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Il paesaggio umano

Nel documento Il Castello di Sorana (pagine 40-48)

La valle mostra una successione di tipi di paesaggio corrispondenti a specifiche forme di civiltà agraria: la “ civiltà del castagno” sfuma, dai monti selvosi, nella policoltura della mezzadria poderale. Intorno alle castella più montane – Pontito, Stiappa – le corone agricole si presentano nette, ritagliate nelle selve a castagni; scendendo di quota, intor- no a Sorana, Vellano, Medicina, le aree dei coltivi si allargano e i loro confini si sfrangia- no a detrimento dei boschi. Nei fondovalle, stretti ed ombrosi, è relegata l’orticoltura e l’arte molitoria.

Il carattere morfologico che accomuna, nella loro varietà, i paesaggi umani della valle è la fitta successione di terrazzamenti – i “ replicati cigli” – che ne modellano i versanti. “ I colli delle vallecole – si legge nella Valdinievole illustrata– sebbene non molto elevati, sono tuttavia assai ripidi, per cui la cultura della vite e dell’olivo si pratica in essi median- te piani o scaglioni orizzontali, simmetricamente disposti e sostenuti da ciglioni di terra o da muriccie a secco, con fossette alla parte inferiore, per dare alle acque uno scolo oppor- tuno. Queste aree irregolari, limitate per lo più da linee curveggianti, sono ora più grandi ed ora più piccole a seconda del declivio più o meno risentito, o della giacitura di esse sul dorso o sulla cima del colle” 12. La costruzione dei ciglioni, i cui metodi sono descritti dal-

l’esule Sismondi nel Tableau de l’agriculture toscane13, coinvolge l’intero territorio, fino ai

crinali delle diramazioni principali, laddove il castagno è coltura esclusiva: è qui che, oggi meno visibili per effetto della vegetazione che li ricopre ormai diffusamente, i “ ripari” era- no costruiti nei castagneti con il duplice scopo di trattenere il terreno e i frutti dell’“ albero del pane” : tale disposizione si osserva, scrive ancora l’Ansaldi, “ sui monti più alti, coltivati a castagni, ove i contadini più diligenti hanno il costume di fare i cosidetti ripari, i quali consistono nel collocare attorno alle ceppe dei castagni alcune piote per impedire che le acque piovane portin via la terra delle selve e con questa il terriccio. A poco a poco que- ste acciglionature crescendo, formano attorno ai castagni tante aree orizzontali che somi- gliano quelle degli oliveti, i quali io [...] penso che in origine pigliassero quella disposizio- ne orizzontale col mezzo delle piote che vi apposero in tanti anni” (fig. 4).

In tutta la valle l’impronta paesistica della coltivazione del castagno è molto rilevan- te: all’interno dell’orizzonte di diffusione, la “ non interrotta antica selva di castagni” ce- de tuttavia il passo, in specie sui più dirupati versanti a bacì o, a boschi misti con presen- za cospicua di cerri, carpini neri e delle esotiche robinie e, nelle aree che più risentono degli influssi umidi marini, al pino marittimo; sui contrafforti più alti, mediamente intor- no agli 800-900 m (ma il trapasso si relaziona alla localizzazione e all’esposizione del terreno), le faggete si sostituiscono gradualmente ai castagneti. “ Trovasi il castagno–

scrive il corografo Attilio Zuccagni-Orlandini – nei monti e in molte colline, essendo tenu- 39 Ritratto di una valle appenninica

to a palinaove il clima è più dolce, ed a bosco fruttifero ove è più rigido” 14. Il paesaggio

originario del castagneto da frutto – oggi pressoché dismesso nella valle – prevede una densità di alberi che Sismondi indica essere, mediamente, intorno ai sessanta esemplari per coltra15: si tratta quindi di un manto arboreo rado (le foto aeree del 1954 sono

espressive in tal senso) ai piedi del quale è assente il sottobosco e dove, anzi, il tappeto erboso è costantemente pulito, e tenuto basso dal morso delle pecore. Ancora il Sismondi offre un’efficace descrizione della selva, visitata dalle greggi transumanti che “ tornano verso la metà di maggio e vanno nelle zone interne dei monti dove l’erba si mantiene fresca ma corta sotto l’ombra dei castagni; i primi marroni che maturano nel mese di ottobre li avvertono che è giunta l’ora di ripartire per la Maremma, altrimenti le pecore li divorerebbero tutti; ma alcune greggi al momento di partire si fermano sulle colline e vengono lasciate pascolare negli oliveti affinché bruchino l’erba quanto più possibile, facilitando in tal modo la raccolta delle olive” 16(fig. 5).

Nelle castellapiù interne, oltre la metà delle terre è , fino al XIX secolo, ripartita tra

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Fig. 4 - Pontito in una foto di fine Ottocento. Intorno al castello, sui versanti sistemati a ciglioni, il paesaggio agrario è caratterizzato dal seminativo e dall’assenza di alberi (da Valdinievole. Un itinerario ottocentesco, a cura di G. Magnani, Firenze, Alinari, 2004)

pochi proprietari, privati o pubblici17; molti so-

no invece i piccoli e piccolissimi proprietari, i cui fondi sono generalmente incapaci di assi- curarne la sussistenza per l’intero arco dell’an- no. I proprietari coltivatori trovano compensa- zione ai magri rendimenti agricoli con l’eserci- zio dei diritti di uso civico gravanti sui terreni sia pubblici che privati, di cui tutti i terrazzani godono: diritto di legnatico, di pascolo (la vai- ne pâ ture), di semina negli arbusteti o all’ “ al- pe” , e di ruspo nei castagneti dopo la raccolta. Nei villaggi montani di Pontito, Lanciole, Calamecca, i “ rocchi” dei terrazzi sono semi- nati a grano; poche sono le vigne, assenti gli olivi, rare (se non inesistenti) le case sparse su podere. Scendendo verso la città di Pescia, allo sbocco della valle, il panorama insediativo di marca schiettamente montana passa gradata- mente alla scena più classica della coltura pro- miscua e delle abitazioni poderali disseminate tra i coltivi. Se, infatti, la piccola proprietà con- tadina della montagna si accompagna all’inse- diamento concentrato di tipo appenninico, la mezzadria si segnala con la presenza delle ca- se su podere; tuttavia il passaggio, lo si è det- to, è graduale e anzi, in tutta la media valle, i caratteri montani si intrecciano a quelli classi- co-mezzadrili che non sono mai pienamente compiuti, sia per l’asprezza del rilievo (la pre- senza di “ isole” poderali all’interno del bosco,

sulle pendici con esposizione più infelice e con maggiori pendenze, è la testimonianza di un difficile processo di appoderamento), sia per la vicinanza col territorio lucchese che, è noto, non fu àmbito di affermazione del contratto a mezzadria. Lineamenti, dunque, pro- pri di una terra di confine, rimarcati anche da Targioni Tozzetti quando, in viaggio verso le Garfagnane, scriveva che le pendici della valle della Pescia Maggiore – lavorate “ col- l’ultima esattezza” – sono “ coltivate a Poderi all’uso Fiorentino, e ad Uliveti all’uso

Pisano” 18; alla consueta promiscuità tra olivi, viti e cereale, caratterizzante il paesaggio 41 Ritratto di una valle appenninica

Fig. 5 - Il lungo e affilato sperone del monte Trassero (319 m), in destra idrografica della Pescia di Pescia, separa la stretta valle a monte di Pietrabuona dalla valletta pensile della Torbola.

Il profilo asimmetrico del promontorio è messo in evidenza dal diverso uso del suolo: coltivi sui versanti a franapoggio, con pendenza minore, bosco sui versanti più ripidi esposti a mattino

fiorentino, si alterna in valle la presenza di uliveti in coltura specializzata, in cui si posso- no contare da 400 a 600 e più piante di olivo per ettaro19. Nei “ boschi d’ulivi” la pianta

copre “ tutta l’area del suolo, e più o meno regolarmente cuopr[e] coi suoi rami ed om- breggi[a] tutta la superficie formando così l’esclusiva cultura locale” 20.

Anche sulle colline – così son definite, malgrado le pendenze accentuate, le propaggi- ni meridionali delle diramazioni che concludono la valle – le coltivazioni sono disposte “ a cigliottoli, o arginelli, gli uni al di sopra degli altri, [che] rappresentano altrettanti giardini repartiti a gradinate” , descrive nel suo AtlanteZuccagni-Orlandini, che prose- gue: “ l’area del campicello in cui biondeggiano le messi è recinta da spalliere di viti ap- poggiate a fragili canne, onde non lussureggiano soverchiamente, ed il ciglio che serve loro di sostegno verdeggia utilmente di erbe prative. Qualche frutto di varia specie trova- si di tratto in tratto in adattate località sicché non restino troppo ombreggiate le biade e le vigne. Le acque hanno libero sfogo in fossette interposte agli arginelli, e presso queste ordinariamente educasi il gelso. Alla qual pianta utilissima non permettesi già lo elevarsi e il distendersi con rami arborei, ma rimondasi annualmente a capitozza; così la prima foglia dei virgulti che spuntano dopo la prima potatura serve di strame al bestiame, e la seconda viene riserbata nell’anno successivo ad alimento dei filugelli. [...] Quindi osser- vansi in adattate località alternate le vigne da folte olivete, ed il terreno esposto a più ri- gida esposizione tutto ingombro di castagneti e di boschi cedui” 21.

La vite, importante capitolo di questo ritratto dei caratteri paesaggistici della valle, è per lo più coltivata a sostegno morto e a pergola, sistema, quest’ultimo, oggi meno fre- quente di qualche decennio fa. Tale coltura è più diffusamente sorretta dai pali di casta- gno forniti in abbondanza dai castagneti cedui dell’area, costituenti uno dei maggiori prodotti di esportazione della media valle22; il Sismondi ricorda che in collina “ viene

sempre piantata nei terreni dissodati, nella parte anteriore dei terrazzamenti, vicino ai ci- gli erbosi e sul margine del declivio” 23, dove si appoggia su “ palature” di castagno al-

ternato a canne, la cui coltivazione tanto meravigliava il ginevrino da ipotizzarne l’espor- tazione in terra patria. “ In collina – prosegue l’autore del Tableau– la vite non è soste- nuta dagli alberi ma da appositi pali o canne. Per quanto è possibile i primi si scelgono di legno di castagno a cui viene tolta la scorza perché si conservi meglio e devono essere alti da sei a otto piedi da terra [...]. In secondo luogo si adopera, per lo stesso uso, un’al- ta canna coltivata proprio a questo scopo, l’Arundo Donaxdi Linneo che gli Italiani chia- mano canna; la tagliano ogni inverno raso terra e nel corso dell’estate mette nuovi steli da quindici a venti piedi con una circonferenza da cinque a dieci linee. Questa canna meriterebbe di essere coltivata anche in Francia” . Alle canne, sottolinea, “ sono riservati il margine dei ruscelli, gli argini e i terrapieni che costeggiano i fiumi ed i terreni a fondo umido” . Diversamente, le viti a pergola, costituirebbero – secondo l’ autore – un’innova-

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zione importata nella “ Svizzera Pesciatina” dalle plaghe terrazzate prospicienti la riva set- tentrionale del lago Lemano: “ nel clima della Toscana tutti i sentieri che attraversano i campi possono essere coperti da pergole, tuttavia – stigmatizza Sismondi – spesso, per pigrizia, i contadini ne tengono solamente una molto piccola vicino a casa” . La costruzione della pergola, come è stato verificato nei pochi bran- delli di paesaggio agrario storico ancora pre- senti sui versanti pesciatini, avviene piantando “ in terra dei pali biforcuti, che chiamano co- lonne, e su questa specie di forche appoggiano grossi pali o pertiche, le une per largo e le altre per traverso, che si intersecano in modo da for- mare maglie quadrate di un piede o di un pie- de e mezzo” 24.

Sui “ rocchi” , i campicelli che “ spesso rag- giungono appena la larghezza di un metro, e la [cui] superficie talvolta scende ad appena 6- 7 mq ed anche meno” 25, si alternavano origi-

nariamente in rotazione le semine dei cereali consociate alla coltura degli olivi e della vite. La rotazione praticata più diffusamente nell’a- rea, almeno fino alla metà del secolo scorso, è la biennale26: in termini paesaggistici, il dato

mostra un quadro ambientale in cui il grano è presente, fino a mietitura, sulla metà dei colti-

vi. Nel delineare il ritratto della valle, Targioni Tozzetti, nel 1743 insisteva sull’importanza figurativa della coltivazione “ antica quanto in alcun’altra parte della Toscana” dei gelsi bianchi, la cui foglia è indispensabile per il nutrimento dei filugelli e dunque per la pro- duzione della seta, nonché sulla diffusione dei fichi che lo Statuto di Pescia del 1340 ob- bligava a piantare nell’ordine di “ otto pedali [...] per Coltra di terra, perché ve ne sia ab- bondanza” 27.

Negli esigui pianetti di fondovalle, gli orti irrigui – i “ ghiareti” “ che forniscono ottime biade, fra le quali vanno famosi i fagioli” 28– si contendono il terreno con gli opifici mos-

si ad acqua. Come è frequente, infatti, nelle valli appenniniche le aree prossime al corso 43 Ritratto di una valle appenninica

Fig. 6 - Il gomito fluviale, a monte della confluenza della Pescia di Pontito con quella di Vellano, è un esempio classico di cattura idrografica. A guardia della stretta incisione, i castelli di Sorana (a Nord) e Aramo (a Sud). Si noti l’allineamento, in direzione approssimativamente Nord-Sud, del ramo di Pontito con il torrente Torbola

d’acqua hanno assunto, già in epoca storica, un carattere prettamente industriale. Dalla Pescia di Pescia e, qualche chilometro a monte del Ponte di Sorana, anche dai due af- fluenti principali, si dipartono i canali di derivazione delle acque “ per mettere in moto macini da mulini, pistoni per cartiere, ruote e rocchetti per valichi [da seta], magli per ferriere” 29. I manufatti per la canalizzazione dell’acqua, quali pescaie, gore e bottacci,

insieme ai mulini e ai grandi edifici delle cartiere, hanno un ruolo non minore nel pae- saggio della valle; e anzi, nel Dizionario geografico, Emanuele Repetti riconosceva pro- prio al fiume di Pescia con le sue derivazioni il carattere precipuo dell’operosità valligia- na, tanto da poter esso stesso assurgere a entità mitica, “ meritando quasi di rappresen- tare la favola di Mida, che convertiva in oro tutto ciò che toccava” 30(fig. 6).

NOTE

* Dal contributo originario di Ilaria Agostini.

1 L’idronimo storico Pescia Maggiore indica il reticolo idrografico costituito dal ramo della Pescia

di Pontito e da quello della Pescia di Calamecca, che dopo l’immissione del torrente Lanciolana prende il nome di Pescia di Vellano, confluenti in corrispondenza del Ponte di Sorana nella “ fiumana” della

Pescia di Pescia (cfr. la voce “ Pescia Maggiore – Piscia Major – ossia Pescia di Pescia” in E. Repetti,

Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana contenente la descrizione di tutti i luoghi del Granducato, Ducato di Lucca, Garfagnana e Lunigiana, Firenze 1835-1846).

2 G. Ansaldi,La Valdinievole illustrata nella storia naturale, civile ed ecclesiastica dell’agricoltura,

delle industrie e delle arti belle, Pescia, Pescia 1879 [rist. anast. Bologna 1977], vol. I, p. 57.

3 Il bacino della Pescia Maggiore è cartografato nei fogli n. 97 (S. Marcello Pistoiese) e n. 105

(Lucca) della Carta Geologica d’Italia, scala 1:100.000.

4 Ansaldi,La Valdinievole illustrata, cit., vol. I, p. 59.

5 P. O. Baldasseroni,Istoria della città di Pescia e della Valdinievole scritta da P.O.B., Pescia 1784,

p. 10.

6 Cfr. J. W. Goethe,Viaggio in Italia (1886), Milano 1983, p. 122.

7 Si noti che l’affioramento argillitico prosegue in direzione Nord-Sud, in asse quindi col preceden-

te corso della Pescia di Pontito che, in ambito arenaceo, aveva insistito sulle più tenere argille scagliose.

8 In prossimità della confluenza delle due Pescia, gli strati hanno direzione antiappenninica (Nord-

Est/Sud-Ovest) e si immergono verso Nord-Ovest con inclinazione di circa 30° (cfr. R. Mazzanti, Geologia, morfologia e idrologia, in Dossier candidatura Unesco [http://www.svizzera-pesciatina.com/ it/dossier.asp], a cura di S. Tischer, p. 16). Risalendo il corso arcuato del ramo di Vellano gli strati tendo- no a piegare in direzione appenninica e si immergono verso Nord-Est: l’andamento “ colla convessità a Nord-Ovest, della Pescia di Calamecca, che asseconda la direzione del macigno, è un motivo idrografico

in armonia colla struttura geologica” , T. Taramelli,Condizioni geologiche del bacino idrografico del fiu-

me Pescia e proposte per aumentare la portata di magra di questo fiume. Pubblicato a cura di alcuni Industriali di Pescia, Pavia 1887, p. 13.

9 Il fenomeno è avvenuto secondo lo schema classico della cattura trasversale: “ cioè per un recul

de tê te di un ripido affluentello di destra [della Pescia di Vellano, n.d.r.], trasformato poi dalla forte ero-

sione del torrente catturato nella profonda gola tra Sorana e Aramo” , F. Saggini,Evoluzione geomorfo-

logica della Val di Pescia (Antiappennino Pistoiese), in « Atti della Società Toscana di Scienze Naturali» , 44

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serie A n. 70, Pisa 1963, p. 5.

10 “ È interessante notare come il Torbole e la Torbola si dipartano dagli stessi versanti di una sella

medesima, alta 335 m, presso la Croce di Aramo, la quale pare oggi quasi che rappresenti un antico de- corso della Pescia di Pontito, prima che se ne determinasse la confluenza colla Pescia di Vellano” (Taramelli,op. cit., p. 9).

11 Affascinante la tesi di Taramelli, che individuava, forse con eccessiva enfasi, la localizzazione di

ciascun castello in corrispondenza di un terrazzo fluviale (cfr. Taramelli,op. cit., p. 13).

12 Ansaldi,La Valdinievole illustrata, cit., vol. I, p. 310.

13 Si veda il capitolo Sol, dé frichement et coupe des collines in J. C. L. S. Sismondi, Tableau de l’agri-

culture toscane, Par J.C.L. Simonde de Genè ve, M.C. de l’Acadé mie Royale des Georgofiles de Florence, Genè ve 1801 [trad. it.Quadro dell’agricoltura toscana, a cura di G. Rossi, Pisa 1995], pp. 69-71.

14 A. Zuccagni Orlandini,Atlante geografico, fisico e storico del Granducato di Toscana, di Attilio

Zuccagni-Orlandini Segretario attuale delle Corrispondenze dell’Imp. e Reale Accademia economico- agraria dei Georgofili di Firenze, Firenze 1832, tav. XII (Tavola geografica, fisica e storica della Val-di- Nievole e delle adiacenze).

15 La coltra pistoiese corrisponde a circa mezzo ettaro (0,5060 ha), cfr. N. Rauty,Appunti di metro-

logia pistoiese, in « Bollettino Storico Pistoiese» , n. 77 (1975), pp. 3-47.

16 Sismondi,Tableau de l’agriculture toscane, cit., pp. 140-142.

17 F. Mineccia,L’economia del castagno nell’Appennino pistoiese e in Valdinievole, in Pluriattività e

mercati in Valdinievole (XVI-XIX secolo), Atti del Convegno (Buggiano Castello, 27 giugno 1992), Buggiano 1993, pp. 67-90.

18 G. Targioni Tozzetti, Relazione del Viaggio fatto dal Dottor Giovanni Targioni Tozzetti

Nell’Autunno dell’Anno MDCCXLIII per le Alpi di Barga e Pietra Pania. E per il Capitanato di Pietrasanta, Parte Prima, Che comprende il Viaggio da Firenze a Barga, in G. Targioni Tozzetti, Relazioni d’alcuni Viaggi fatti in diverse parti della Toscana per osservare le Produzioni naturali, e gli antichi Monumenti di Essa, Firenze 1768-1779, tomo V, p. 227.

19 G. Puccini,Le rotazioni ed i foraggi nei poderi di collina della Valdinievole, Pescia 1947, p. 4.

20 C. Ridolfi,Lezioni orali di Agraria date in Empoli dal March. Cosimo Ridolfi raccolte stenografi-

camente e pubblicate ad utilità dei campagnoli ascoltatori delle medesime per cura dell’Accademia Empolese di Scienze economiche, Firenze 1858, cit. in C. Pazzagli, L’Agricoltura toscana nella prima metà dell’800. Tecniche di produzione e rapporti mezzadrili, Firenze 1973, p. 257.

21 Dalla descrizione che affianca la tav. XII di Zuccagni Orlandini,Atlante geografico, fisico e stori-

co del Granducato di Toscana, cit.

22 Cfr. R. Pazzagli,Luoghi e funzioni di un sistema locale: Pescia e la Valdinievole tra XVI e XIX se-

colo, in Pescia e la Valdinievole. La costruzione di un’identità territoriale, a cura di A. M. Pult Quaglia, Firenze 2006, pp. 149-172.

23 Sismondi,Tableau de l’agriculture toscane, cit., p. 80.

24 Ibid., p. 85. 25 Puccini,op. cit., p. 4. 26 Ibid.

27 Cioè di sedici piante per ettaro. Targioni Tozzetti,op. cit., tomo V, p. 276. 28 Ansaldi,La Valdinievole illustrata, cit., vol. II, p. 163.

29 Repetti,op. cit., ad vocem “ Pescia Città (Piscia) in Val-di-Nievole” .

30 Ibid., ad vocem “ Pescia Maggiore (Piscia Major) ossia Pescia di Pescia” . 45

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