• Non ci sono risultati.

Il perimetro dell’impresa pubblica nel contesto del NGEU

Nel documento UNA SVOLTA CULTURALE PER LA CRESCITA (pagine 128-132)

MISURE E RIFORME PER ATTUARE L’ORDINAMENTO EUROPEO ATTRAVERSO IL NEXT GENERATION EU

III. LO STATO E L’IMPRESA

5. Il perimetro dell’impresa pubblica nel contesto del NGEU

Non pare dubbio, anche per quanto sopra si è anticipato, che le scelte del nostro Paese in funzione della crescita e della competitività dell’Eu-ropa che si profila, devono tenere conto dell’impresa a controllo pubbli-co (uniche nelle pubbli-condizioni di veipubbli-colare, nell’attività epubbli-conomica, tutte le potenzialità pubbliche a iniziare dalla ricerca scientifica). Ci riferiamo alle imprese strutturate come, ad esempio, Cassa depositi e prestiti, FNM, Invitali, Leonardo, Eni, Fincantieri e alle imprese quotate parteci-pate – ma non dirette – da Comuni e Regioni in grado di apportare, non solo capitali, ma anche tecnologie. In breve, come abbiamo rilevato, nel comparto delle autostrade, della terminalistica portuale e infine del tra-sporto pubblico locale ci si attende un consistente impegno del pubblico nella gestione delle infrastrutture e dei servizi strategici magari insieme a gruppi privati. Non si tratta di mettere in dubbio il principio di parità di cui all’art. 345, Tfue, né di attentare alle regole in materia di mercato interno, ma di coinvolgere lo Stato nel finanziamento e nella gestione del SIEG e nel presidio degli interessi nazionali. Ma specialmente nella ricer-ca scientifiricer-ca. E al riguardo, sia la giurisprudenza e la corretta lettura del fenomeno del cosiddetto in house providing, sia l’esperienza che va ma-turando in materia di cooperazione orizzontale, costituiscono utili riferi-menti per assicurare l’interesse generale e specialmente l’‘interesse nazio-nale’. In breve la deroga alle disposizioni europee in materia di appalti e concessioni, e quindi la possibilità che gli Stati riservino a imprese pub-bliche l’esercizio della concessione o la realizzazione dell’opera senza

62 13 giugno 2013 in causa C-386/11, Racc. I, 385; 19 dicembre 2012 in causa C-159/11, Racc. I, 817; 9 giugno 2009 in causa, C480/06, in Racc. I, 2009, 4747.

aprire al mercato, si evidenzia di proporzioni molto significative. E ciò anche se l’ordinamento italiano si è dimostrato molto cauto ad accogliere e ricostruire questa nuova fattispecie. Sia le norme di cui al d.lgs. n. 175 del 2016 sia quelle del d.lgs. n. 5063 sono ancora espressione di una logi-ca estremamente scettilogi-ca sul ruolo dello Stato e ancorata alle teorie tra-dizionali che tendono a esaltare forme di autogoverno del mercato non contagiate dal bisogno pubblicistico di competitività. Ci si sarebbe attesi, invece, un lavoro di ricostruzione di una nuova forma di relazione fra lo Stato e l’economia tale da mettere in evidenza, oltre alla regolazione del mercato, anche la necessita di perseguire obbiettivi di segno pubblicisti-co e quindi ripubblicisti-conducibili all’interesse nazionale. Magari pubblicisti-con una prospet-tiva di sostituire questa figura con l’interesse europeo.

Il che non significa che il nuovo modello europeo di intervento pub-blico non debba essere regolato in modo uniforme. Anzi, proprio l’attua-zione del NGEU è l’occasione per delineare il nuovo perimetro della partecipazione del pubblico nell’impresa. Anche per evitare il fenomeno delle vecchie e nuove partecipazioni statali in virtù del quale lo Stato e il pubblico spesso assumono una presenza nell’impresa solo per ragioni di piccola politica locale. Anzitutto l’obbiettivo deve essere la competitività, non la risoluzione di problemi sociali. A questo riguardo è corretto pren-dere in esame, non certo in questa sede, le nuove teorie neokeynesiane che ricostruiscono un superamento dell’attuale ordine dei mercati per il ruolo decisivo degli Stati in quanto ‘azionisti o creditori occulti’ per es-sere – essi e non il privato – all’origine delle tecnologie e delle misure che consentono alle imprese piena competitività. È vero che questa osserva-zione della realtà forse fotografa piuttosto società evolute e dove la ricer-ca scientifiricer-ca è di assoluta avanguardia. Ma è innegabile che molte delle osservazioni di queste scuole potrebbero coincidere con le spinte france-si e tedesche verso una più france-significativa presenza dello Stato (ed oggi dell’Unione) nel divenire dei mercati. Diverso è, però, quando, per esi-genze di consenso politico, quell’analisi è usata fuori dal perimetro per ragioni alla fine in senso lato ‘politiche’. Questo succede, specialmente, quando le scelte corrette non siano state tempestivamente compiute e le situazioni si siano quindi incancrenite. Ma alla fine la convivenza

euro-63 E anche quelle della Corte costituzionale come si è visto… V. C. cost. 27 maggio 2020 n. 100, cit.

pea, se si crede costituisca un valore in funzione della competitività, im-pone si delinei un perimetro (appunto quello della competitività): nel senso che, come abbiamo già rilevato, l’intervento pubblico ha senso per rafforzare attività competitive che, ad esempio, necessitano di nuove tecnologie, di capitali pubblici o di un contributo strategico in funzione dell’interesse nazionale (od europeo): non per risolvere problemi di so-pravvivenza di questo o quel governo. In breve, specie se si guarda all’e-sperienza italiana, la partecipazione pubblica dell’Unione (in nome della spinta alla competitività) nell’impresa non potrà essere usata come extre-ma ratio per sostenere imprese prive di capacità competitiva e per rime-diare a gravi profili occupazionali conseguenza di scelte che non si è avuto il coraggio di compiere in passato.

In secondo luogo non necessariamente lo Stato imprenditore ma, semmai, lo Stato promotore. Sembra emergere una modalità specifica di promozione degli European Champions. Una modalità che vede lo Stato, o l’Unione, che si limita a promuovere e stimolare l’azione imprendito-riale dell’impresa competitiva. Uno Stato (o l’Unione) che, tuttavia, non condivide le scelte cinesi, arabe, ecc. in base alle quali lo Stato o la poli-tica controllano, anche dal punto di vista gestionale, le imprese pubbli-che con una forte ingerenza gestionale sulle stesse imprese. Secondo il modello che tende ad accreditarsi, lo Stato (o l’Unione) si limita alla promozione e partecipazione anche societaria con che l’impresa strategi-ca sia gestita più o meno alla stregua di una public company dal suo ma-nagement restando pertanto autonoma ex art. 101 Tfue. L’atteggiamento indicato, che appunto – giova ripeterlo – non si esaurisce nel tradiziona-le controllo imprenditoriatradiziona-le sul modello deltradiziona-le partecipazioni statali italia-ne, risolve tutta una serie di problemi, ad esempio, in tema di aiuti di stato. Perché se la presenza dello Stato non è funzionale al controllo so-cietario o finanziario, ma solo al sostegno industriale o finanche strategi-co della impresa campione che si intende promuovere in ambito globale, difficilmente si configura un ‘gruppo’ tale da integrare la nozione di

‘impresa’ di cui all’art. 101, Tfue. Come è noto la nozione di impresa proposta dal diritto europeo, molto diversa da quella desumibile dall’e-sperienza degli Stati membri, valorizza il gruppo solo se sussiste un con-trollo effettivo che unifichi le varie società coinvolte. Ma se lo Stato (o il pubblico) investe solo con obbiettivi finanziari o di promozione senza assumere il controllo effettivo il rischio di incorrere nel divieto di aiuti di

stato non viene in rilievo. A ben vedere l’uso di strumenti come le casse depositi e prestiti o le fondazioni pubbliche, o il ricorso a fondi pubblici alla promozione economica, è in molti casi consentito dall’ordinamento europeo ed è anzi in qualche misura incentivato.

Nel documento UNA SVOLTA CULTURALE PER LA CRESCITA (pagine 128-132)