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Il modello inglese multiculturale

Le politiche di integrazione britanniche hanno storicamente rappresentato l’antitesi delle politiche di integrazione francesi. Queste ultime, figlie dell’ideologia maturata con la Rivoluzione, si fondano su un concetto di cittadinanza che, in nome dell’egalité, esclude il discorso delle differenze dalla sfera pubblica. Agli antipodi di questa filosofia repubblicana si collocano le politiche britanniche le quali fanno leva proprio sul riconoscimento delle differenze sociali-culturali-etniche, basandosi su un approccio multiculturale. L’integrazione, all’interno di questo paradigma, non prevede un processo di acculturazione, ovvero di assimilazione ai valori nazionali della Corona, ma “semplicemente” l’accesso ai diritti della società britannica, che riconosce la pluralità culturale come una sua caratteristica. Questo atteggiamento è emerso all’indomani dello smantellamento dell’impero coloniale, all’epoca della Windrush che trasportava gli immigrati provenienti dalle Indie Occidentali. Il 22 giugno 1948 la nave approda a Tilbury, nell’Essex, con un carico di 492 passeggeri giamaicani pronti a cominciare una nuova vita nel Regno Unito. Essi rappresentano il primo grande gruppo di migranti trasferitosi nella Madre Patria dopo la Seconda Guerra Mondiale e simboleggiano l'inizio delle relazioni multiculturali che avrebbero cambiato il volto della società britannica di lì a poco. Nella memoria nazionale lo sbarco è tanto significativo da essere stato commemorato con l’intitolazione di un’area pubblica a Brixton chiamata Windrush Square nel 1998, il

129 cinquantenario dell'arrivo degli Indiani Occidentali. Ma basta un ventennio perché anche in seno all’accogliente Gran Bretagna inizino a manifestarsi correnti nazionaliste che vedono l’immigrazione come una minaccia all’integrità culturale e alla pacifica convivenza. Il 20 aprile 1968 Enoch Powell pronuncia il suo famoso discorso sui “Rivers of Blood” con cui minaccia il Paese con lo spettro dell'invasione di massa e della rivolta degli immigrati: “As I look ahead, I am filled with foreboding. Like the Roman, I seem to see ‘the River Tiber foaming with much blood’. That tragic and intractable phenomenon which we watch with horror on the other side of the Atlantic but which there is interwoven with the history and existence of the States itself, is coming upon us here by our own volition and our own neglect. Indeed, it has all but come. In numerical terms, it will be of American proportions long before the end of the century. Only resolute and urgent action will avert it even now. Whether there will be the public will to demand and obtain that action, I do not know. All I know is that to see, and not to speak, would be the great betrayal”.165

Nel 1971 The Immigration Act blocca tutta la principale immigrazione nera verso la Gran Bretagna. I cittadini del Commonwealth perdono il loro diritto automatico di rimanere nel Regno Unito, ovvero sono soggetti alle stesse restrizioni dei migranti provenienti dai Paesi non appartenenti all’Organizzazione Internazionale. Solo a coloro che possono documentare una parentela diretta o ancestrale con uno o più cittadini britannici viene riconosciuto il diritto alla residenza sul suolo della Corona. Nei dieci anni a seguire i rapporti tra neri e polizia diventano sempre più tesi e la situazione si inasprisce ulteriormente sotto il lungo governo di Margaret Thatcher di cui il British Nationality Act del 1981 manifesta l'aperto razzismo in quanto revoca il diritto alla cittadinanza britannica per tutti i figli degli immigrati, a eccezione dei figli di un genitore britannico per nascita. Figura cardine delle politiche conservatrici thatcheriane è il Ministro del lavoro Norman Tebbit che, oltre a essere passato alla storia come colui che ha fatto diventare illegale lo sciopero non preventivamente approvato a voto segreto dalla maggioranza dei lavoratori e ha reso i capi sindacali civilmente responsabili dei danni provocati dalle agitazioni, è noto per il cosiddetto “Tebbit Test”. Sul finire della sua carriera politica infatti, nel 1990, il conservatore ha proposto di imporre agli immigrati provenienti dai Paesi appartenenti al Commonwealth un giuramento di fedeltà alla squadra di cricket britannica affinché essi

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non sostenessero la propria squadra nazionale. Si tratta di una provocazione nei confronti di quegli immigrati provenienti da Paesi con una forte tradizione del gioco del cricket, naturalmente dovuta al colonialismo inglese: India e Pakistan in primis. Il cricket test è un'analogia della problematica collocazione fisica e mentale della casa per il migrante, quella che in inglese si chiama home. Si tratta del focolare domestico, del luogo del ristoro dove sentirsi coccolati e protetti. Ma è davvero possibile che il migrante si senta così nell'Inghilterra del cricket test? È molto più probabile che quella inglese non sia altro che una house, semplicemente un luogo in cui tornare la sera per dormire, stanchi dopo un'intensa giornata di lavoro; un luogo dal quale sognare di scappare un giorno, quel giorno in cui si potrà finalmente tornare vittoriosi a casa. Quella vera.

Dunque le politiche migratorie della Gran Bretagna non sono sempre state inclusive, ma hanno conosciuto epoche buie fatte di pesanti restrizioni e di un clima tutt’altro che accogliente nei confronti degli stranieri. I laburisti però hanno tenuto duro, soprattutto a livello locale, durante tutto il periodo in cui i conservatori sono stati al governo, spingendo in avanti l'agenda anti-razzista, promuovendo il coinvolgimento di alcuni membri dei gruppi etnici minoritari nelle istituzioni locali e lanciando iniziative per promuovere l’incontro tra autoctoni e comunità di migranti. La politica locale ha grosso peso in Gran Bretagna e il fatto che la stragrande maggioranza dei migranti si sia stabilita nelle grandi città industriali del Paese e in primis dell’Inghilterra, ha reso quello urbano il contesto principale in cui si sono affrontate le questioni inerenti l’etnicità. Questo ha comportato la partecipazione delle minoranze etniche alle discussioni politiche e quindi la socializzazione dei migranti con la popolazione locale, nonché l'inserimento di alcuni loro rappresentanti negli organi amministrativi. Tutto ciò naturalmente ha giocato un ruolo di primo piano nell’inserimento sociale dei gruppi minoritari, rendendo le città inglesi quel composito puzzle di comunità che ne ha fatto un esempio di multiculturalismo in tutto il mondo. Tuttavia, all'inizio del nuovo millennio, gli esponenti politici del New Labour Party hanno dovuto mettere in discussione il lavoro svolto dopo i riot che sono scoppiati nel nord ovest dell’Inghilterra. Tutto ha avuto inizio a maggio del 2001 con una serie di tafferugli a sfondo razziale ad Oldham, una cittadina inglese a forte impatto industriale. Di lì a poco i disordini hanno interessato anche altri centri tra cui Leeds, dove nel quartiere periferico di Herehill, abitato in gran parte da migranti asiatici occupati nell’industria tessile, viene arrestato un uomo di origini bengalesi per un’infrazione al codice stradale. L’episodio

131 suscita l’ira della sua comunità di connazionali e si scatena una guerriglia con le forze dell’ordine le quali, a detta di alcuni, sono ree di avere riservato all’arrestato un trattamento particolarmente crudele picchiandolo e sedandolo con uno spray.166 L’8 luglio è la volta di Bradford, nella notte iniziano i primi scontri che si protraggono nella cittadina per diversi giorni. La miccia è innescata da una manifestazione non autorizzata di estrema destra indetta per sostenere la “supremazia bianca”. La comunità asiatica, composta prevalentemente da cittadini bengalesi e pakistani, si mette in marcia a sua volta per protesta e quando i due gruppi si incontrano è guerra a colpi di coltello, mazze da baseball e bottiglie incendiarie.167 I disordini continuano a portare devastazione e paura nelle strade per tre giorni al termine dei quali si contano 65 persone arrestate e 160 poliziotti feriti. Tutti questi riot sono motivati dall’odio razziale e dal conseguente malessere delle comunità nei confronti delle quali tale odio si manifesta. Coinvolgono i centri industriali dediti al settore tessile dove la stragrande maggioranza degli abitanti stranieri o di origine straniera sono asiatici, bengalesi e pakistani impiegati come operai nelle fabbriche. Essi vivono nelle periferie degradate, luoghi in cui le possibilità di integrazione e di incontro con gli autoctoni sono scarse e quelle di mobilità sociale ancora di più. Bertossi nella sua analisi comparata delle politiche migratorie del Regno Unito e della Francia,168 riporta quanto affermato nella relazione della commissione del Ministero degli interni inglese guidato da Ted Cantle, che alla fine del 2001 ha cercato di analizzare le ragioni dell’escalation di violenza tra la comunità asiatica e la polizia. Il rapporto descrive enclave di minoranze etniche che conducono vite parallele rispetto agli autoctoni, che hanno scarsa conoscenza della lingua inglese e sono inclini a perpetuare pratiche culturali proprie del contesto di origine tra cui i matrimoni combinati con spose provenienti dai rispettivi Paesi. Ciò non fa che concorrere ad allontanare gli individui appartenenti a tali comunità dai valori che costituiscono la Britishness. Ecco quindi che emerge il tema della coesione sociale e che il problema dell'integrazione è percepito come una mancanza di senso civico e di adesione al comune sistema valoriale occidentale. Ne scaturisce una nuova agenda che pone particolare enfasi sulla cittadinanza attiva, plasmata sul concetto di “living together” e sulla promozione del senso di appartenenza nazionale. Questo è un netto cambiamento di

166 La Repubblica, 06/06/2001. 167 La Repubblica, 08/07/2001. 168 Bertossi C., 2007.

132 paradigma, un allontanamento dalle posizioni liberali storicamente sostenute dai laburisti, i quali hanno strenuamente difeso le specificità culturali delle comunità minoritarie, ritenendo la diversità una fonte di ricchezza da preservare piuttosto che un problema che potesse inficiare le relazioni interetniche sul luogo di lavoro, nelle scuole e nei rapporti di vicinato.

Il nuovo approccio che potremmo definire “repubblicano”, in quanto fa da eco a quello francese, è stato manifestato apertamente nel 2004 da Trevor Phillips, il presidente dell’allora Commission for Racial Equality, oggi riconfigurata nella Equality and Human Rights Commission (EHRC). Egli, ultimo di 10 fratelli, nato a Londra da genitori emigrati nel 1950 dalla Guyana britannica, ha sottolineato l'importanza della condivisione degli stessi valori civici come elemento di base per la pacifica convivenza tra i popoli, lamentando che il modello di integrazione britannico è stato per troppo tempo poco attento a questo aspetto. Sul World Socialist Web Site Ann Talbot commenta scrivendo: "Trevor Phillips [...] has called for an abandonment of Britain’s traditional “multicultural” approach to race relations”.169 Il multiculturalismo viene additato come un modello fallimentare anche dall’ex Primo Ministro David Cameron, secondo il quale la Gran Bretagna ha assunto una “tolleranza passiva” nei confronti dei migranti, tanto che il multiculturalismo ha lasciato troppo spazio alle minoranze portando alla nascita di realtà sociali connotate dal punto di vista etnico e culturale che non si sono integrate nel tessuto locale. Sempre secondo Cameron questo modo di operare ha indebolito l’unità nazionale permettendo al fondamentalismo islamico di fare breccia nel Paese.170 Il riferimento è chiaramente agli attentati di Londra del 2005 e ad altri attacchi isolati che si sono succeduti negli anni. La ferita più grande in termini di vite spezzate (52), è quella del 7 luglio 2005 quando alle 8.50 di mattina esplodono tre bombe rispettivamente nei pressi delle stazioni della metropolitana di Aldgate, King’s Kross e Edgware Road. Un’ora dopo esplode una quarta bomba a bordo di un autobus a due piani a Tavistock Place.

Gli attentatori sono quattro ragazzi di origini arabe e giamaicane, ma di nazionalità britannica. Tre di loro sono nati e cresciuti in Gran Bretagna, dove conducevano vite apparentemente tranquille prima di avvicinarsi all’islam fondamentalista. Per il Regno Unito questo è il segno lampante che il modello di integrazione inglese va messo in

169 Talbot A., 01/05/2004. 170 Il Post, 05/02/2011.

133 discussione. Sulla stessa linea del premier uscente David Cameron, che propone la promozione dei valori britannici come portatori di libertà civile e politica, procede Theresa May, il Primo Ministro super conservatore subentrato all’indomani della vittoria della Brexit. May si pone in modo particolarmente duro nei confronti dell’immigrazione. Nel 2012 è stata fautrice di un nuovo testo che ha imposto un tetto minimo di reddito agli immigrati non europei nel Regno Unito: dopo 5 anni nel Paese o guadagni almeno 45mila euro all'anno o devi tornare a casa. E riguardo all’immigrazione illegale la sua posizione è stata netta; su un manifesto elettorale da lei voluto nel 2013 e poi ritirato a causa delle critiche suscitate, a fianco di un paio di manette campeggiava la scritta: “In the UK illegally? Go home or face arrest”.171 Questa linea durissima si riverbera attualmente sui migranti accampati a Calais nel tentativo di imbarcarsi per raggiungere le coste inglesi. La Gran Bretagna pare intenzionata a costruire un muro proprio per impedire loro di oltrepassare la Manica. Il campo, o meglio "la giungla" di Calais, come viene denominato da chi ci vive, è stato smantellato a fine ottobre, ma ci sono ancora gruppi di migranti che resistono, incuranti delle ruspe. Tra di loro un migliaio e mezzo sono minori non accompagnati per i quali il governo francese ha allestito dei container. Essi dichiarano di avere famiglia nel Regno Unito e dunque rivendicano il loro diritto di essere ricongiunti ai propri cari. Finora il governo inglese ne ha accolti poco più di 300, nonostante i numerosi appelli da parte degli esponenti di sinistra del governo francese e anche del presidente Hollande.