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Il quadro epistemologico: paradigma, filosofia e metodo di ricerca

3 LA RICERCA

3.4 Il quadro epistemologico: paradigma, filosofia e metodo di ricerca

La ricerca in ambito pedagogico mira a comprendere l’evento educativo, un fenomeno complesso che non può essere colto con mere ricerche teoretiche che ignorino la sua specificità di sapere prassico.

Svolta solo dal punto di vista teoretico, la ricerca risulta incompleta perché il sapere pedagogico ha bisogno di comprendere gli avvenimenti nella pratica educativa: la ricerca empirica deve accostarsi alla ricerca teoretica, correlandosi ad essa per evitare di ridursi in parole vuote incapaci di cogliere la realtà dell’agire (Mortari, 2015).

Un approccio di tipo positivistico non può rispondere alle necessità conoscitive del fenomeno educativo, il quale si contraddistingue per la sua irripetibilità che non può essere costretta in procedure utilizzate per altri fenomeni e contesti.

Per poter cogliere il fenomeno educativo è necessario localizzare la ricerca nel suo contesto naturale di svolgimento: l’epistemologia della ricerca in questo ambito è di tipo naturalistico perché pone enfasi sul contesto che influisce fortemente sulla strutturazione del dato. Il setting naturale permette di incontrare la complessità, di accoglierla e di non costringerla in un luogo estraneo ad essa.

Essendo lo scopo della ricerca la comprensione dell’esperienza dei pratici sia nei termini di descrizione che di interpretazione, l’indagine cura due azioni contemporaneamente: cogliere l’essenza del fenomeno in una chiave fenomenologica e comprendere profondamente il significato che ad essa viene attribuito dai partecipanti all’indagine, secondo l’approccio ermeneutico.

Queste due esigenze coniugano rigore e delicatezza e possono essere soddisfatte da un ricercatore consapevole della sua postura nel procedere dell’indagine.

Se nella ricerca scientifica il soggetto epistemico è completamente estraniato dal contesto, in ambito costruttivistico il ricercatore deve vigilare criticamente sul processo nel suo ruolo di “partecipante marginale” (Sozio, 2005, p. 35).

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Mortari (2017) introduce l’etica epistemica come vigilanza critica nel processo di costruzione del sapere al fine di fare “scienza con coscienza” ovvero consapevolmente rispetto al proprio coinvolgimento e responsabilmente rispetto alle conseguenze delle teorie elaborate.

Giungere a comprendere le modalità con le quali viene attribuito il significato alle esperienze richiede un forte sforzo meditativo da parte del ricercatore che deve impegnarsi nella disciplina riflessiva su due piani che si intrecciano durante il processo conoscitivo. Il primo ambito è inerente a ciò che è immediatamente visibile e che il ricercatore deve esplicitare come scelta epistemica di base: il piano della “zona chiara” è composto dal quadro del paradigma prescelto, che va dichiarato anche relativamente alla filosofia, al metodo e alle tecniche di ricerca individuati di cui si devono esplicitare i motivi. Il secondo piano è inerente ciò che non è esplicito: lo “sfondo opaco”, l'insieme delle credenze, dei valori e dei presupposti che guidano la persona anche in maniera abitudinaria e che vanno sottoposti ad una vigilanza critica durante tutto il processo di conoscenza. Compiere questo sforzo riflessivo significa essere auto presenti a se stessi, sforzarsi di rimanere concentrati e lucidi per non imbrigliare il pensiero e rischiare che esso si assorba nei meandri della ricerca.

L'autrice precisa che relativamente alla posizione del ricercatore nel processo di ricerca le modalità con le quali egli può disporsi sono di tre tipi:

-esser-ci semplicemente, ovvero non mettere in discussione il processo che via via si sviluppa;

-esser-ci con chiarezza, cioè esplicitare tutte le scelte epistemologiche e metterle a confronto con gli altri;

-esser-ci con coscienza, esprimendo la più profonda consapevolezza nella propria parte soggettiva implicata nel processo di ricerca.

Trattando la complessità dell’esperienza umana, la ricerca empirica in ambito educativo non può partire da teorie preesistenti cercando dei dati che confermino la posizione teorica secondo una modalità deduttiva, altrimenti non realizzerebbe alcuna euristica; per cogliere l’essenza della datità, essa deve definire in un secondo momento

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la teoria come spiegazione dei dati emergenti, quindi la caratteristica che la contraddistingue è l’induttività.

Non sussistendo un percorso prestabilito, il cammino verso la conoscenza varia a seconda di ciò che avviene durante lo sviluppo della ricerca, per cui la progettazione della stessa deve essere flessibile ed aperta a modifiche in fieri.

Per cogliere l’esperienza dell’alterità, l’approccio si caratterizza da umiltà e delicatezza che realizzano il rispetto verso l’esperienza che viene donata e che si offre all’analisi come interpretazione di un fenomeno.

Questa attività di investigazione può essere condotta dalla ricerca qualitativa che si rivolge al mondo dei significati: “la ricerca qualitativa poggia sul principio epistemologico secondo il quale per comprendere l’esperienza si deve assumere come oggetto il mondo dei significati in cui le persone si muovono dal momento che l’essere umano vive in un mondo interpretato” (Mortari e Messetti, 2016, p. 12).

Una conoscenza affidabile non si basa su un approccio meramente quantitativo perché esso non sarebbe in grado da solo di cogliere la complessità del reale, bensì considera anche gli aspetti qualitativi espressi dal fenomeno, che possono arricchire la conoscenza dei suoi aspetti più peculiari.

Ogni ricerca educativa deve essere costruita a partire dalla determinazione del paradigma di ricerca, ovvero la mappa che orienta lo studio, racchiude le scelte e determina le azioni epistemiche; da tale cornice discendono filosofie e precisi metodi per la costruzione della teoria, nonché tecniche di indagine adatte che il ricercatore dichiara come scelta epistemologica di fondo, realizzando il primo atto di riflessione paradigmatica.

In ambito educativo la scelta del paradigma di riferimento da assumere deve essere curata con molta circospezione e delicatezza perché il fenomeno educativo che si va a studiare, come si affermava, è caratterizzato da un alto grado di complessità. Ricercare in un contesto educativo, che si presenta come complesso, significa andare alla ricerca delle relazioni che le parti intraprendono fra di loro e che attribuiscono sostanza al loro essere. Utilizzare uno sguardo che permetta di tenere presenti sia le caratteristiche del contesto ove avviene il fenomeno, sia le parti in connessione per

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poter studiarne le relazioni e la loro influenza, è il modo più adatto per rispettare la categoria ontologica della relazionalità che vede la natura dell'essere configurarsi come un essere-con-altri (Mortari 2015b, p. 33).

Per tali motivazioni, la cornice di riferimento entro cui viene collocata la ricerca educativa che qui si presenta è costituita dal paradigma ecologico, che circoscrive le scelte di approccio al fenomeno.

Il paradigma è una cornice entro la quale si definisce in che cosa consiste la ricerca, il suo oggetto, la via attraverso la quale indagarlo, le procedure di validazione e lo scopo della ricerca stessa (Kuhn, 1969, in Mortari 2015b).

Secondo Mortari (2007, 2015b), tale inquiry paradigm presenta dei presupposti adatti a cogliere l’interconnessione delle parti di un fenomeno che trova nella dinamica delle relazioni la sostanza del suo essere.

Differentemente dal paradigma positivistico che individua elementi distinti e conoscibili separatamente, il paradigma ecologico concepisce i fenomeni composti da parti intrecciate tra loro, la cui interconnessione, che forma la struttura del fenomeno, costituisce l’interesse di studio del ricercatore.

La determinazione del termine “ecologico” pone l’accento sul fatto che i singoli agiti non sono indagabili separatamente perché sono situati su una base relazionale dalla quale vengono determinati, il contesto contribuisce alla costruzione dei significati che il singolo individuo attribuisce ai fenomeni.

Tale presupposto ontologico relativo all’essenza della realtà, si accompagna al presupposto gnoseologico che definisce il significato proprio della conoscenza, l’oggetto dell’indagine non è la realtà, ma l’atto costruttivo messo in atto dalla mente e dipendente da concetti e procedure che filtrano il processo conoscitivo, nonché da situazioni sociali e pratiche conversazionali che costruiscono il processo cognitivo.

La conoscenza segue un movimento circolare che va dall’oggetto al soggetto, i quali reciprocamente si strutturano connettendosi secondo il principio dell’enattività che concepisce la conoscenza non come rappresentazione di una esistenza già data, né come costruzione di una mente separata dal mondo esterno, ma come “accoppiamento strutturale soggetto-oggetto” (Mortari, 2015, pp. 42-43).

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I presupposti epistemologici del paradigma ecologico contemplano che il fenomeno non possa essere studiato in un ambiente asettico, ma nel suo contesto naturale di svolgimento che, come abbiamo visto, determina la natura dello stesso in virtù delle variabili e delle relazioni che in esso sussistono.

I principi di relazione e di contestualizzazione conducono ad un nuovo concetto di oggettività, che rifiuta le pretese di giungere alla verità come rappresentazione isomorfica del reale, per assumere il principio di compartecipazione tra oggetto e soggetto interconnessi ma distinti. Parimenti, viene esclusa anche la possibilità di generalizzazione in quando distruttiva della singolarità del fenomeno.

Da qui nasce il presupposto etico che vede le responsabilità del ricercatore nelle scelte inerenti l’intero processo, il quale conduce non ad un mero accrescimento della conoscenza ma ad un miglioramento della qualità della vita.

Il principio della cura della ricerca si accosta al principio del rispetto dei soggetti con i quali il ricercatore interagisce e con i quali negozia il significato della conoscenza, che si traduce in trasparenza in merito alla conoscenza dei criteri e degli esiti, nonché in un linguaggio adeguato e funzionale.

Il paradigma ecologico possiede anche il presupposto politico che individua la tipologia di ricerca da condurre nella significatività che la stessa può avere dal punto di vista sociale, ovvero deve essere atta ad implementare la saggezza migliorativa delle condizioni di vita.

Dal paradigma che il ricercatore sceglie, in quanto adatto alla sua tipologia di indagine, deriva la filosofia della ricerca che indica la direzione di senso che il lavoro seguirà.

Nell’ambito della ricerca educativa, che ha come suo scopo lo studio dei fenomeni nel loro essere atti di coscienza (in questa ricerca nello specifico l’interpretazione dei dilemmi morali) la filosofia di riferimento è quella fenomenologica, detta anche scienza della descrizione perché si propone di giungere all’essenza del fenomeno tramite la sua rigorosa descrizione.

Approcciarsi al fenomeno con l’intento di rimanere fedeli ad esso per coglierne l’essenza tramite una rigorosa attività descrittiva impone al ricercatore una postura

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molto disciplinata atta a non avvicinare il fenomeno con concetti preesistenti o con supposizioni anticipatorie. Il ricercatore deve esercitare un atteggiamento di apertura all’ascolto, deve arrestarsi, esercitare l’epochè, la mossa epistemica fondamentale che realizza la sospensione dei filtri di conoscenza abituali per riuscire ad accogliere, a com- prendere il fenomeno che si svela davanti a sé senza preconcetti, giudizi o aspettative. Riprendendo Husserl (1913), fare epoché significa non negare il mondo, ma esercitare l'epoché fenomenologica non attuando alcuna esperienza del reale in senso ingenuo e diretto. Mettere tra parentesi le conoscenze pregresse compresi i pregiudizi, aprendosi alla datità delle cose in maniera pura per accogliere il significato del mondo che si presenta davanti ai propri occhi, è un arduo compito, concepito più come ideale regolativo che come obiettivo realizzabile. Esso è uno sforzo faticoso che può essere supportato da alcuni stratagemmi idonei a limitare l'emergere di automatismi: un uso funzionale di un diario di ricerca per documentare e portare alla luce le proprie azioni epistemiche, il confronto intersoggettivo e la riflessione sulla propria postura nell’ambito del processo di ricerca (Sità, 2012).

Questo impegnativo atteggiamento di continuo ritorno su di sé e sulla propria consapevolezza impone il riconoscimento che ci si trova dinnanzi un fenomeno nella sua unicità, singolarità che rifugge ogni generalizzazione e che richiede una riflessione continua ed ordinata da parte del ricercatore che lo metta al riparo da cadute anche inconsce in pensieri precostituiti, è basilare che “il pensiero si tolga dal fluire dell’azione per fermarsi e, riguardandola come in uno specchio che ne riflette l’immagine, ripiegarsi su di essa” (Mortari, 2010, p. 132).

Vi sono due principi che devono essere applicati nell'ambito della filosofia fenomenologica: il principio di evidenza, che mantiene lo sguardo su ciò che appare, e il principio di trascendenza, che orienta lo sguardo sugli indizi.

Richiamare la fedeltà nei confronti del fenomeno è rispettare la sua evidenza per come si presenta: “impegnarsi a praticare il principio di fedeltà al modo di mostrarsi delle cose significa cercare quella forma di lealtà ontologica che costituisce una condizione essenziale del rigore dell’atto euristico” (Mortari e Messetti, 2016, p. 23).

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Ma il fenomeno non compare nella sua interezza, cela anche dei lati nascosti che vengono suggeriti da quelli apparenti che la trascendenza può ricercare andando oltre le immediate evidenze.

Mortari (2007, 2015b) indica che per poter realizzare la filosofia fenomenologica è necessario realizzare degli atti cognitivi che sgomberino la mente da aspettative per lasciare spazio alla manifestazione del fenomeno.

Tali atti cognitivi sono l’attenzione aperta, il non cercare, il fare vuoto, lo spaesarsi, l’accoglienza dell’alterità, l’uso di parole fedeli al fenomeno, un pensare capace di sentire e il pensarsi pensare.

Disporsi ad accogliere in modo fedele il fenomeno che si offre è la postura fenomenologica dell’attenzione accogliente il fenomeno, senza preconcetti o influenze di conoscenze pregresse. È definito come un ascoltare passivo, un’attenzione allocentrica, e non autocentrica tipica del positivismo, che si dispone in modo ricettivo sviluppando una disposizione rilassata della mente atta a recepire il valore intrinseco dell’oggetto. Questa è la fedeltà alle cose che permette il loro manifestarsi libero da costrizioni.

Per attuare tale predisposizione all’accoglienza è necessaria la postura del non- cercare, che significa indietreggiare e attendere la manifestazione del fenomeno nelle sue forme. E’ uno “sguardo aurorale” (Mortari 2015b, p. 95), che attende con abbandono e in modo passivo di accogliere la luce quando essa appare, è “esperienza originaria e visione eidetica” (De Monticelli, 1998).

Lasciare spazio alla luce implica creare un vuoto che estromette dalla visione i propri concetti, desideri o aspettative e rende leggeri e permeabili.

Lo spaesamento cognitivo permette di allontanare da sé i pensieri e le esperienze precedenti con un atto di volontà che non teme l’incontro con l’inaspettato. La fenomenologia viene così a confermarsi come una disposizione all’accoglienza e non assimilazione dell’alterità in modelli precostituiti di stampo positivistico: è epistemologia ospitale (Mortari, 2016, p. 103).

La mossa epistemica dell’epochè fenomenologica si definisce come epochè radicale quando estromette la propria forma mentis in senso globale, ed epochè professionale

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quando arresta anche gli strumenti epistemici; tale sospensione si esplica anche nella pratica lessicale, in un linguaggio capace di restituire l’esperienza nella sua essenza, un “dire fenomenologico” che usa poche e distinte parole scevre da ovvietà. Fare epochè anche nel linguaggio significa abbandonare il senso attribuito ai termini di uso consueto per aprirsi ad accogliere nuovi significati.

L’attività riflessiva non si esaurisce nel pensare in modo razionale, bensì si espande anche al sentire come atto necessario condotto in modo empatico per giungere alla conoscenza del dato offerto.

Contrariamente dal positivismo che rifugge emozioni e sensazioni soggettive, la fenomenologia le integra nel processo conoscitivo che si costituisce in modo più dinamico e flessibile.

La postura del ricercatore richiede responsabilità riflessiva che si compie nel pensarsi pensare, rendere consapevole la vita della sua mente in quanto fenomeno da portare all’evidenza della coscienza: il cogitatio, l’esperienza della mente, può divenire cogitatum ovvero atto riflessivo su di essa.

Considerate le caratteristiche della postura del ricercatore che si approccia alla conoscenza del fenomeno, così come è stata definita dal paradigma ecologico e dalla filosofia fenomenologica, si giunge ora alla scelta del metodo che è di rilevante importanza perché finalizzata a realizzare la fedeltà alla datità originaria e al processo conoscitivo.

In base a questi assunti, il metodo non può imporsi come una struttura rigida che vincoli la conoscenza, è discovered oriented, si accomoda e rimodula al processo di ricerca che via via si snoda. Esso è paragonabile ad una mappa che deve essere ridefinita in base al percorso che si incontra per non rischiare di perdere l’orizzonte che conduce alla meta con imposizioni che costringono o mistificano la realtà.

Per “andare direttamente alle cose”, come insegna Husserl, e comprendere il significato che viene attribuito al fenomeno dai soggetti che ne fanno esperienza serve un approccio flessibile che si modelli in base a ciò che progressivamente si svela.

Di conseguenza, il metodo non può presentarsi all'inizio del processo di ricerca nella sua determinazione chiara e distinta, ma può proporsi solo come una indicazione

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che guida il percorso verso la conoscenza, deve caratterizzarsi per essere indiziario, a- metodico.

Siffatta tipologia di visione viene assunta da metodi diversi: la Grounded Theory e il metodo fenomenologico eidetico.

La Grounded Theory si basa sul principio della fedeltà al fenomeno ed è concepita come uno strumento in costante divenire durante lo svolgersi del processo di ricerca. Essa è un metodo di ricerca qualitativa nata in un contesto sociologico (Strauss and Corbin, 1998) per poi essere applicata anche in ambito psicologico, pedagogico e antropologico. Essa indica sia il metodo di ricerca che il prodotto della stessa: “Grounded theory is not a theory at all. It is a method, an approach, a strategy” (Punch in Khan, 2014, p. 227).

Tale teoria euristica si caratterizza per una procedura ricorsiva, in quanto compone in modo circolare e dialogico la raccolta e l'analisi dei dati con la loro interpretazione, al fine di giungere all’elaborazione di una prima teoria che orienti il successivo momento di raccolta di dati e di interpretazione, che porterà a ridefinire ricorsivamente la teoria in una sequenza a spirale.

La ricerca così condotta si configura come una serie ordinata di momenti che comprendono: l'individuazione di un'area di indagine, la messa a fuoco di una questione generativa, la decisione inerente la tecnica per la raccolta dei dati e quindi l'analisi degli stessi. Questa fase, a sua volta, consta di tre momenti distinti: una lettura dei testi ripetuta al fine di individuare le unità significative e di attribuire loro una etichetta concettuale in base all'interpretazione data dal narratore (open coding); quindi le etichette individuate secondo un criterio di similitudine vengono raggruppate in categorie e, in modo simile, le categorie vengono riunite in macro-categorie (axial coding). Dopo una prima scomposizione, si assiste ad una ricomposizione che porta a riunire le categorie intorno ad un cuore centrale ovvero un enunciato che riassuma ed esprima fedelmente il significato di tutte le categorie emerse (selective coding). Conclusa la prima codifica si sottopone a verifica il processo fino all’individuazione di etichette concettuali sempre più aderenti ai significati offerti.

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La Grounded Theory si valuta nei termini di adeguatezza delle categorie ai dati emergenti e di rilevanza nell’individuare l’essenza del fenomeno analizzato.

La teoria viene così a costruirsi in maniera induttiva, per cui è necessaria una riflessione costante da parte del ricercatore che sta conducendo l'indagine per tenere la mente aperta alla costante verifica del processo di costruzione ed evitare di cadere nella certezza delle categorie elaborate. Fondamentale in questo metodo è la scrittura dei memos, un resoconto dell’attività che ha condotto il ricercatore a stabilire i concetti e raggrupparli in etichette e categorie.

Il metodo fenomenologico-eidetico pone non nel metodo ma nell’oggetto il significato dell’esperienza vissuta così come viene descritta dai partecipanti; esso si presenta meno strutturato rispetto alla Grounded Theory e pone enfasi sulla postura del ricercatore, il quale deve rimanere costantemente fedele alla datità che gli viene offerta e orientarsi alle “strutture invarianti essenziali”.

I momenti dei quali si compone sono l'individuazione del fenomeno da investigare, la formulazione della domanda di ricerca e il criterio per l'individuazione dei partecipanti; questi ultimi sono invitati a proporre delle descrizioni del fenomeno che hanno vissuto, quindi i dati vengono raccolti tramite una intervista intensiva condotta da un ricercatore che esercita costantemente l’epoché.

Il processo di analisi secondo il metodo fenomenologico-eidetico consta di un ordine di fasi: dopo una iniziale orizzontalizzazione, ovvero l'individuazione dei significati riportati dai partecipanti, le parti più significative vengono raggruppate in clusters of meaning che danno già una prima forma all'ordine dei dati. Segue l'elaborazione