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L’influenza di Massey nei migration studies

Analizzando i processi migratori all’interno della cornice teorica della complessità possiamo affermare che le migrazioni sono fenomeni sociali complessi in cui agiscono tre principali attori:123

- le società di origine con le loro capacità o meno di offrire benessere, libertà e diritti ai propri cittadini e con politiche più o meno favorevoli all’espatrio per ragioni di lavoro da parte della popolazione;

- i migranti attuali e potenziali con le loro aspirazioni, progetti e legami sociali; - le società riceventi sotto il duplice profilo della domanda di lavoro e delle modalità

d’accoglienza, istituzionale e non, dei nuovi arrivati.

Proprio gli atteggiamenti e le scelte politiche delle società ospitanti appaiono oggi sempre più decisivi nel condizionare i processi di migrazione, le modalità con cui i migranti raggiungono i Paesi di destinazione, le forme di inclusione attuate in questi e i network sociali che si istituiscono tra i migranti e tra di essi e i cittadini autoctoni. La social network theory può dare un grande contributo nell’indagare questi aspetti e infatti è stata già ampiamente utilizzata nello studio delle migrazioni. La letteratura presenta un ampio corpus di ricerche sul ruolo che le reti sociali svolgono nel dare inizio e continuità ai flussi migratori.124 Gli studi però si sono concentrati particolarmente sul ruolo delle reti familiari

122 Allen P. M., McGlade J. M., 1988, p. 277. 123 Ambrosini M., 2011, p. 18.

124 A questo proposito si consiglia di leggere:

- Fawcett J.T., Networks, linkages and migration systems. International migration rewiev, 23(3), (pp. 671-680), 1989.

- Gurak D. T., Caces F., Migration networks and the shaping of migration systems, in M. M. Kritz (Ed) International migration systems: a global approach, (pp. 150-176), Oxford: Clarendon Press, 1992.

- Massey D. S., Arango J., Graeme H., Kouaouci A., Pellegrino A., Taylor J.E., Theories of

international migration: a review and appraisal. in Population and development review, 19(3),

90 e comunitarie nel mediare tra particolari aree di provenienza e determinati Paesi di destinazione. Questo è dovuto alla grande influenza avuta dalla cosiddetta teoria della cumulative causation di Douglas Massey. Il professore americano di sociologia della Woodrow Wilson School of Public and International Affairs, presso l’Università di Princeton, New Jersey, assieme alla sua cerchia di collaboratori, elabora questo modello interpretativo in Return to Aztlan,125 dove analizza le dinamiche della migrazione messicana negli Stati Uniti. La cumulative causation theory è in sostanza la teoria delle catene migratorie, secondo cui i flussi sono originati dall’iniziale movimento di alcuni pionieri, che una volta arrivati a destinazione e inseritisi nel tessuto socio-economico del Paese ospitante diventano i punti di riferimento per coloro che intendono intraprendere il processo migratorio. I pionieri fungono dunque da mediatori della migrazione di amici e familiari i quali possono contare sul loro aiuto economico, sulla loro assistenza e sulla loro ospitalità. Grazie a questo capitale sociale i costi della migrazione si abbassano, i flussi migratori continuano al di là dell’iniziale movimento dei pionieri e si autosostentano perpetuandosi.

La teoria di Massey poggia essenzialmente su 6 principi:

- un processo migratorio ha inizio solo se avvengono un numero di cambiamenti strutturali complementari che interessano sia i Paesi di origine, sia i Paesi di destinazione;

- i supporti infrastrutturali a beneficio dei migranti provengono dal tradizionale network di legami che essi intrattengono con la propria comunità di appartenenza (hometown);

- mano a mano che i primi migranti si ambientano alla realtà sociale del Paese ospitante altri migranti sono più inclini a raggiungerli;

- Massey D. S., Arango A., Hugo G., Kouaouci A., Pellegrino A.,Taylor J. E., Worlds in motion:

understanding international migration at the end of the millennium. Oxford, Clarendon Press, 1998.

- Pellegrino A., Migration from Latin America to Europe: trends and policy challenges, Geneva, IOM research series No. 16, 2004.

- Tsuda T., The permanent of “temporary” migration: the “structural embeddeedness” of Japanese-

Brazilian immigrant workers in Japan, in Journal of Asian studies, 58(3), (pp. 687-722), 1999.

91 - la migrazione può autosostenersi e perpetrare se il network fornisce le risorse necessarie allo scopo, anche qualora le condizioni che hanno fatto sbocciare il fenomeno migratorio non siano più in essere;

- quando una comunità di migranti che proviene da una medesima hometown inizia ad essere numericamente molto presente e si stabilizza in una determinata regione, i nuovi migranti provenienti da quella stessa hometown possono contare su una rete di contatti più influente all’interno della diaspora;

- un network può espandersi ulteriormente quando e se i migranti fanno ritorno al Paese di origine perché essi portano con sé informazioni da condividere con la propria comunità a proposito del processo migratorio.

Questa teoria ha il limite di essersi concentrata quasi esclusivamente sul ruolo degli hometown actors, ovvero sul ruolo degli attori endogeni quali amici e familiari, coloro che condividono legami parentali o comunitari, senza considerare invece il ruolo degli attori esogeni tra i quali le istituzioni, le politiche migratorie e i datori di lavoro nel favorire i processi migratori. Gli attori esogeni vengono presi in considerazione solamente nel primo principio che riguarda lo starting point del processo migratorio, dopodiché non vengono più menzionati, come se non fossero determinanti anche nello sviluppo e nel perpetuarsi del processo. Le politiche migratorie influenzano enormemente i flussi di migranti, soprattutto di quei migranti economici che sono proprio l’oggetto di studio di Massey. Il suo modello infatti nasce per spiegare le migrazioni dei lavoratori messicani negli Stati Uniti ed è stato poi preso come paradigma per dare ragione dei fenomeni migratori dettati da motivi economici tout court, inserendosi nel filone di teorie Push-Pull. Queste individuano come elementi scatenanti i processi migratori i cosiddetti fattori di spinta (push factors) e i fattori di attrazione (pull factors).

Tra i primi vengono annoverati generalmente:

- le condizioni di sottosviluppo, miseria, sottoalimentazione;

- le persecuzioni personali di genere, di orientamento sessuale, politico o religioso; - le guerre e le situazioni di conflitto;

- la mancanza di lavoro e la difficoltà di realizzazione personale; - le catastrofi naturali e le emergenze di carattere ambientale.

I pull factors di contro sarebbero invece quegli elementi che attraggono coloro che si trovano in una condizione svantaggiata ovvero:

92 - il progresso, la ricchezza e il benessere;

- la democrazia e la libertà di espressione; - la stabilità politica e la pace;

- le possibilità lavorative e di realizzazione personale; - la presenza di amici e parenti.

Dunque, secondo questo schema, i fenomeni migratori sono causati fondamentalmente da situazioni di criticità vissute nei Paesi di origine che provocano nelle persone il desiderio, se non la necessità, di spostarsi verso Paesi in cui potere vivere dignitosamente. È una lettura alquanto semplicistica alla quale sottende certamente un fondo di verità, ma che non riesce a dare conto della complessità del fenomeno, perché non tiene in considerazione la dimensione politico-istituzionale, con la regolazione stringente degli ingressi legali e il ruolo delle politiche di ammissione. Se trasposta al caso europeo, essa si concentra sull’attrazione provocata dal mito dell’Occidente ricco e forte, veicolato dai mezzi di comunicazione di massa. In sostanza questa teoria ritiene che il mondo dell’informazione e della comunicazione sia responsabile di creare quell’immagine di Europa El Dorado che spinge i migranti a imbarcarsi verso le nostre coste e a morire nel nostro mare e la diffonda in base al modello di Torsten Hägerstrand: per espansione, per spostamento oppure per espansione e spostamento allo stesso tempo. Il geografo svedese, conosciuto per i suoi studi sulla diffusione spaziale e sulle migrazioni, nella diffusione per espansione individua un'area forte dove viene creato il fenomeno che nel tempo si espande in territori sempre più ampi a macchia d’olio. La diffusione per spostamento, invece, è tipica dei movimenti migratori che trasferiscono con sé, in aree diverse, lontane dal luogo originario, il fenomeno. Nella diffusione per espansione e spostamento si ha la combinazione dei due pattern precedenti.

Dunque, se applichiamo questo modello all’azione dei mezzi di informazione e di comunicazione, il parallelo è lampante. Essi creano il mito di progresso attraverso immagini allettanti, al pari di certe pubblicità dove tutte le famiglie sembrano svegliarsi con il sorriso e la tavola imbandita di ogni ben di Dio. Tramite canali sempre più potenti di diffusione di massa, quali le attuali tecnologie digitali, “colonizzano” l’immaginario collettivo ben al di là dei confini nazionali. In tal modo creano in coloro che vivono in una situazione svantaggiata e anelano a tutto ciò che i mezzi di informazione e di comunicazione veicolano (super cars, vestiti alla moda, ma anche semplicemente un

93 frigorifero pieno di vivande o ancora più semplicemente una casa con un frigorifero o più semplicemente ancora una casa), il desiderio di migrare per ottenerlo, per diventare parte di quella vetrina e non essere più “poveri passanti” a cui non resta altro che guardare ciò che non possono permettersi. Ora, sicuramente c’è chi migra perché è attratto in primis dall’immagine di Europa El Dorado, ma è evidente che questo modello è estremamente riduttivo e non tiene conto della molteplicità di motivazioni che spingono le persone a migrare. Inoltre, così come i mass media veicolano utopie, veicolano altrettanto le immagini che ritraggono i barconi carichi di migranti stipati come le sardine, i cadaveri che galleggiano nel mare, la disperazione di chi durante il viaggio ha perso una persona cara. No, non possiamo credere che sia l’immaginario collettivo a essere distorto, i migranti sanno, sanno le loro famiglie, sanno i loro amici. Se non tutti, sanno in tanti e non si fermano comunque. Né i cosiddetti migranti economici, né i cosiddetti migranti forzati. Alla luce di ciò, nei paragrafi seguenti vedremo alcuni studi che propongono metodologie di analisi alternative allo studio dei fenomeni migratori.