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3 Architettura Mediterranea E QUESTIONE ENERGETICA

3.2 LA QUESTIONE ENERGETICA NELL’ARCHI TETTURA DEL XX SECOLO

3.2.3 IL PENSIERO E L’ESPERIENZA DI FATHY HASSAN

La fi gura dell’architetto Hassan Fathy nato e vis- suto al Cairo (1900-1989), diventa emblemati- ca in contrapposizione al movimento moderno che si sviluppa nel nord Europa. La sua ricerca infatti si articola nella defi nizione e raccolta dei caratteri dell’architettura vernacolare come fat- tori di sviluppo della modernità dell’architettu- ra. Un’architettura fatta dal popolo per il popo- lo, in cui l’innovazione tipologica e morfologica della stessa è radicata nell’evoluzione di una

esperienza culturale, in cui l’architettura deve essere espressione della perfetta coniugazione tra energia naturale, identità del luogo ed esi- genze umane. Secondo lo stesso Hassan quin- di l’architetto deve conoscere tanto le scienze meccaniche quanto la sociologia, l’economia, la climatologia, la teoria dell’architettura este- tica e lo studio delle culture in generale perché scienze che riguardano direttamente l’uomo e a lui servono per la gestione della complessità della progettazione architettonica.

E per questo che diventa imprescindibile il rac- conto della sua esperienza nel progetto della città di Gourna, come espressione completa del suo approccio progettuale all’architettura secondo i differenti aspetti correlati alla cultura e all’esigenza umana.

Il legame al mondo contadino di Hassan Fathy deriva dalle sue origini, in quanto suo padre era un proprietario terriero e la madre aveva vissuto per parecchi anni in campagna. E’ per questo che inizialmente provò ad entrare alla facoltà di Agraria ma non riuscendovi si iscrisse ad Ar- chitettura.

Fino ad adulto non aveva mai visto la campa- gna dal vero ma, visitando una fattoria di fami- glia constatò l’enorme povertà e squallore in cui vivevano i contadini che vi lavoravano. Era evidente che nulla si faceva per gli esseri uma- ni che vi abitavano e su sue pressioni i genitori ristrutturarono la fattoria.

Si rese quindi conto che i contadini avevano usato per costruire le loro case un materiale così semplice e facile da reperire: il fango. In- fatti i mattoni erano realizzati con il fango ma si chiese perché solo le case dei contadini doveva- no esserlo e non anche quelle dei proprietari. Tuttavia i costi non erano poi più contenuti di quelle in mattoni perché l’armatura in legno del tetto era molto costosa. Infatti il problema era rappresentato dal tetto ma, senza centine, que- sti sarebbero crollati.

Venne a sapere da suo fratello che i nubiani coprivano le loro volte e le moschee senza pog- giare su alcuna armatura. Quindi si recò ad As- suan e dalla visita del villaggio di Gharb Assuan trovò le sue risposte. Il villaggio lo stupì per la loro bellezza, non aveva nulla a che fare con l’ammasso di case tipico dei villaggi egiziani, si trattava infatti di una architettura con legami autentici con la natura. Nello stesso monastero di S. Simeone ad Assuan volte e cappelle erano state realizzate con mattoni crudi.

Si stava maturando in lui la convinzione che: “i materiali e i metodi tradizionali dei contadini egiziani si adattavano perfettamente agli archi- tetti moderni e che la soluzione del problema degli alloggi in Egitto si trovava nella sua storia passata”.

Si mise così alla ricerca di qualcuno che fosse in grado di insegnargli come fabbricare quelle volte. Da Assuan si spostò a Luxor dove c’erano

granai con volte costruiti da oltre tremilaquat- trocento anni con mattoni di fango. Ciò gli per- mise di rendersi conto dell’importanza delle vol- te e delle cupole nella storia egizia mentre i suoi studi di architettura gli avevano insegnato che i primi a realizzarle erano stati i romani. Quindi assunse dei muratori nubiani per costruire il tet- to dell’edifi cio della fattoria della Reale Società di agricoltura. Costruirono i mattoni per le volte con più paglia del solito e facendovi delle sca- nalature parallele con il dito in diagonale da un angolo all’altro della facciata più grande, i mat- toni avrebbero aderito ad una superfi cie fango- sa come una ventosa. Il metodo di costruzione degli archi da parte dei muratori era semplice perché si basava su una differente inclinazione dei mattoni ottenuta con una soletta di fango, era una tecnica economica, infatti si avvaleva solo di una paletta e delle mani per sistemare i mattoni. Metodo che applicò per ricoprire i tetti di una fattoria il cui legno era stato rubato dai contadini. In breve tutti i tetti furono ricoperti con un metodo non solo economico ma anche con risultati estetici apprezzabili. Benché si considerino i limiti della resistenza di questo materiale, il fango,

“(…) l’architetto si trova d’improvviso libero di plasmare con la sua costruzione lo spazio (…)”. Ben presto la sua attenzione fu attratta da un villaggio abitato per lo più da ladri: Ezbet el Basry distrutto da una grossa inondazione. Si

aggiudicò l’appalto per costruire almeno una casa di prova ottenendo dal Governo un misero fi nanziamento ma da lui ritenuto suffi ciente per realizzare una casa applicando il suo metodo costruttivo. Tuttavia, nonostante gli ottimi risul- tati, non gliene furono commissionate altre e si preferì a lui un altro architetto che costruì case in cemento a costi molto più elevati. Comunque l’abitazione che aveva realizzato gli fece acqui- stare una certa notorietà nell’ambiente.

Nella zona del cimitero di Tebe era nato un villaggio abitato da circa settemila contadini, Gourna. Gli abitanti avevano fondato le loro at- tività sul saccheggio delle tombe degli antichi egizi e ne vendevano il ricavato a traffi canti sen- za scrupoli guadagnando molto meno del valore reale. Il governo decise di espropriare loro case e terreni ma occorreva dare a queste persone nuove abitazioni preferibilmente poco costose. L’attenzione della Sovrintendenza archeologica si rivolse ad Hassan Fathy. Ottenne così un man- dato di tre anni per costruire il nuovo villaggio di Gourna. Gli fu messo a disposizione un terreno vicino alla strada principale e alla ferrovia. Per l’architetto fu l’occasione di mettere in prati- ca il suo approccio progettuale in cui la scelta di forme architettoniche sono espressione del ca- rattere di un popolo e del suo paese, andando contro le tendenze che si stavano diffondendo quelle di trapiantare modelli di edifi ci e tecniche in un ambiente diverso dal contesto originario.

Nell’Egitto moderno si è perduta ogni tradizione sia nelle abitazioni dei ricchi che in quelle dei poveri. Infatti si rilevava una contrapposizione tra stile copto, considerato discendente dall’an- tico Egitto, e arabo. Del resto negli studi di ar- chitettura spesso si tralasciava l’edilizia civile senza capire che un’architettura autentica non può esistere senza considerare la tradizione. Questo portò alla nascita di “scatole rattrappi- te di ogni dimensione” che ricalcavano quelle dei quartieri più poveri delle metropoli, costrui- te con materiali scadenti e già vecchie quando nascevano. I contadini cercavano di adeguarsi anche loro a questi modelli abitativi e i risultati erano ancora peggiori con la conseguenza di in- taccare la tradizione più autentica.

Hassan Fathy riteneva che “costruire è un’attivi- tà creativa il cui momento decisivo coincide con l’istante del concepimento (…)”, così le carat- teristiche di una costruzione sono determinate da tutti coloro che partecipano al processo de- cisionale ed in ciascuna fase di lavoro. Ecco il ruolo determinante del processo creativo dove le decisioni prese dagli uomini richiedono più valutazioni consapevoli. Queste decisioni devo- no essere prese sia considerando la tradizione, frutto dell’esperienza pratica di più generazioni, sia attraverso l’analisi scientifi ca, come frutto dell’osservazione sistematica di un problema, entrambi condurranno allo stesso risultato. Molte volte l’abitudine libera l’uomo dal dover

12 Nuova Gourna, Luxor 1950. Vista Moschea. Tratto da A. Picone, La casa araba d’egitto, Jaka Book, 2009.

13-14 Vista della mo- schea e della scala del minareto. Tratto da A. Picone, La casa araba d’egitto, Jaka Book, 2009.

prendere delle decisioni secondarie e gli per- mette di concentrarsi su quelle realmente im- portanti.

La tradizione è secondo l’architetto l’equivalen- te sul piano sociale dell’abitudine personale e svolge lo stesso ruolo in campo artistico per- mettendo all’autore di concentrarsi su scelte più importanti. La tradizione è per i contadini l’unico modo per salvaguardare la loro cultura e l’architetto la deve rispettare, rispettando il lavoro di quanti l’anno preceduto.

Fathy rileva che un tempo tutte le decisioni ine- renti la costruzione di una casa venivano prese dal proprietario insieme agli artigiani che vi lavo- ravano ma, i progressi della tecnologia moder- na, con nuovi materiali e nuovi metodi di costru- zione, richiedevano la presenza di un architetto professionista, e quindi le decisioni venivano prese sulla carta. Nel caso delle costruzioni go- vernative le decisioni venivano prese dell’archi- tetto senza consultare le famiglie che vi avreb- bero abitato. Tutte le famiglie vivranno in una serie di case identiche: “le persone diventeran- no tristi e depresse, come le loro case, e la loro fantasia si inaridirà”. Secondo Fathy il Governo dovrebbe capire che la rinascita dell’edilizia do- vrebbe partire dalle famiglie considerando che la casa è simbolo dell’identità familiare.

La Nubia è l’espressione di come i contadini possono fare meglio di qualsiasi politica gover- nativa sulla questione alloggi. Non sempre il

contadino, solo perché gli vengono forniti i ma- teriali, è in grado di costruire qualcosa di bello, a volte farà una copia più brutta e meno cara dell’abitazione dei ricchi.

Nella realizzazione di Gourna, Hassan Fathy chiese agli artigiani, come agli operai, di utiliz- zare tecniche tradizionali. Gli operai che realiz- zavano il progetto erano esperti quanto l’archi- tetto nelle varie fasi di costruzione. L’artigiano venne inserito a pieno titolo nel gruppo di lavo- ro, mentre risultò diffi cile coinvolgere i contadini che erano reticenti all’idea di doversi spostare dal loro villaggio ed avevano diffi coltà ad espri- mere le loro idee e bisogni.

Risultava quanto mai diffi cile, senza la loro par- tecipazione come clienti, costruire una casa che soddisfacesse le loro esigenze. Sarebbe stato utile interpellare le donne ma ciò appariva improponibile. Fathy e i suoi collaboratori era- no visti solo come esecutori governativi. Inoltre l’arte di Gourna , villaggio situato tra Nubia e Basso Egitto, non era signifi cativa e non aveva nulla dell’architettura della Nubia. Tuttavia gli abitanti della vecchia Gourna, pur nella loro povertà, si erano inventati angoli della propria abitazione veramente unici e le linee delle loro abitazioni offrivano lezioni di architettura au- tentica. Si notava in esse la volontà di adattare i materiali alla loro vita con l’attenzione esclusiva alla praticità. “La casa possiede la stessa tran- quilla autonomia dell’opera d’arte di qualsiasi

professionista affermato”.

Era evidente che questo tipo di casa doveva essere costruita dal proprietario e non si pote- va realizzarla a tavolino. Appariva necessario esprimere l’anima degli abitanti di Gourna nei nuovi progetti.

Lo scopo di Hassan Fathy era di superare le barriere tra l’architettura popolare e quella pro- fessionale.

Occorreva tuttavia tenere in considerazione an- che l’ambiente naturale, il paesaggio, la fl ora e la fauna.

Era inoltre convinto che la nuova Gourna non doveva tradire l’antico Egitto.

Un altro aspetto da considerare era la situazio- ne climatica, infatti nell’alto Egitto ci sono forti escursioni termiche. Occorreva quindi realizza- re edifi ci che tenessero conto delle proprietà termiche di muri e tetti, quindi i cattivi condut- tori di calore, come il mattone di fango seccato, erano l’ideale.

Tuttavia i mattoni crudi non apparivano la solu- zione migliore per conservare il fresco: sarebbe stato opportuno vivere al piano terreno di gior- no e salire in terrazza di notte per dormire al fresco sotto una tenda o qualcosa di altrettanto leggero.

Altro elemento per rendere più confortevole l’abitazione era la circolazione dell’aria, appa- riva quindi necessario mettere delle aperture dove il vento fresco potesse entrare per areare

la casa. Giunse alla conclusione che occorreva praticare dei piccoli fori nella parete rivolta ver- so il vento e lasciare aperta una loggia sotto- vento, ciò avrebbe permesso di avere una aera- zione costante.

Circolazione dell’aria: Cubic ft°/h = 3150 x su- perfi cie d’entrata in square ft° x velocità del vento in migliaia/h. Questa formula evidenzia come più il rapporto tra superfi cie d’uscita e la superfi cie d’entrata è alto, più il fl usso d’aria che circola attraverso la costruzione sarà gran- de.

Inoltre l’orientamento dell’edifi cio avrebbe do- vuto tenere in considerazione sia il sole che il vento che doveva soffi are in una porzione di muro più grande possibile per rinfrescare la casa.

Se in Europa la fi nestra assolve a tre ruoli: far entrare l’aria, la luce e fare vedere fuori, così non è in Medio Oriente.

Il malkaf, o torre del vento, è un sistema di ven- tilazione diffuso al Cairo che venne utilizzato nelle scuole di Gourna e che permise di risol- vere il problema dell’orientamento dell’edifi cio rispetto al vento.

Il mushrabiya era invece una specie di fi nestra con applicata una grata in legno per permettere di vedere fuori senza essere visti.

Ma perché il nuovo villaggio svolgesse a pieno la sua funzione era necessario scoprire la vita quotidiana dei suoi abitanti in modo che ne po-

15 Piccionaia di Nuova Gourna. Tratto da A. Picone, La casa araba d’egitto, Jaka Book, 2009.

16 Strada di Gourna Nuova. Tratto da A. Pi- cone, La casa araba d’egitto, Jaka Book, 2009.

tesse esprimere anche il carattere. Infatti l’abi- tazione rifl ette in pieno chi la abita, dalla posi- zione sociale alla sua attività. Era quindi indi- spensabile consultare ogni famiglia di Gourna. Si cominciano a delineare i caratteri tipologici degli edifi ci da edifi care nella città, in Egitto cor- tili e piazze sono elementi di assoluta importan- za. Ecco perché Fathy pensò di collocare ogni casa intorno ad un cortile interno e ogni gruppo di case doveva comprendere un grande corti- le o piazza che serviva un gruppo di famiglie o badana.

Il badana era un gruppo di più famiglie unito da un forte spirito di gruppo con a capo un pa- triarca. La piazza in cui convergevano le case era quindi simile ad un cortile interno privato utilizzato per riunirsi in occasione di cerimonie religiose o feste.

Occorreva tenere in considerazione anche le ri- sorse da cui avrebbero potuto attingere gli abi- tanti della nuova Gourna vista l’esiguità delle terre coltivabili che circondavano il villaggio. Si- curamente potevano sfruttare la sua vicinanza con Luxor, avrebbe potuto ingrandirsi. Una par- te del progetto ideato da Hassan Fathy mirava quindi ad incrementare le risorse economiche degli abitanti.

Fathy pensò quindi ad un albergo, “khan”, do- tato di laboratorio, dove alloggiare gli artigiani con le loro famiglie al fi ne di insegnare il mestie- re a degli apprendisti con lo scopo di riuscire

a rimettere in sesto l’economia. Nel “khan” si sarebbe dovuto insegnare a realizzare: gioielli, oggetti in legno lavorati al tornio, falegnameria, stoffe fantasia, ebanisteria, riproduzione di og- getti antichi ed altre. Per sviluppare l’arte della tessitura e della tintura sarebbe stato necessa- rio organizzare una scuola professionale. Fathy pensava inoltre di realizzare un’esposizione permanente dei prodotti degli artigiani, affi n- ché i turisti potessero vederli, lungo la strada principale che va da Luxor ai Colossi di Mem- none. Si pensò anche alla realizzazione di un dispensario e ad una clinica con la presenza di un medico.

La descrizione di tutti gli edifi ci ed una relazione furono presentate alla Sovrintendenza archeolo- gica dove si spiegavano anche i metodi di lavoro e le modalità di risarcimento delle famiglie che dovevano traslocare. Sarebbero stati in grado di costruire l’intero villaggio da soli fabbricando i mattoni e tutto il resto, impiegando muratori reclutati ad Assuan e gli abitanti della stessa Gourna, ma anche con l’aiuto dei loro artigiani. La libertà totale di azione e l’immediata attri- buzione di un’area da parte del Governo su cui edifi care non corrisposero ad una uguale gene- rosità per quanto riguardava l’elargizione del denaro necessario.

Inoltre il progetto di realizzare un nuovo villaggio in tre anni era certo ambizioso ma incontrava l’ostilità della gente. Il rapporto partì ma Fathy

non ne seppe più nulla e non avendo ottenuto risposta iniziò con la realizzazione.

Nella nuova Gourna la disposizione delle strade principali avrebbe delimitato i quattro quartie- ri del paese ognuno dei quali ospitava uno dei gruppi tribali che formavano la città. Il mercato stava all’ingresso del villaggio, più avanti si tro- vava la piazza su cui si doveva affacciare la mo- schea, il “khan”, il municipio, il teatro e il salone di esposizione permanente. Le strade che se- paravano i quartieri erano piuttosto larghe per facilitare l’aerazione mentre le vie dei badana erano più strette per dare intimità.

Tuttavia Fathy era pronto a modifi care il proget- to di ciascuna abitazione per adattarlo a chi vi avrebbe vissuto, ne scaturiva quindi una suddi- visione degli spazi irregolare che ben si allonta- nava dalle costruzioni monotone di alloggi tutti uguali.

Il progetto prevedeva l’edifi cazione di vari edifi ci considerati di pubblica utilità e luoghi di svago. Come la moschea, nella cui realizzazione l’ar- chitetto doveva tenere in considerazione che le preghiere andavano orientate verso la Mecca, o come il mercato che svolgeva un ruolo fonda- mentale nella vita del villaggio sia per gli affari sia perché era un luogo che le donne potevano frequentare liberamente per vendere e acqui- stare e dove si sentivano fi nalmente parte di una società e di una comunità e non solo della famiglia. Gli uomini invece avevano il compito di

trattare gli affari relativi a grossi animali. Diceva Fathy: “Alla piazza del mercato di Gourna volevo conferire un aspetto più ameno”. Poi il teatro, infatti Fathy pensava di realizzar- ne uno a Gourna dove presentare balli, canti e sport della vita di tutti i giorni, come la lotta, e ne vedeva la necessità tanto quanto il munici- pio e la scuola.

In quel periodo un progetto governativo pre- vedeva la costruzione di una scuola in tutti i villaggi. Tuttavia i progetti erano gli stessi sia per costruire una scuola ad Alessandria che in Nubia con clima ed allievi totalmente diversi. Fathy riteneva che nel progettare una scuola l’architetto “deve vedere il mondo con gli occhi di un bambino, non soltanto per capire le sue esigenze in termini di spazio e dimensioni, ma soprattutto per conoscere che cosa gli infonde- rà fi ducia o lo spaventerà (…). La classe deve essere per i bambini come una casa (…)”. A Gourna vecchia non c’erano scuole, quindi Fathy anticipò i tempi e ne costruì subito due naturalmente in mattoni di fango che lasciaro- no il Ministero entusiasta. Realizzò le classi in- torno ad un cortile pavimentato risolvendo così il problema della polvere e tranquillità.

Secondo l’autore l’architetto deve trattare con la stessa attenzione delle costruzioni anche le aree esterne in modo che ogni spazio possa es- sere utilmente sfruttato.

In fondo al grande cortile della scuola collocò la

17-18 Realizzzione di volte in terra. Nuova Gourna. Tratto da A. Picone, La casa araba d’egitto, Jaka Book, 2009.

moschea dove la luce penetrava da fi nestrelle poste nella parte più alta della cupola in modo che risultasse soffusa.

Un altro luogo di pubblica utilità, che era passa- to da un po’ di tempo di moda, era l’hamman o bagno turco. Un tempo era il luogo prediletto