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Capitolo 3 Le politiche industriali nei settori infrastrutturali di pubblica utilità

6.3. La liberalizzazione e il problema dell’introduzione di un margine d

6.3.1. Il riconoscimento del profitto privato sulle tratte potenzialmente

produzione privata

Il presupposto logico di ogni processo di liberalizzazione, ovvero di apertura di un settore economico ad una pluralità di imprese private, è il riconoscimento di un margine di profitto laddove precedentemente tale presenza non era affatto scontata. Come noto, un’impresa pubblica può produrre alternativamente secondo la logica della massimizzazione del profitto come obiettivo preminente o secondo priorità diverse. Altresì un’impresa pubblica può puntare almeno alla piena copertura dei costi di gestione oppure può non avere tale obiettivo minimo ricevendo una copertura tramite sussidiazione a carico dello Stato o di enti pubblici locali.

Un’impresa privata, sussidiata o meno che sia, ha, in ogni caso, per sua stessa natura, come obiettivo preminente, la massimizzazione del profitto. Un profitto privato normale, pertanto, è un elemento di costo che qualsiasi processo di apertura al mercato presuppone.

Come detto nel capitolo precedente, l’esistenza di un margine di profitto viene interpretata dalla teoria economica dominante come la condizione di efficienza della gestione di impresa poiché il profitto altro non sarebbe, in tale visione, che la remunerazione al margine del contributo dato dal fattore capitale alla produzione. Alternativamente il profitto è visto come remunerazione del rischio di impresa.

Ipotizzando, però, che la massimizzazione del profitto non sia l’unica leva possibile per il conseguimento dell’efficienza (produttiva e dinamica) e che lo stesso livello di efficienza possa essere raggiunto da un’impresa pubblica che opera per la sola copertura dei costi, il profitto si presenta allora come elemento di costo aggiuntivo che, senza garantire maggiore efficienza, ha semplicemente un impatto distributivo. In particolare la previsione di un margine di profitto normale, a parità di produttività dei fattori della produzione, può scaricarsi su tre grandezze: sul prezzo, sui salari o sulla fiscalità generale.

Nel primo caso, l’aggiunta di un profitto porta ad un aumento dei prezzi medi nel settore ferroviario a parità di salario e a parità di sussidi pubblici erogati tramite la fiscalità generale. Si scarica quindi sugli utenti dando forma ad una redistribuzione regressiva del reddito (andando a colpire parimenti persone con redditi tra di loro diversi e colpendo mediamente un bisogno, quale il trasporto, dal carattere essenziale).

Nel secondo caso, l’aggiunta di un margine di profitto, a parità di prezzo e di sussidi pubblici, porta all’abbassamento dei salari, dando forma ad una redistribuzione regressiva diretta.

Nel terzo caso, l’aggiunta di un margine di profitto, a parità di prezzo e di salari, porta ad un aumento dei sussidi erogati dallo Stato e quindi grava sulla fiscalità generale (o tramite un aumento della tassazione o tramite uno spostamento di spesa pubblica da un settore ad un altro), ovvero su tutta la collettività che si fa carico della copertura del profitto d’impresa.

In tutti i casi si ha una forma di redistribuzione regressiva che sposta reddito dai salari, dai cittadini utenti o dalla collettività verso il profitto di impresa, senza alcuna garanzia che questa redistribuzione abbia come contropartita economica un aumento di efficienza produttiva o dinamica del settore, viste le difficili relazioni determinabili tra assetto di mercato, proprietà ed efficienza.

Il quadro diviene ancora più critico nel caso in cui all’impresa privata non viene imposto l’obbligo di contribuire con parte dei propri profitti alla copertura del servizio universale, ovvero di quella parte di servizio normalmente sussidiata dai profitti delle imprese pubbliche e-o coperta dalla fiscalità generale.

In questo caso l’impresa privata che entra nel mercato non ha nessun incentivo a ridurre i costi di produzione aumentando l’efficienza tecnica e dinamica, poiché ha un margine di profitto normale garantito e non eroso da alcun contributo obbligatorio per lo sviluppo del servizio sussidiato. Inoltre, la mancanza di tale vincolo, nel caso di concorrenza sul mercato con compresenza di imprese private e dell’ex-monopolista pubblico vincolato alla parziale copertura del servizio universale tramite i profitti, crea una concorrenza sleale tra imprese private (che possono disporre per intero dei profitti per la propria strategia competitiva) e impresa pubblica (che deve dirottare parte dei profitti alla copertura delle spese

per i servizi non redditizi). Come vedremo, riguardo a questo specifico punto, in Europa si sono create diverse situazioni. La recente apertura alla concorrenza sul mercato nel settore passeggeri dell’Alta Velocità in Italia, diversamente dal settore delle telecomunicazioni (in cui è stato imposto un contributo obbligatorio per la copertura del servizio universale), ha seguito il modello più critico e distorsivo della concorrenza sleale privato-pubblico e della copertura totale a carico dei contribuenti (e dei lavoratori) del profitto privato del nuovo concorrente.

Un altro elemento che invita ad una seria riflessione sul problema dell’introduzione di un margine di profitto nel settore ferroviario riguarda le condizioni oggettive che hanno permesso, da un punto di vista dell’evoluzione tecnica e commerciale del settore, l’emersione di un possibile saggio del profitto. Come analizzato nel precedente capitolo, il trasporto ferroviario è stato storicamente un settore poco propenso alla realizzazione di utili. Fattori istituzionali (concezione disintegrata del settore) e fattori tecnici (diffusione dell’alta velocità) hanno segnato una netta inversione di tendenza a partire dall’ultimo ventennio.

Per quanto riguarda l’alta velocità, che è il segmento su cui in Italia si è recentemente aperta la concorrenza di fatto, occorre ricordare che la sua realizzazione è avvenuta interamente a carico dello Stato, ovvero dei contribuenti. E’ lo Stato, quindi, che ha creato le condizioni tecniche per la realizzazione di un segmento ad alta frequentazione e ad alta competitività intermodale, capace di poter generare utili cospicui per le imprese. E’ lo Stato in definitiva che ha investito enormi risorse pubbliche affinché nascesse un settore rivelatosi profittevole, per poi privarsi, tramite la liberalizzazione, di parte di tali potenziali profitti (che avrebbero potuto quanto meno ricompensare nel tempo l’altissima spesa in investimenti effettuata). Indubbiamente si tratta di una contraddizione rilevante che dovrebbe porre ulteriori dubbi circa l’opportunità di un’apertura del mercato in tale settore.

6.3.2. La questione dei sussidi incrociati e il rapporto tra tratte profittevoli e