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Il recepimento della Direttiva 93/7/CEE nell'ordinamento italiano

Capitolo V Il rapporto tra la normativa dell'Unione europea e la disciplina

2.3. Il recepimento della Direttiva 93/7/CEE nell'ordinamento italiano

come abbiamo già avuto modo di evidenziare, dovrà necessariamente avvenire entro e non oltre il 18 dicembre 2015 e che comporterà l'obbligo giuridico a carico dell'Italia (e degli altri Stati membri) di apportare le opportune modifiche al Capo V, Sezione III del Codice, dedicato alla “Disciplina in materia di restituzione, nell'ambito dell'Unione europea, di beni

culturali illecitamente usciti dal territorio di uno Stato membro” (articoli 75-86), la materia

qui in esame resta disciplinata dalla normativa contenuta nella direttiva 93/7/CEE, che verrà definitivamente abrogata il 19 dicembre 2015.

Ciò premesso, occorre comunque ricordare quanto già precedentemente sottolineato, ossia come, le direttive UE, producano determinati effetti già prima di essere effettivamente trasposte nel diritto interno degli Stati membri.

Nel caso in cui lo Stato membro (e nel caso di specie l'Italia) non trasponesse tempestivamente ed adeguatamente la direttiva, si produrrebbero egualmente i c.d. “effetti

diretti”: come precisato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea,

infatti, le norme della direttiva, se sufficientemente precise ed incondizionate, fanno sorgere in capo alle persone fisiche e giuridiche determinate situazioni giuridiche soggettive. Inoltre, in presenza di determinate condizioni, può sorgere un diritto al risarcimento del danno a favore delle persone fisiche e giuridiche nei confronti dello Stato membro inadempiente. Il giudice interno, sul piano interpretativo, deve peraltro sottostare ad un preciso obbligo che lo vincola ad interpretare il proprio diritto nazionale alla luce della lettera e dello scopo della direttiva, al fine di raggiungere il risultato ivi indicato, in ottemperanza all'art. 288, comma 3 TFUE. Il giudice nazionale non può comunque giungere ad un'interpretazione contra

legem del diritto interno e, tale obbligo, sorge solamente dalla data entro la quale lo Stato

membro avrebbe dovuto dare attuazione alla direttiva.

Nel periodo attuale, compreso tra l'entrata in vigore della direttiva 2014/60/UE (17 giugno 2014) e termine entro cui effettuarne la trasposizione (18 dicembre 2015), l'obbligo gravante sul giudice interno, sul piano interpretativo, non è quello generale di interpretare il diritto interno conformemente alla direttiva, ma quello, maggiormente limitato, di astenersi, per quanto possibile, dal fornire interpretazioni del diritto interno che potrebbero compromettere gravemente, dopo la scadenza del termine di attuazione, la realizzazione del risultato perseguito dalla direttiva.

Pertanto, nel periodo in esame, il giudice può comunque utilizzare la normativa della nuova direttiva come strumento ermeneutico del diritto interno, pur non sussistendo ancora un vero e proprio obbligo di interpretazione conforme, ma solo il supra evidenziato obbligo, dai contorni più limitati.

In Italia, il recepimento della direttiva 93/7/CEE è avvenuto in forza della legge 30 marzo 1998 n. 88 rubricata “Norme sulla circolazione dei beni culturali”. La legge si componeva di 26 articoli ed ha avuto vita particolarmente breve, essendo stata abrogata ed incorporata nel T.U. dei beni culturali del 1999257 (artt. 73 e ss.) e confluendo, successivamente alla sua

abrogazione, nel Codice Urbani258 (artt. 75 e ss).

257Decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 recante il “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni

culturali e ambientali”, a norma dell'articolo 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352, in G.U. 27 dicembre 1999, n. 302

– Suppl. ord. n. 229.

258Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 recante il “Codice dei beni culturali e del paesaggio” ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137, in G.U. 24 febbraio 2004, n. 45. Il codice è anche denominato “Urbani” dal nome dell'allora Ministro della cultura Giuliano Urbani.

Tuttavia, né il Testo Unico, né il Codice Urbani hanno modificato radicalmente l'impianto della legge n. 88/1998, ma si sono limitati a recepirne le norme apportando qualche novità stilistica e, solo raramente, sono intervenuti sul sistema precedentemente delineato259.

L'obbligo di restituzione, introdotto in attuazione dell'art. 13 della direttiva 93/7 (riprodotto, senza alcuna modifica, dalla direttiva 2014/60/UE al suo art. 14), riguarda i beni culturali che si trovino in Italia e che siano stati illecitamente esportati da un altro Stato membro in data successiva al 31 dicembre 1992. Nessuna restituzione può esser disposta per i beni culturali che abbiano fatto ingresso, entro i confini italiani, anteriormente alla suddetta data: in relazione a questi ultimi, si assiste pertanto ad una sorta di legittimazione dello status

quo, in forza del quale tutto ciò che si è verificato prima del 31 dicembre 1992, non è più

soggetto a modificazione, se non attraverso negoziati diretti con lo Stato interessato.

Come abbiamo già avuto modo di evidenziare, la data del 1° gennaio 1993, è tutt'altro che casuale: come compiutamente osservato supra, nei capitoli precedenti, questa è infatti la data a decorrere dalla quale venne realizzato il c.d. “abbattimento delle frontiere” fra Stati membri, che portò all'instaurazione del mercato interno dell'allora C.E.E. e, di conseguenza, rappresentava il momento a partire dal quale il rischio di una circolazione illecita della particolare categoria di beni qui in esame, sarebbe certamente aumentato in modo considerevole.

La direttiva 93/7, al secondo comma del suo art. 14 (disposizione testualmente riprodotta all'art. 15, comma 2 della direttiva 2014/60/UE), lasciava tuttavia ad ogni Stato membro la facoltà di applicare il regime previsto dalla direttiva stessa anche alle richieste di restituzione relative a beni culturali usciti illecitamente dal territorio di altri Stati membri in data antecedente al 1° gennaio 1993.

Desta certamente qualche perplessità il fatto che l'Italia non si sia avvalsa di tale possibilità (come risulta chiaramente dal tenore letterale dell'art. 75, comma 1, del Codice Urbani), pur essendo, alla luce dell'importanza del suo straordinario patrimonio culturale, il Paese maggiormente interessato all'applicazione di un efficace sistema di restituzione dei beni culturali illecitamente usciti dal territorio di uno Stato membro.

L'aver ignorato la possibilità fornita dall'art. 14 della direttiva, ha portato la dottrina a sostenere che il legislatore italiano non abbia adeguatamente usufruito dei margini di discrezionalità concessi dalla normativa comunitaria ai legislatori nazionali260.

In effetti, a ben vedere, nelle norme di recepimento il nostro legislatore, come del resto è ormai costume consolidato in Italia, si è limitato a trasporre letteralmente il testo della direttiva, aggiungendo ben poche disposizioni e non usufruendo dei margini di discrezionalità che essa prevedeva per gli Stati membri.

Considerazioni analoghe possono peraltro essere avanzate in relazione alla mancata estensione, da parte del nostro legislatore, dell'obbligo di restituzione a categorie di beni culturali non comprese nell'allegato di cui alla direttiva 93/7, la cui “vita” sta comunque per giungere al termine in virtù delle modifiche apportate dalla direttiva 2014/60/UE.

259Cfr. GASPARINI – CASARI, in AA.VV., La nuova disciplina dei beni culturali e ambientali, Bologna, 2000, p. 226.