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Capitolo V Il rapporto tra la normativa dell'Unione europea e la disciplina

2.2. L'uscita del bene culturale dal territorio italiano

2.2.1. L'uscita definitiva

L'uscita definitiva può realizzarsi in due diverse ipotesi e cioè nel caso in cui il bene culturale venga alienato ad un soggetto straniero, oppure in caso di trasferimento definitivo del proprietario italiano che intende portare con sé il bene.

In particolare, l'art. 65 del Codice prevede una serie di divieti di uscita definitiva dal territorio dello Stato italiano per tutte le tipologie di beni culturali elencate all'art. 10, commi 1, 2 e 3 e nell'art. 11, comma 1, lett. d) e f). Si tratta, in sostanza, di qualsiasi bene culturale, vista l'ampia elencazione dell'articolo in esame244.

Conferma del generale divieto di uscita è offerta dall'elenco di ciò che invece, previa autorizzazione, può uscire dal territorio nazionale. Si tratta delle cose, “a chiunque

appartenenti245, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad

oltre cinquant'anni; degli archivi e dei singoli documenti appartenenti a privati” (art. 65,

comma 3, lett. a) e b)), ma sia per le une che per gli altri è richiesto che presentino un interesse culturale puro e semplice; ergo, non possono essere considerati culturali, posto che tali sono, ex art. 10, comma 3, soltanto i beni che presentano un interesse culturale “particolare” o “eccezionale”.

Ai sensi dell'art. 65, comma 3, lett. c), possono inoltre uscire le cose, a chiunque appartenenti, indicate all'art. 11, comma 1, lettere f), g) ed h), e cioè le fotografie, con

244Sono compresi nell'elenco di cui all'art. 10 diverse categorie di beni culturali. Al comma 1 dell'art. 10, si afferma che “Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici

territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche senza fini di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico”. Al comma 2, si afferma che “Sono inoltre beni culturali: le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie ed altri luoghi espositivi […]; le raccolte librarie delle biblioteche dello Stato, delle regioni […] ”; al

comma 3 si fanno rientrare nella categoria dei beni culturali, “quando sia intervenuta la dichiarazione prevista

dall'art. 13”, (ossia la dichiarazione dell'interesse culturale): “cose mobili o immobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico […] appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1; gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che rivestono interesse storico particolarmente importante; […] le collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, che non siano ricomprese tra quelle indicate al comma 2 e che […] rivestano come complesso un eccezionale interesse”, ecc.

245In realtà l'espressione “a chiunque appartenenti” appare criticabile e contraddittoria. Infatti, i beni indicati alla lettera a) dell'art. 65, comma 3, se appartenenti a soggetti diversi dai privati, non possono essere esportati; cfr. MAGRI, La circolazione dei beni culturali nel diritto europeo: limiti e obblighi di restituzione, Napoli 2011, p.107.

relativi negativi e matrici, gli esemplari di opere cinematografiche, audiovisive o le sequenze di immagini in movimento, le documentazioni di manifestazioni, sonore o verbali, comunque realizzate, la cui produzione risalga ad oltre venticinque anni, i mezzi di trasporto aventi più di settantacinque anni, i beni e gli strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica aventi più di cinquant'anni.

Ciò che si intende ostacolare attraverso i divieti e le restrizioni apposti dall'art. 65, commi 1 e 2, è evidentemente il possibile depauperamento del patrimonio culturale dello Stato italiano. In particolare, ci si riferisce principalmente ai beni culturali appartenenti allo Stato, come risulta dall'art. 10, comma 1, richiamato dall'art. 65, ai sensi del quale i beni culturali sono “cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici

territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico”.

Si intende altresì ostacolare il depauperamento del patrimonio culturale che, pur non appartenendo allo Stato italiano, comunque insiste sul territorio dello Stato, poiché l'art. 10, comma 1, fa riferimento anche alle “cose […] appartenenti a persone giuridiche private

senza fine di lucro” e, il comma 3, lett. a), completa il novero dei soggetti includendovi le

“cose […] appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1”.

Invece, le “cose” di cui all'art. 65, comma 3, vengono prese in considerazione dalla normativa sui beni culturali unicamente al fine di controllarne l'uscita dal territorio nazionale: evidente, quindi, che il legislatore non le consideri di particolare interesse per il patrimonio culturale nazionale.

Pertanto, in base alla legislazione vigente, non solo il bene culturale non può lecitamente uscire dai confini italiani, ma non può uscire, senza autorizzazione, nessun oggetto che rivesta un interesse per l'arte, la storia, l'archeologia, l'etnoantropologia, l'archivistica e la bibliografica.

L'obbligo di ottenere l'autorizzazione è imposto non soltanto al fine di evitare il depauperamento del patrimonio culturale, ma anche allo scopo di individuare beni culturali dei quali non sia nota l'esistenza. L'ufficio d'esportazione, organo preposto per il rilascio della suddetta autorizzazione, al quale il bene da trasferire deve essere presentato, infatti, se ritiene che si tratti di un bene culturale, può negare l'autorizzazione e promuovere il procedimento di dichiarazione.

In relazione all'autorizzazione all'esportazione246, il Codice introduce un'importante novità.

Si tratta del c.d. attestato di libera circolazione, di cui all'art. 68, non previsto dall'art. 69 del T.U. Per ottenere tale attestato, chi intende far uscire le cose indicate all'art. 65, comma 3, deve formulare un'apposita richiesta e presentarla al competente ufficio di esportazione, indicando contestualmente, e per ciascun bene culturale, il valore pecuniario (art. 68, comma 1).

Depositata la richiesta, entro tre giorni dalla presentazione della cosa, l'ufficio di esportazione deve darne notizia ai competenti uffici del Ministero affinché gli stessi provvedano a segnalare, entro i successivi dieci giorni, ogni informazione utile in ordine agli oggetti presentati per l'uscita definitiva (art. 68, comma 2). L'ufficio di esportazione, accertata la congruità del valore indicato, rilascia o nega con giudizio motivato, anche sulla

246Da notare come l'utilizzo della parola “esportazione” necessiti di qualche precisazione: infatti, nella normativa europea, con tale espressione si intende l'uscita del bene dal territorio dell'Unione mentre, nella disposizione in esame, col termine esportazione, si fa riferimento all'uscita del bene dal territorio dello Stato italiano.

base delle segnalazioni ricevute, l'attestato di libera circolazione, dandone comunicazione al soggetto interessato entro quaranta giorni dalla presentazione della cosa (art. 68, comma 3). Nel valutare se l'attestato di libera circolazione debba o meno essere rilasciato, ai sensi dell'art. 68, comma 4, gli uffici di esportazione accertano se le cose presentate, in relazione alla loro natura o al contesto storico-culturale cui appartengono, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico, ai sensi dell'art. 10. Nello svolgere tali valutazioni, i competenti uffici devono necessariamente attenersi alle linee guida, di carattere generale, stabilite dal Ministero, sentito il competente organo consultivo.

L'attestato di libera circolazione, una volta rilasciato, ha validità triennale ed è redatto in tre originali, uno dei quali è depositato negli atti dell'ufficio di esportazione; un secondo è consegnato all'interessato e deve accompagnare l'oggetto durante la circolazione, ed il terzo è trasmesso al Ministero per la formazione del registro ufficiale degli attestati (art. 68, comma 5). Qualora l'attestato venga negato, si ha l'avvio del procedimento di dichiarazione dell'interesse culturale, ai sensi dell'art. 14 del Codice. Avverso al diniego è comunque ammesso ricorso al Ministero, per motivi di legittimità e merito, entro il termine di trenta giorni, ai sensi dell'art. 69 del Codice247.

L'art. 70 del Codice prevede la facoltà, per il Ministero, su proposta dell'ufficio di esportazione, di procedere all'acquisto coattivo del bene versando il prezzo indicato nella denuncia di trasferimento248. La determinazione deve essere comunicata alla regione in cui si

trova l'ufficio di esportazione ed all'interessato, che deve anche essere informato del fatto che l'oggetto gravato dalla proposta di acquisto resta in custodia presso il competente ufficio, fino alla conclusione del relativo procedimento.

In sostanza, di fronte ad una richiesta di esportazione di beni culturali, l'amministrazione ha tre differenti opzioni: concedere la licenza d'esportazione, negarla, oppure procedere all'acquisto coattivo. Nel caso in cui si proceda all'acquisto, il provvedimento deve essere notificato al soggetto interessato entro il termine perentorio di novanta giorni dalla denuncia.

Fino a quando non sia intervenuta la notifica del provvedimento di acquisto, l'interessato può rinunciare all'esportazione e provvedere al ritiro del bene.

In dottrina, alcuni hanno voluto equiparare l'acquisto coattivo all'istituto della prelazione prevista all'art. 60 del Codice o ad un esercizio del diritto di opzione da parte dell'autorità amministrativa. In verità non sembrano istituti totalmente assimilabili in quanto, nell'ipotesi di uscita definitiva del bene, il proprietario non necessariamente intende privarsi della proprietà, come invece avviene nel caso della prelazione o dell'opzione, ma ha solamente manifestato la propria volontà di far fuoriuscire il bene dal territorio nazionale. Né l'istituto pare assimilabile a quello dell'espropriazione di pubblica utilità, vista la rilevanza giuridica assunta dall'atteggiamento del proprietario rispetto agli oggetti per cui si procede, non potendo l'ufficio attivarsi motu proprio ed essendo espressamente riconosciuta la possibilità,

247Per un approfondimento relativo alla compatibilità ed al rapporto dell'art. 68 del Codice con l'art. 36 TFUE e con il regolamento CE n. 116/09, cfr. DEL CHICCA, Articolo 68, in FAMIGLIETTI – PIGNATELLI, Codice dei beni

culturali e del paesaggio, Roma, 2015, p.423 ss.

248A norma dell'art. 70, comma 3, “Qualora il Ministero non intenda procedere all'acquisto, ne deve dare

comunicazione, entro sessanta giorni dalla denuncia, alla regione nel cui territorio si trova l'ufficio di esportazione proponente. La regione ha facoltà di acquistare la cosa nel rispetto di quanto stabilito all'art. 62, commi 2 e 3 ed il relativo provvedimento è notificato all'interessato entro il termine perentorio di novanta giorni dalla denuncia.”

all'interessato, di inibire la definizione del procedimento di acquisto mediante rinuncia all'esportazione249.

Non si può tuttavia negare che, a fondamento della prelazione di cui all'art. 60 e dell'acquisto coattivo, vi sia la medesima ratio, consistente nella finalità di garantire il patrimonio culturale nazionale sino a spogliare, se necessario, il soggetto privato della proprietà del bene.250

La realizzazione di alcune delle condotte vietate dall'art. 65 viene a configurare un illecito penale. Infatti, l'art. 174 del Codice Urbani, la cui rubrica recita “Uscita o esportazione

illecita”, punisce con una sanzione penale (seppur di modesta entità251) “chiunque

trasferisce all'estero cose di interesse artistico, storico, archeologico, bibliografico, documentale o archivistico, nonché quelle indicate all'art. 11, comma 1, lettere f), g) e h), senza attestato di libera circolazione o licenza di esportazione”.

Se l'articolo 174 effettua una descrizione della fattispecie di reato particolarmente chiara, riferendosi all'art 11, comma 1, lett. f), g) e h) e ponendo come condizione per la punibilità l'assenza dell'attestato di libera circolazione o della licenza di esportazione, altrettanto non può dirsi per ciò che attiene la punizione irrogata, caratterizzata da una formulazione eccessivamente generica, riferita a “chiunque trasferisce all'estero cose di interesse storico,

artistico, […]”. In particolare, c'è da chiedersi se nella condotta appena evidenziata si

possano ricomprendere anche le “uscite definitive”, proibite ex art 65. La risposta dovrebbe comunque essere positiva, senza timore di imbattersi in alcuna violazione del principio di legalità penale, poiché l'inciso “chiunque trasferisce all'estero” dovrebbe senz'altro poter ricomprendere anche la specificità dell'uscita definitiva252.