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Verso il superamento del digital divide e coinvolti nella digital inequality

Parlare di polymedia sottende una condizione privilegiata per cui gli utenti hanno il lusso di potere scegliere quale mezzo di comunicazione utilizzare a seconda di criteri che non hanno nulla a che vedere con problemi di accessibilità e di costi. Un contesto in cui i mezzi di comunicazione vanno considerati come un ambiente integrato di affordance e di proprietà da sfruttare nella gestione delle relazioni sociali.

Il concetto di affordance è stato introdotto alla fine degli anni ’70 dallo psicologo statunitense James Gibson nell’opera “Un approccio ecologico alla percezione visiva”. Con affordance Gibson intende la qualità fisica di un oggetto che suggerisce a un essere umano le azioni appropriate per manipolarlo. Più alta è l’affordance più sarà intuitivo l’utilizzo di un dispositivo. Ad esempio l’aspetto di una maniglia fa intuire automaticamente come va aperta una porta (se tirata, spinta, fatta scorrere). Spostando il discorso ai mezzi di comunicazione digitale possiamo dire che l’affordance di un sito, di un social media, di una app è ciò che comunemente chiamiamo usability.

Lo shift da problemi di accessibilità a problemi legati all’affordance nella scelta degli strumenti digitali da utilizzare è conseguenza della proliferazione delle possibilità di comunicazione, soprattutto attraverso dispositivi mobile, che sta interessando via via anche il cosiddetto Terzo Mondo. Ad ogni modo è opportuno specificare che la polymedia per molti resta un obiettivo da raggiungere più che una realtà di fatto. Nella maggior parte dei Paesi di origine dei migranti la penetrazione di Internet è ancora piuttosto bassa. Secondo i dati della ITU (United Nations specialized agency for information and communication), aggiornati al 2014, la Nigeria è il Paese con il più alto tasso di popolazione che ha accesso a Internet (42,68%) fra quelli di provenienza. I Paesi di transito presentano invece percentuali più elevate che si attestano oltre il 50%.

74 D’altro canto la percentuale di penetrazione dei social media è massiva. In particolare in Nigeria ed Egitto si attesta al di sopra dell’80% (confronto al 73% degli Stati Uniti) e ciò a conferma che i social media giocano un ruolo fondamentale nel modo in cui le persone che hanno accesso a Internet si informano e comunicano.

75 È interessante infine evidenziare quali sono i social media maggiormente utilizzati nei Paesi di origine e in quelli di transito. Facebook regna sovrano assieme a YouTube, Twitter, LinkedIn e Instagram. Un discorso a parte merita l’uso dei social media in Iran in quanto la maggior parte di essi è sotto censura e quindi gli utenti ripiegano su piattaforme

76 meno note tra cui Facenama e Aparat. Ad ogni modo, molti iraniani riescono ad accedere ai network tradizionali attraverso la connessione VPN.

Per concludere è importante considerare la moltitudine di blog e di forum che, nonostante non possano competere a livello di percentuali di utilizzo con i social media più noti, sono comunque una risorsa importante per gli scambi comunicativi e il reperimento di informazioni.

Tutto ciò ha portato gli studiosi a riformulare il problema del digital divide in digital inequality, ovvero il focus si è spostato da problemi di accessibilità a problemi di alfabetizzazione digitale e quindi di abilità nell’utilizzo delle TIC (tecnologie dell’informazione e della comunicazione). Nel report della Russell Sage Foundation Inequality project’s Harvard meeting Summer 2001 leggiamo: “The pressing question now is less ‘who can find a network connection from which to log on?’ than ‘what are people doing and what are they able to do when they go online?’”.109 Quindici anni fa già si

sentiva l’esigenza di investire sull’alfabetizzazione digitale perché questo era il nuovo grande scoglio che determinava la digital inequality. E a quanto pare resta ancora

77 parecchia strada da fare e non solo nel Sud del pianeta. Un esempio lampante di questo lo abbiamo in casa nostra. Personalmente ho trovato curioso che nel 2016, a più di quindici anni dalla nascita di Internet, la Rai abbia deciso di produrre “Complimenti per la connessione”, lo spin-off di una popolare fiction televisiva, dedicato all’alfabetizzazione 2.0. Alle 20:30, subito dopo il telegiornale, gli italiani possono prendere appunti sull’ABC del web. Le lezioni spiegano che cos’è Internet, che cos’è un’e-mail, che cos’è lo spam. Ogni concetto è espresso con una metafora su misura: Internet è una ragnatela, l’e-mail è un piccione viaggiatore velocissimo, la casella di spam è una collaboratrice domestica che fa pulizia. Certamente il target a cui si rivolge è un pubblico anziano e quindi meno propenso a conoscere il web, ma è comunque rappresentativo di un knowledge gap che fa della digital inequality una realtà di fatto in ambito italiano e quindi anche europeo.

Tornando a volgere lo sguardo sulle pratiche digitali dei migranti secondo i sociologi Harry H. Hiller e Tara M. Franz è possibile individuare differenti usi di Internet nelle diverse fasi del processo migratorio. Tale processo viene suddiviso in pre-migrant, post- migrant e settled migrant. La prima fase (pre-migrant), è quella in cui ancora non è stato intrapreso il viaggio, ma si inizia a considerare l’ipotesi di migrare e quindi si comincia a pianificare il viaggio. In questa fase l’uso di Internet è particolarmente utile per reperire informazioni riguardo al Paese di destinazione e a come raggiungerlo, stabilire contatti sul posto, ottenere aiuti e assistenza da parte di coloro che già si trovano nel Paese ospitante. Internet è quindi un search tool che dà l’opportunità di tessere i cosiddetti weak ties, i legami deboli, che servono per accrescere il proprio capitale sociale e quindi aumentare le proprie possibilità di riuscita nel processo migratorio. Si tratta di una fase puramente strumentale in cui l’uso di Internet e delle chat è particolarmente utile in opposizione all’uso della linea telefonica che presuppone un tipo di relazione con l’interlocutore più intima e già avviata.

La seconda fase (post-migrant), è quella di cui il migrante ha già intrapreso il viaggio e si trova nel Paese ospitante da meno di cinque anni. In questa fase l’uso di Internet è duplice: si tratta di uno strumento atto a inserirsi nel tessuto sociale del Paese ospitante (utile per la ricerca del lavoro, della casa, ecc.) e allo stesso tempo di uno strumento per mantenersi in contatto con la propria comunità di origine. In questa fase quindi si tratta di continuare a tessere i weak ties, ma anche di mantenere gli strong ties, ovvero i legami sociali forti di parentela e amicizia con la comunità di origine. È qui che inizia a manifestarsi la nostalgia

78 nei confronti del proprio ingroup e che le tecnologie di informazione digitale svolgono il loro ruolo di strumenti di intermittent remote presence.110 Il migrante riesce a sentirsi di nuovo a casa tramite le videochiamate: “It is great because while I’m not there, it sort of makes me feel I’m there”.111 La peculiarità delle tecnologie di informazione e comunicazione (TIC) è che creano un ambiente tanto persuasivo tale per cui la comunicazione viene percepita come non mediata. Il cyberspazio diventa così carico di densità emotiva attraverso fotografie, video, chat da sfociare nella già citata iperrealtà dove “the virtual community and the real community are blended in absentia”.112

La terza fase (settled migrant), è quella in cui il migrante si è stabilizzato nel Paese ospitante e si stima che questo avvenga dopo almeno cinque anni in cui vi vive. L’uso di Internet a questo punto è quasi unicamente finalizzato al mantenimento degli strong ties e anche alla riscoperta dei lost ties, ovvero dei legami persi. In questa fase emerge non solo la voglia di mantenersi in contatto con i propri cari, ma anche il desiderio di riscoprire antiche amicizie o antichi legami di parentela attraverso piattaforme che cercano di mettere in contatto familiari dispersi o che ricostruiscono genealogie. Mentre i weak ties sono generalmente di tipo utilitaristico e strumentale, gli strong ties sono di tipo affettivo e infine i lost ties sono di tipo espressivo ed emotivo. Questi ultimi hanno a che vedere con il senso di appartenenza, con il desiderio di scoprire e mantenere le proprie radici, con la volontà di combattere la paura di perdersi nella società ospitante della quale non ci si sente parte se non in modo assolutamente marginale.

Quello che emerge da questa analisi, dunque, è che Internet e le TIC sono uno strumento di empowerment per il migrante, ma allo stesso tempo possono essere uno strumento di isolamento e quindi di ghettizzazione. La connettività è una risorsa importante, ma se indirizzata unicamente al mantenimento dei rapporti con la comunità d’origine può portare a una chiusura virtuale nell’ingroup da parte del migrante, sublimando addirittura la sua voglia di socialità. Più avanti nel corso di questo studio verrà elaborato quest’ultimo punto attraverso l’analisi della ricerca svolta da Marianne Brekke.

110 Diminescu D., 2008, p. 572. 111 Hiller, Franz, 2004, p. 741. 112 Ibid., p. 745.

79 Capitolo 3

Approccio teorico

[…] la rete nel suo complesso si può considerare un insieme di aggregati all’interno dei quali gli elementi sono fortemente connessi,

come accade in un gruppo di amici.113