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Transnational Families and Social Technologies:

Se Brekke e Komito si mostrano perplessi quando non pessimisti riguardo al ruolo dei social media nel processo di inclusione sociale dei migranti, in quanto ritengono che questi strumenti digitali disincentivano le persone dal tessere legami in loco fungendo da surrogato di socialità, di differente parere sono Gonzalo Bacigalupe e Maria Cámara. Il professore di Counseling Psychology dell'Università del Massachusetts di Boston e la ricercatrice dell'Università di Deusto a Bilbao, in Transnational Families and Social Technologies: Reassessing Immigration Psychology, sostengono che i social media contribuiscono al benessere psicologico dei migranti favorendo il mantenimento degli strong ties e alzando la soglia di resilienza dei singoli. Tutto ciò ha ricadute positive sul processo di inclusione sociale e sulla salute dei migranti. Vediamo perché analizzando lo studio di Bacigalupe e Cámara.

Gli studiosi affermano che la letteratura sulla psicologia dell’immigrazione ha sempre considerato il rapporto che intercorre tra i migranti e le loro famiglie. Ovvero non si è concentrata unicamente sullo studio dei soggetti coinvolti da problemi di salute mentale, isolandoli dal loro contesto di origine, ma ha indagato i legami di questi soggetti con il gruppo-famiglia perché la migrazione non coinvolge mai singoli individui ma network di persone. Con l'emergere delle tecnologie di comunicazione digitale, però, è necessario riconsiderare le conoscenze acquisite circa l'impatto dei processi migratori sugli equilibri familiari e individuali dei soggetti coinvolti. Le tecnologie 2.0 hanno un ruolo da protagonista nella vita delle famiglie in generale e, in particolare, in quella delle famiglie transnazionali. L'emergere delle TIC può portare a una vera e propria trasformazione di

176 quella che i medici e i ricercatori ritengono essere l'esperienza psico-sociale degli immigrati e il suo impatto sul loro network familiare. Queste tecnologie, infatti, rendono l'immigrazione più accettabile rispetto al passato, dando agli individui coinvolti non solo i mezzi per gestire e mantenere i loro legami personali, ma anche “la possibilità di continuare a negoziare il loro ruolo sociale nel Paese di origine”.234 Come riportato nell’Information and communication technology and migration, il rapporto delle Nazioni Unite: “ICTs have become global drivers of migration”.235 Il tratto distintivo di queste tecnologie è quello di superare le limitazioni imposte dalla distanza fisica, attraverso la possibilità di comunicare in sincrono e a costi ridotti in un ambiente multimediale. Tutte qualità che modificano il modo in cui i migranti e le loro famiglie interpretano la separazione geografica. È dunque imprescindibile che anche la psicologia dell’immigrazione tenga conto di questo cambiamento e si orienti sempre più a un’analisi di tipo relazionale piuttosto che individualistica. L’incorporazione delle TIC nella vita delle famiglie transnazionali fa sì che il rapporto tra gli individui migrati e coloro che sono rimasti nel Paese di origine continui ad essere forte e condizioni il modo di esperire la migrazione.

Storicamente la valutazione clinica del disagio psicologico manifestato dagli individui coinvolti all’interno del processo migratorio si è basata sul trauma della perdita e il processo di acculturazione accompagnato dal suo derivato psicologico, ovvero lo stress acculturativo. Per acculturazione si intende l’adattamento alla società ospitante attraverso l’adozione dei suoi usi e del suo sistema valoriale e la conseguente rinuncia a ciò che si è stati e ci si è lasciati alle spalle migrando. Subentrano dunque le sensazioni di sradicamento e di perdita, che trovano una risoluzione positiva solo nel caso in cui il migrante riesca a costruirsi una nuova identità all’interno della società ospitante. Si tratta di un processo doloroso, che mina profondamente i tratti identitari dei soggetti coinvolti, i quali sentono di non appartenere più alla loro cultura di origine, ma allo stesso tempo non trovano una collocazione all’interno del tessuto sociale del Paese ospitante. Ecco dunque che fa la sua comparsa lo stress acculturativo, che può causare disagio psicologico ma anche malessere fisico, portando a depressione, crisi di ansia e disturbi alimentari. Ora però, se le TIC possono connettere i migranti ai propri cari permettendo una condivisione

234 Aguila A. P. N., 2009, p. 100. 235 Hamel J. Y., 2009, p. 1.

177 di esperienze quotidiana, prima impensabile, il trauma derivante dallo sradicamento e dalla perdita va riconsiderato.

La pratica dell’instant messaging è un esempio fondamentale di come la comunicazione mediata stia rimodellando i rapporti a distanza perché crea una compresenza virtuale attraverso la quale i migranti e le loro famiglie sono costantemente a conoscenza di ciò che accade gli uni agli altri. Il sostegno finanziario, psicologico, emotivo, affettivo, possono essere agevolati attraverso le tecnologie di comunicazione 2.0. Nel suo studio “Transnational families and aged care: The mobility of care and the migrancy of ageing”,236 Loretta Baldassar conclude che le famiglie transnazionali riescono a fornire le stesse forme di caregiving delle famiglie che vivono unite: sostegno economico (attraverso le rimesse), pratico (attraverso la condivisione di esperienze e lo scambio di consigli), emotivo e affettivo (attraverso le forme multimediali di comunicazione che si ritengono più adatte a seconda dei casi) e alloggiativo (in primis durante le visite di persona, ma anche attraverso l’attivazione del network sociale che permette a coloro che si trovano nelle vicinanze di correre in soccorso ai soggetti bisognosi).

Dunque pare che oggi la psicologia dell’immigrazione debba concentrarsi non più sul trauma della perdita e sullo stress acculturativo, bensì sulle relazioni che intercorrono tra i migranti e la loro rete di contatti familiari transnazionali. I medici devono riconsiderare il ruolo della famiglia nei processi migratori e analizzare come la comunicazione tecnologicamente mediata arricchisca i rapporti parentali attraverso l'opportunità di una continua e ubiqua copresenza. Ciò porta anche a dovere riconsiderare la nozione di comunicazione vis a vis che non sottintende più la prossimità fisica degli interlocutori. Christian Licoppe, a questo proposito, sostiene: “communication technologies, instead of being used (however unsuccessfully) to compensate for the absence of our close ones, are exploited to provide a continuous pattern of mediated interactions that combine into `connected relationships’ in which the boundaries between absence and presence eventually get blurred”.237 Tutto ciò porta i soggetti coinvolti in un processo migratorio e le loro famiglie transnazionali a vivere in maniera meno traumatica la separazione. Di conseguenza, anche coloro che sono maggiormente fragili dal punto di vista psicologico ed

236 Baldassar L., 2007, pp. 275-297. 237 Licoppe C., 2004, pp. 135-136.

178 emotivo sono meno esposti al pericolo di cadere in depressione o di soffrire di un qualsivoglia tipo di disagio legato al distacco. E se anche mostrano segni di malessere il network parentale ha molta più facilità di captare i sintomi appena si manifestano e di correre ai ripari. In poche parole, il migrante non è più così solo, non dipende più da una rete di contatti sul posto che faccia le veci della famiglia che ha lasciato alle spalle perché questa continua a essere ben presente nella sua vita ed egli, da parte sua, continua a esercitarvi il suo ruolo. Ciò può avere ricadute positive anche sul processo di adattamento e di inclusione sociale nel Paese ospitante. Mantenere i rapporti con la famiglia e con il network amicale di origine non necessariamente è un modo per sublimare il desiderio di avere una vita sociale appagante. Può essere, anzi, il substrato affettivo che dona quella tranquillità necessaria ad aprirsi a nuove conoscenze, nella sicurezza che comunque vada si ha un porto sicuro in cui trovare rifugio.

Bacigalupe e Cámara raccontano la storia della famiglia Guzman, migrata negli Stati Uniti dal San Salvador. I membri di questa famiglia hanno intrapreso il processo migratorio uno ad uno, in momenti distinti nell’arco di una decina di anni, per poi riunirsi nel Paese ospitante. Hanno sempre usato i telefoni cellulari e il computer per comunicare quotidianamente con i loro parenti. Questi ultimi, non potendo disporre di un computer a casa, ricorrevano agli Internet café o ai computer di vicini e amici. Le TIC hanno reso loro possibile lo scambio di informazioni sulle possibilità di lavoro, la condivisione di foto, lo scambio di messaggi e la compartecipazione a eventi familiari rilevanti come un battesimo attraverso videoconferenza, a cui alcuni non avrebbero potuto essere presenti altrimenti per problemi di visto. Un paio di decenni fa, una famiglia come questa avrebbe probabilmente intrapreso il processo migratorio, ma non avrebbe potuto usufruire di una frequenza e di un’intensità di comunicazione tale. Tutto si sarebbe ridotto al lento scambio di lettere, a telefonate settimanali o bisettimanali e all’invio sporadico di rimesse. Niente di paragonabile alla quotidianità comunicativa permessa dalle tecnologie 2.0.

Decantare i pregi delle TIC non deve comunque impedire di analizzarne anche gli aspetti più controversi. Non tutti coloro che migrano desiderano rimanere in contatto continuo con la propria famiglia o con alcuni membri di essa. Ci sono persone che hanno lasciato il Paese di origine proprio per l’insorgere di conflitti familiari, per evadere dal controllo dei parenti e perseguire obiettivi non condivisi dalla comunità. Questi soggetti possono essere ostacolati dalle tecnologie di comunicazione 2.0 perché esse li rendono molto più

179 facilmente rintracciabili e localizzabili. Si pensi a coloro che sono scappati da violenze o persecuzioni e sono terrorizzati al pensiero che un post su Facebook possa rivelare la loro posizione geografica. Ma anche senza prendere in considerazione le situazioni di pericolo, le TIC possono rappresentare un’invasione nel privato e uno strumento con cui il network familiare può avanzare richieste di denaro e rimesse molto più insistentemente che in passato. Dunque queste tecnologie permeano sia in positivo, sia in negativo tutti gli aspetti del processo migratorio e trasformano la psicologia dei soggetti coinvolti e il modo in cui essi si relazionano tra di loro ed esperiscono la distanza.