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Il rapporto di Assonime

Nel documento UNA SVOLTA CULTURALE PER LA CRESCITA (pagine 24-28)

Va considerata l’alternativa organizzativa emergente dal rapporto Asso-nime denominato Quale assetto istituzionale per l’impiego dei fondi Next Generation EU.

Si tratta di un rapporto alla cui elaborazione hanno lavorato autore-voli studiosi del diritto amministrativo.

La proposta di governance si articola su tre livelli: politico, di

coordi-5 M. anneSi, Le innovazioni organizzative... cit.

namento e operativo. Il livello politico si colloca primariamente nell’am-bito del Consiglio dei Ministri, all’interno del quale si è proposto di dare deleghe formali per la realizzazione del PNRR al CIAE.

Il Governo dovrà trovare in Parlamento e, per la parte di competenza, in Conferenza Stato-Regioni-Autonomie locali il consenso sulle grandi scelte di riforma e di allocazione delle risorse.

Per il lavoro istruttorio che conduce all’individuazione delle compo-nenti del Piano e per assicurare il raccordo con le amministrazioni coin-volte e l’impulso al processo decisionale e attuativo occorre una figura istituzionale dotata del ruolo politico e del supporto tecnico necessari. Si può pensare a un istituendo Ministro per il Recovery Fund, supportato da un forte segretariato tecnico presso la Presidenza del Consiglio (Cen-tro di coordinamento RRF).

Al Centro di coordinamento spetterebbe la funzione di raccordo con le strutture operative delle amministrazioni centrali, regionali e locali, anche con il supporto dell’Agenzia per la coesione territoriale. Per raf-forzare il coordinamento, si propone di individuare all’interno di ogni amministrazione un Responsabile RRF di alto calibro e fortemente in-centivato all’attuazione del Piano.

L’esperienza del Ministro (senza portafogli) per il Recovery Fund prende spunto forse dalla esperienza del piano Marshall che vide Ernesto Rossi come figura di riferimento nominato Sottosegretario alla Ricostru-zione nel Governo Parri6.

L’obiettivo indicato condivisibilmente dal Rapporto Assonime non è di costruire un’amministrazione separata, ma al contrario proprio quello

6 Nel giugno 1945, Ernesto Rossi, pur sfiduciato in ordine alla possibilità di vedere realizzata l’Europa federale, suo ideale politico delineato nel Manifesto di Ventotene, si lasciò coinvolgere sul piano nazionale nell’esperienza del Governo Parri, prima in qualità di sottosegretario alla ricostruzione e poi come presidente dell’ARAR (Azien-da per il rilievo e l’alienazione dei residuati bellici) – un ente pubblico di primaria importanza nell’economia dell’immediato dopoguerra – ch’egli gestì in modo esem-plare sino alla sua liquidazione nel 1956, resistendo a pressioni di ogni genere e producendo anche consistenti utili per le finanze dello Stato. In quest’incarico, che egli ebbe da Ferruccio Parri e nel quale fu confermato da Alcide De Gasperi, Rossi chiese e ottenne che la sua indennità di presidente non fosse superiore al suo stipen-dio di docente di materie economiche negli istituti superiori, con la conseguenza che egli percepiva un quarto della retribuzione del direttore generale della stessa azienda.

di creare un assetto in grado di fare leva sulle capacità amministrative esistenti a ogni livello dell’amministrazione pubblica, potenziarle e met-terle in condizione di esprimersi al meglio.

Citando alla lettera il rapporto: «È quindi inutile sprecare tempo e risorse (anche politiche) cercando di costruire l’amministrazione che non c’è. Va inoltre evitato, se non in casi eccezionali, il ricorso a commissari straordinari i quali, nelle esperienze anche recenti, ove non muniti di poteri adeguati e di strutture di supporto, di rado riescono a conseguire i risultati sperati. È meglio tentare di utilizzare gli apparati esistenti, in-troducendo elementi di efficienza operativa e di responsabilità rafforzata per i risultati».

I compiti del Ministro per il Recovery Plan sono così indicati dal Rapporto:

1) tradurre gli indirizzi generali contenuti nelle Linee guida presentate a Bruxelles in scelte allocative riguardo a obiettivi e risorse di ognuna delle componenti, incluse le indicazioni circa le riforme che in esse devono essere previste;

2) assicurare la guida del Centro di coordinamento tecnico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri nell’identificazione dei progetti specifici che devono comporsi all’interno delle singole componenti;

3) dirigere il processo di interazione – avvalendosi del Centro di coordi-namento e dell’Agenzia della Coesione territoriale – con le Ammini-strazioni centrali, regionali e locali e con le strutture della Commissio-ne europea per tutta la fase attuativa degli interventi;

4) proporre, in coordinamento con i ministeri di settore, le modifiche legislative necessarie per garantire l’attuazione dei progetti, incluso, in casi estremi, il ricorso a misure ad hoc con efficacia temporanea;

5) proporre, nel caso di veti o ritardi, al Consiglio dei Ministri l’esercizio del potere sostitutivo, anche avvalendosi a tale scopo dei poteri attri-buiti al Governo dall’art. 120 della Costituzione;

6) garantire la trasparenza delle informazioni e gestire un monitoraggio pubblico in modo da assicurare l’accountability dei diversi soggetti coinvolti.

La presenza di un Ministro per la Ricostruzione impegnerebbe il Governo però a convergere su una figura politica ‘risolutiva’, mediante la scelta di una personalità autorevole, che sarebbe ancor più centralizza-trice del disegno prima esaminato, imperniato sulla Cabina di regia ad

hoc, probabilmente disegnata per essere la stanza di compensazione di un Governo di coalizione.

Il dibattito sulle alternative è aperto.

Come ha notato Luisa Torchia: «Non mancano sedi politiche, tecni-che, accademiche nelle quali si avanzano e discutono priorità, obiettivi, proposte e progetti per determinare i contenuti del piano. Meno intenso è, invece, il dibattito sugli strumenti e le modalità di realizzazione del piano, anche se è facile osservare – ed è del resto opinione diffusa – che la realizzazione di un piano così importante richiederà una capacità tec-nica e amministrativa che il sistema italiano è lungi dal possedere. L’espe-rienza più e meno recente dimostra, infatti, che il sistema amministrativo italiano ha capacità di gestione limitate persino rispetto a misure di pura erogazione, come è stato purtroppo dimostrato dalle difficoltà nel far giungere a destinazione le misure straordinarie – 100 miliardi di spesa aggiuntiva, almeno sulla carta – malamente disegnate nei tanti decreti legge succedutisi da marzo a oggi, nonostante l’ampio ricorso a strumen-ti di ‘alleggerimento’, come le autocerstrumen-tificazioni o l’automastrumen-ticità dei bo-nus e degli incentivi, accompagnati da un diluvio di regole (soi-disant) di semplificazione, che hanno purtroppo semplificato ben poco. Queste difficoltà sono moltiplicate quando si tratta di gestire progetti complessi o di assicurare in tempi celeri e certi la realizzazione di investimenti si-gnificativi, per i quali spesso le risorse, pur esistenti, restano inutilizzate o vengono utilizzate in misura del tutto insufficiente»7.

Nelle riflessioni della Torchia troviamo il fondo dell’ispirazione del Rapporto Assonime al quale pure lei ha collaborato.

«Poiché il pensiero magico, come accade abitualmente, non funziona, si passa rapidamente a una soluzione che è apparentemente (ma solo apparentemente) razionale: se gli apparati e le regole esistenti non fun-zionano e non possono essere trasformati nel tempo utile per trarne un dividendo politico, si va fuori dall’amministrazione e dalle regole che ci sono e si teorizza l’amministrazione che non c’è. Agenzie, amministrazio-ni di missione, task forces, uamministrazio-nità, nuclei, comitati, commissioamministrazio-ni, conferen-ze, fondazioni e, da ultimo, soprattutto commissari: lo zoo degli animali amministrativi reali e fantastici si arricchisce continuamente di generi e

7 L. ToRChia, Il Sistema amministrativo italiano e il Fondo di Ripresa e Resilienza in astrid-on-line.

specie, in assenza però di un vero processo evolutivo. Per i nuovi sogget-ti, istituiti appositamente per sostituire gli apparati considerati inefficien-ti, si invoca poi la libertà delle regole che impediscono agli apparati tra-dizionali di funzionare efficientemente, ma non si scrivono nuove regole, essendo assai più facile procedere in via di eccezione, stabilendo di volta in volta quale regola non si applica.

Ricorrere a un’amministrazione che non c’è, che opera in via di ecce-zione e di commissariamento può forse funzionare per un obiettivo molto limitato nel tempo e nello spazio (l’esempio preferito nell’attuale dibattito è la ricostruzione del Ponte Morandi a Genova e cioè di 1 km di autostrada ricostruito in due anni, con risorse completamente a carico del concessionario, in deroga a qualsiasi regola italiana ed europea), ma non è certo un rimedio che può essere applicato all’intero sistema ammi-nistrativo per diversi anni e con riferimento all’utilizzo di risorse così ingenti come quelle previste dal RFF».

Nel documento UNA SVOLTA CULTURALE PER LA CRESCITA (pagine 24-28)