• Non ci sono risultati.

Il mutevole rapporto tra psichiatria e diritto

CUSTODIRE O CURARE?

3.1 Il mutevole rapporto tra psichiatria e diritto

Il

problema dei rapporti tra psichiatria e diritto è andato profilandosi, secondo angolazioni diverse e spesso concorrenti.

L’analisi può iniziare dall’emanazione del Codice penale del 1930, e delle interazioni tra le due branche in oggetto, per comprendere come nel corso degli anni, da una stretta correlazione si è passati ad una notevole distanza tra le due. All’epoca del Codice, psichiatria e diritto si muovevano secondo prospettive comuni di difesa sociale, realizzando un sistema di controllo rigido e stereotipato. Si può apprezzare il connubio anche dall’unitaria visione della malattia mentale, infatti la psichiatria aveva una visione positivista e organicista della malattia mentale ed il legislatore del 1930 l'’aveva fatta propria. Nel caso specifico di un soggetto che aveva commesso un reato, si ricorreva alla perizia solamente in caso di palese anormalità, accertamento di una della categorie nosograficamente definite e presenza del vizio di mente, al perito era riconosciuto più che altro un ruolo di etichettamento del soggetto.

53

I positivisti67, infatti, consideravano la malattia mentale alla pari di ogni altra malattia organica ed in merito al trattamento terapeutico, l’infermo psichico era ricoverato in manicomio dove avrebbe dovuto rimanervi fino a che non fosse guarito, ciò comportava per l'approssimazione e la scarsa adeguatezza degli interventi curativi, una reclusione a vita. I “pazzi” dovevano essere curati ma anche allontanati ed isolati dalla società, in quanto ritenuti irresponsabili e pericolosi. Tuttavia, negli ultimi decenni, si è assistito ad una frattura dei rapporti tra le due scienze e ad un mutamento dell’utilizzo della psichiatria nel diritto penale. La psichiatria inizia un processo che la porterà a rigettare la visione della malattia mentale ed i vecchi sillogismi positivisti, avvertendo il disagio culturale di trovarsi ingabbiata nella maglie strette e rigide del diritto, basato questo si, ancora sulla visione positivista. Inizia a cambiare la visione del malato, considerato non più come alieno, ma soggetto che è parte integrante della società, con la necessaria rottura del parallelismo malato di mente/incapacità di intendere e di volere68.

Arriva sulla scena il movimento dell’anti-psichiatria69, approccio antitetico rispetto a quello positivista, nega l'esistenza stessa della malattia mentale e ritiene sempre imputabile lo psicotico.

Sulla scia ed il progresso delle teorie anti-psichiatriche, la psichiatria, in un’ottica responsabilizzatrice del reo folle, raggiunge un punto fermo, ovvero la valutazione della maggiore o minore conservazione dell’integrità della personalità, quando è possibile ravvisare la non totale destrutturazione di questa si può ammettere che residui uno

67 Per un approfondimento delle tesi positiviste, vedi infra par. 1.1.2, cap. I.

68 DE VINCENTIIS G., CALLIERI B., CASTELLANI A., Trattato di psicopatologia

e psichiatria forense. Vol. I, Il pensiero scientifico, Roma, 1972-1973.

54

spazio per una scelta volontaria e consapevole di commissione del reato.

Non si tratta di un riconoscimento a priori dell’imputabilità dell’infermo psichico, come quello dell'antipsichiatria, ma di meglio osservare il soggetto, per evitare che la pronuncia di non imputabilità peggiori una situazione recuperabile.

3.1.1 Perizia psichiatrica ed incidenza sulle fasi del

processo penale

In merito alla perizia psichiatrica nell’ambito che a noi riguarda, è una fase fondamentale nel momento accertativo della presenza e/o persistenza del vizio di mente, sia esso totale o parziale.

Vale la pena fare una considerazione iniziale, per anni si è assistito ad un appiattimento della giurisprudenza di merito rispetto alle rilevazioni peritali e ciò sia perché è mancata e manca una preparazione universitaria e professionale dei magistrati sulle tematiche psichiatriche e psicopatologiche, sia perché da sempre i magistrati hanno preferito ricorrere ad un’ampia delega a favore dei periti chiamati ad esprimere il loro parere nelle varie fasi del processo penale, quindi, sia nella fase di cognizione che nella fase esecutiva.

Rispetto alla validità della perizia, negli ultimi anni, sono stati sollevati diversi dubbi, in virtù dell’assenza di una metodologia consolidata nell’indagine svolta dai periti forensi e della mancanza di procedure standardizzate tali da permettere un controllo esterno e rendere la

55

perizia al pari livello della prova scientifica, ovvero “quel tipo di conoscenza che ha per oggetto i fatti della natura, è ordinata secondo delle regole generali denominate leggi scientifiche collegate fra loro in modo sistematico”, tale prova accoglie un metodo controllabile dagli studiosi nella formazione delle regole, nella verifica e nella falsificabilità delle stesse70.

Come ho già ampiamente trattato nel primo capitolo, la valutazione della pericolosità consta di diverse fasi. Per quanto riguarda la prima, la diagnosi del disturbo mentale, attualmente prevale un modello plurifattoriale di tipo bio-psicosociale definito anche “paradigma integrato”, basato su elementi in grado di garantire ai giudici, almeno nella prima fase del giudizio, un contributo dotato di validità scientifica. La seconda fase relativa alla valutazione dell’incidenza del disturbo sulla capacità di intendere e di volere del soggetto agente, si rivela la più problematica, infatti, parte della dottrina sostiene che tale accertamento debba essere di esclusiva pertinenza del giudice, che tuttavia non dispone di strumenti conoscitivi completi ed adatti alla valutazione. Questo porta altra parte della dottrina a ritenere che la fase debba essere affidata ad esperti del settore, che però si trovano in difficoltà per le richieste a cui sono sottoposti, gli si richiede spesso di effettuare valutazioni circa la responsabilità dell’autore di reato, che attengono più all’area interpretativa che a quella dei dati empirici71.

L’importante fase esecutiva-trattamentale, benché richiederebbe anch’essa le competenze di psichiatri e psicologi, ne è totalmente mancante. In effetti, un parere circa il programma di trattamento non è neanche posto al perito nel nostro ordinamento, allo psichiatra si chiede

70 DOMINIONI O., La prova penale scientifica. Gli strumenti scientifico-tecnici nuovi

o controversi e di elevata specializzazione, Milano, Giuffrè, 2005, pag. 137.

71 SALVINI A., RAVASIO A., DA ROS T., Psicologia clinica giuridica, Giunti

56

di pronunciarsi su questioni che sono prettamente giuridiche: l'imputabilità e la pericolosità sociale.

Questa scissione tra fase peritale e successiva fase trattamentale, conduce ad un trattamento in assenza totale del perito e su base di automatismi fondati sulla considerazione della gravità del fatto di reato, sulla pericolosità ma non sulle condizioni psicopatologiche e cliniche del soggetto.

Negli ultimi anni, si è assistito tuttavia, ad uno sforzo sia psichiatrico che giurisprudenziale, di ricorso a modelli più standardizzati di valutazione dei disturbi psichici. Sono sempre più numerose le sentenze, che per avvalorare la presenza di un disturbo, richiamano manuali diagnostici, come il DSM, al quale si attribuisce valore scientifico e che permette agli esperti la possibilità di utilizzare un linguaggio comune72. Tuttavia l’utilizzo dei manuali diagnostici, concerne solo la fase dell’accertamento e della classificazione del disturbo, lasciando scoperta la delicata fase della valutazione dell’incidenza del disturbo sulla capacità d’intendere e di volere del reo73.

72 Un riferimento al DSM è contenuto anche nella Sentenza n. 9163/2005 delle Sezioni

Unite, nota come “Sentenza Raso”, al punto 16.

73 COLLICA M. T., Il riconoscimento del ruolo delle neuroscienze nel giudizio di

imputabilità,nota a G.i.p. Como, 20.5.2011, Est. Lo Gatto (primo riconoscimento della validità delle neuroscienze per l'accertamento dell’imputabilità), reperibile in

57