colonia, sulle quali si sta tuttora indagando, pur in assenza di elementi che le riconducano ad un'azione di criminalità organizzata, non sono che il primo di una serie di episodi incresciosi e abominevoli che vedono come protagonisti cittadini di origini immigrate. Episodi che da un lato si riallacciano al più ampio e complesso quadro riguardante il dilagare del fondamentalismo islamico nel cuore dell’Europa, dall’altro risollevano i problemi legati a una mancata integrazione di una parte dei cittadini immigrati e dei cittadini tedeschi nati e cresciuti in Germania, ma da famiglie di origine straniere. Va sottolineato comunque che in due dei casi di cronaca che andremo ora brevemente ad

139 analizzare il profilo degli aggressori è quello di malati psichiatrici, dunque i fattori principali a cui ascrivere i loro terribili gesti sono i rispettivi disturbi mentali.

Il 18 luglio, su un treno regionale della tratta Wurzburg – Heidingsfelt, Muhammad Riyad, un richiedente asilo afghano di 17 anni, affidato a una famiglia tedesca in quanto minore non accompagnato, ferisce a colpi di ascia e di coltello cinque persone dichiarando di essere un soldato dell’Isis. Il ragazzo, che è stato ucciso dalle forze di polizia, è stato subito riconosciuto come soldato jihadista da Amaq, l’agenzia di stampa del Califfato.

Il 22 luglio a Monaco di Baviera, Ali David Sonboly, un diciottenne tedesco di origini iraniane, apre il fuoco nei pressi del centro commerciale Olympia uccidendo nove persone e ferendone sedici per poi togliersi la vita. Secondo le indagini il ragazzo, che meditava l’attacco da un anno, soffriva di disturbi psichici e nel 2015 era stato ricoverato per via delle sue profonde difficoltà relazionali e dei suoi problemi di sociopatia. Sonboly aveva sviluppato un forte razzismo nei confronti di coloro che considerava stranieri e reputava un onore essere nato lo stesso giorno di Adolf Hitler. Le sue origine iraniane erano per lui il tratto che lo rendeva un ariano puro a dispetto degli altri immigrati mediorentali.175

Il 24 luglio ad Ansbach, Mohammed Delel, un ventisettenne siriano, che aveva fatto domanda di asilo nel corso del 2015 vedendola poi respinta, si fa esplodere alle porte del festival musicale della città, dove le forze dell’ordine lo bloccano essendo egli sprovvisto del biglietto di entrata. Viene così evitata una strage. Dall’esame del contenuto del cellulare e del pc dell’attentatore è emerso che era un simpatizzante dell’Is e nella sua abitazione è stato ritrovato tutto il necessario per la fabbricazione di bombe artigianali. Anche Delel soffriva di problemi psichici a causa dei quali era stato ricoverato più volte. Il quarto episodio, che chiude questi sette giorni di sangue, riguarda la città di Reutlingen, dove, il 25 luglio, un richiedente asilo siriano di 21 anni uccide una donna polacca con un machete e ferisce altre due persone. Si pensa subito a una possibile affiliazione dell’uomo all’Is per poi scoprire invece che la motivazione dell’omicidio è passionale.

Merkel si dimostra estremamente lucida nell’analisi di quanto accaduto. Discerne la natura dei gesti degli aggressori e anziché gettare benzina sul fuoco, incendiando l’opinione pubblica con la minaccia terroristica, precisa che la politica della Germania nei confronti dei richiedenti asilo non cambia e che il Paese “resta fedele ai suoi principi e darà rifugio a

140 chi lo merita”.176 Dunque si allontana dalle posizioni di coloro che in nome del pericolo rappresentato dal fondamentalismo islamico vorrebbero estirpare il fenomeno migratorio alla radice, come se si trattasse delle due facce della stessa medaglia. Una presa di posizione netta che ha sollevato parecchie critiche sia a destra, sia a sinistra e pare che stia facendo vacillare l’elettorato tedesco. Le recenti votazioni nel Meclemburgo-Pomerania, il Land dove c’è il collegio elettorale della cancelliera, hanno registrato infatti una forte débacle della CDU, il partito di Merkel, a favore dell’AFD, il partito della populista Frauke Petry, che vuole i profughi fuori dall’Europa.