2.5 IL DIRITTO DI NON CURARS
2.5.1 IL RIFIUTO DELLE CURE ED IL CONSENSO INFORMATO
Vediamo ora in più dettaglio come il diritto fondamentale al rifiuto delle cure trovi una sua tutela nella Costituzione e nel Codice Civile.
In particolare, la protezione dell'art 32, secondo comma, Costituzione.
L’art 32 Costituzione riconosce il diritto fondamentale alla salute (sia come 38 diritto sociale che come diritto di libertà) e, nel secondo comma, sancisce esplicitamente il diritto fondamentale al rifiuto delle cure («nessuno può essere obbligato a un determinato :trattamento sanitario se non per disposizione di Legge»), prevedendo limitazioni solo per la tutela dell'interesse pubblico, dato che in nessun caso possono essere violati «i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Il diritto sancito nel secondo comma va inteso quindi non come diritto a morire, ma come diritto al rifiuto delle terapie. Poiché nella Costituzione non è fatta menzione di alcun dovere alla cura della propria salute, non vi sono pertanto limiti all’autodeterminazione del paziente, che quindi ha pieno diritto di non curarsi e persino di lasciarsi morire, non essendo permissibile la delineazione di un generale obbligo di curarsi. Va altresì notato che la Costituzione, anche in conseguenza del principio personalista sancito nell’art 2, ha operato un rovesciamento dell’assetto legislativo precedente, spostando in capo alla singola persona le scelte relative alla propria salute. Pertanto, i trattamenti sanitari possono avere carattere obbligatorio solo in alcuni casi particolari definiti dalla Legge, per esempio quando si riferiscono alla protezione della salute di una persona che non è in grado di provvedervi autonomamente.
Ovviamente, visto il sistema gerarchico esistente tra fonti di grado differente, anche il Codice Civile non può discostarsi dalle previsioni di una fonte di ordine superiore. Infatti, l’art 5 Codice Civile ribadisce che «gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica», alludendo alla libertà di porre in essere comportamenti relativi all’autodeterminazione che coinvolgono e interessano il proprio corpo, non già nei termini di poter
disporre, ma di libertà di disporre.
Si veda Carlassare, L. (1967). “L’art. 32 della Costituzione e il suo significato”. In Alessi, R. (a cura di),
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Giova qui sottolineare che il concetto di diritto alla salute, psichica oltre che fisica, va inteso in senso relativo (cioè dipende dalla concezione che ogni individuo ha del suo benessere psico-fisico) e trova riscontro anche nella sentenza n. 161/1985 della Corte costituzionale, nel passaggio in cui si sostiene che «gli atti dispositivi del proprio corpo, quando rivolti alla tutela della salute, devono ritenersi leciti», sempre che non siano lesivi di altri interessi costituzionali.
All’interno di questo quadro generale, va ribadito che il rifiuto delle cure (quando è libero) non è in alcuna maniera limitabile e va rispettato a prescindere dalle sue conseguenze, non trovando un limite assoluto nell’indisponibilità del “bene vita”. È importante notare che per rifiuto delle cure va intesa una qualsivoglia proposta terapeutica e pertanto tale rifiuto non si limita al solo accanimento terapeutico, evento nel quale ci si trova di fronte a «trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato (soggetto titolare del bene salute) e/o un miglioramento della qualità della vita» . 39 Ad esclusione dei trattamenti sanitari obbligatori, pertanto, esiste una libertà senza restrizioni, che ognuno può rivendicare, anche nella situazione in cui la richiesta di sospensione di un trattamento che mantiene in vita il paziente ne comporti la morte. Come già detto, tale sospensione (si pensi al distacco di un’apparecchiatura previo dissenso al trattamento in corso) va interpretata come rimozione di un ostacolo che fino a quel momento aveva ritardato il decorso della malattia verso la sua conclusione naturale.
Il rifiuto delle cure (o la richiesta di interruzione del trattamento sanitario) deve però avere un requisito essenziale: la persona deve essere giuridicamente capace, cioè deve trovarsi nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali e nelle condizioni di poter esprimere un consenso informato (inteso come il «risultato di un processo di
Si veda l’art 16 del Codice di Deontologia Medica (2006).
condivisione degli elementi di certezza e di incertezza legati ad una determinata proposta diagnostica o terapeutica» ). Il consenso informato, considerato quale un 40 vero e proprio diritto della persona (che ha fondamento nei principi espressi negli artt 2, 13 e 32 Costituzione) è quindi un presupposto ordinario di legittimazione del trattamento medico, ed è caratterizzato da due aspetti: quello relativo all’essere informato sul trattamento sanitario e quello riferito all’accettazione (espressa con il consenso) del trattamento proposto.
Il paziente, in quanto soggetto decidente, non deve essere assoggettato al potere medico, sebbene le conoscenze teoriche del medico possano essere determinanti per l’accettazione del consenso, all’interno di un corretto e fiduciario rapporto di cura che si instaura tra medico e paziente. Per questo motivo, fornire un consenso non può limitarsi all’apposizione di una firma su un modulo prestampato. Il consenso, infatti, deve essere sempre qualificato: libero, informato (nel senso che il paziente deve aver ricevuto tutte le informazioni necessarie), cosciente e consapevole (nel senso che il paziente deve aver effettivamente compreso ciò che gli è stato spiegato e possa operare una scelta ragionata), completo ed effettivo . Superando gli schemi paternalistici applicati 41 in passato, oggi il paziente deve dialogare in modo informato col medico e, in quanto titolare della propria salute, deve decidere autonomamente. Sul medico ricade invece l’obbligo di informare in modo chiaro, per far sì che il consenso sia consapevole ed effettivo (la c.d. alleanza terapeutica).
Vediamo ora quali siano le basi giuridiche del consenso informato, libero e consapevole, del paziente all’attività medica. In primo luogo, esso trova un Si veda Casonato, C. (2008). “Consenso e rifiuto delle cure in una recente sentenza della Cassazione”.
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Quaderni costituzionali, 3:545-576.
Esiste anche un’ulteriore qualificazione del consenso, riguardante la sua attualità, nel senso che
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l’informazione e la consapevolezza dovevano emergere nel momento stesso in cui il trattamento doveva essere svolto. Si rimanda alla discussione di questo punto alla sezione in cui ci si occuperà delle cosiddette «dichiarazioni anticipate di trattamento».
collegamento con l’art 13 Costituzione, che tutela la libertà personale (definita come inviolabile) e quindi l’autodeterminazione del soggetto (art 2 Costituzione). Il riferimento più diretto è però all’art 32 Costituzione, che definisce il diritto alla salute come fondamentale, e che non obbliga alcuno a ricorrere ad un trattamento sanitario.
La sentenza n. 438/2008 della Corte costituzionale, inoltre, suggerisce come il consenso informato sia un diritto fondamentale. Al punto quarto del cons. in dir., infatti, si legge che «[l]a circostanza che il consenso informato trova il suo fondamento negli artt 2, 13 e 32 della Costituzione pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all’art. 32, secondo comma, della Costituzione».
Il tema dell’autodeterminazione sanitaria viene sottolineato anche nella sentenza n. 253/2009 Corte costituzionale, quando al punto secondo del cons. in dir., si afferma che «il consenso informato riveste natura di principio fondamentale in materia di tutela della salute in virtù della sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute». Due considerazioni sembrano opportune. Innanzitutto, va sottolineata la centralità del concetto di alleanza terapeutica (che attua il disposto costituzionale dell’art 32, secondo comma, Costituzione): volontarietà e
consensualità del trattamento sono inscindibili e sono parte integrante del diritto alla salute (cioè, la volontarietà ad un trattamento proposto dal medico non può esistere senza consenso informato) e presupposto per il suo esercizio. Come vedremo più avanti, quando verrà preso in considerazione il Codice di Deontologia Medica, il medico, all’interno dell’alleanza terapeutica, è la figura che possiede le competenze tecnico-scientifiche ed umane necessarie per informare il paziente circa la sua situazione sanitaria ed illustrargli in “scienza e coscienza” pro e contro associati alle diverse terapie. Se questo schema ideale sia in realtà completamente sviluppato nella società italiana rimane una questione aperta, dato che, essa «troppo spesso concepisce la relazione di cura come un atto di fiducia incondizionato che il malato deve compiere verso il medico curante, o l’istituzione sanitaria» . Inoltre, il 42 consenso informato va inteso come immanente nell’art 32, secondo comma, Costituzione, nel quale trova autonomo fondamento costituzionale, e non già come nuovo diritto o interpretazione estensiva dell’art 13 Costituzione.
Per quanto riguarda il Legislatore, va ovviamente considerata la legge n. 219/2017, già introdotta in precedenza in questa tesi. Sono diversi i punti che rilevanti per la nostra analisi, che in ciò che segue commenteremo sinteticamente.
In primis, la legge esplicita i principi di riferimento giuridicamente rilevanti, ossia il
diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona.
Quindi, vengono caratterizzati i soggetti della relazione di cura, intesa come tempo della comunicazione tra medico e paziente, e considerata fondamentale per stabilire un rapporto di fiducia, presupposto questo per una decisione consapevole in merito alle alternative prospettate. Si sottolinea inoltre come nella relazione di cura si
Consorti, P. (2020), op. cit.
incontrino l’autonomia decisionale del paziente , da una parte, e la competenza, 43 l’autonomia professionale e la responsabilità del medico (e della sua équipe, secondo le rispettive competenze), dall’altra. Il paziente ha diritto di essere edotto circa le sue condizioni di salute, essere informato in modo completo, aggiornato ed a lui comprensibile non solo circa la diagnosi, la prognosi, ed i possibili benefici e rischi inerenti agli accertamenti diagnostici ed ai trattamenti sanitari proposti, ma anche riguardo le possibili conseguenze dell’eventuale rifiuto o rinuncia del trattamento sanitario o dell’accertamento diagnostico suggerito (e può avvalersi di azioni di sostegno e servizi di assistenza psicologica).
Viene poi chiaramente riconosciuto al paziente il diritto di rifiutare qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico (art 1, settimo comma), ma, soprattutto, il diritto di revocare in qualsiasi momento (art 1, quarto comma) il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento, con conseguenza infausta sulla sua salute. In particolare, si precisa che il paziente può esprimere «la rinuncia o il rifiuto di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza». Il medico, che è tenuto a rispettare la volontà 44 espressa dal paziente (anche nelle situazioni di emergenza o urgenza ed ove le condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla) di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo, «è esente da responsabilità civile o penale» (art 1, sesto comma) . Si noti che il paziente può delegare a 45
Che se vuole può essere accompagnato dai suoi familiari o dall’altra parte dell'unione civile o dal
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convivente o da altra persona di fiducia.
In tal caso «il medico prospetta al paziente e, se questi acconsente, ai suoi familiari, le conseguenze di tale
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decisione e le possibili alternative e promuove ogni azione di sostegno al paziente medesimo, anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica. Ferma restando la possibilità per il paziente di modificare la propria volontà, l'accettazione, la revoca e il rifiuto sono annotati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico».
In ogni caso, nessuno può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di Legge, alla deontologia
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professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali. A fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali.
familiari o persone di sua fiducia la ricezione di tali informazioni e permettere loro di esprimere – o rifiutare – il consenso per suo conto.
La legge n. 219/2017 prevede inoltre precise tutele per i minori, gli incapaci, inabilitati e interdetti, e vengono esplicitamente regolate le funzioni di genitori, tutori ed amministratori di sostegno nell’espressione del consenso.
Di particolare interesse è anche il passaggio in cui viene sancito che gli interessati vengano tutelati dall’obbligo di registrazione del consenso espresso, del rifiuto o della rinuncia alle informazioni nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico, ed in ogni caso con modalità e strumenti consoni alle condizioni del paziente.
Infine, viene precisato che la nutrizione e l’idratazione artificiali sono considerati trattamenti sanitari (si veda infra), in quanto somministrati su prescrizione
medica attraverso sostanze nutrienti e per mezzo di dispositivi medici. Per ciò che concerne le fonti internazionali e sovranazionali, invece, va rilevato
come esista in generale una forte tutela di ogni fase della cura, che la libertà di scelta in ordine ai trattamenti sanitari sia di fatto esistente, e che il consenso informato rappresenti il punto di partenza per qualsiasi trattamento sanitario. Per esempio, l’art 5 della Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina (Oviedo, 4 aprile 1997), ratificata dall’Italia con la legge n. 145/2001, afferma la libertà di scelta in ordine ai trattamenti sanitari ed introduce per la prima volta il concetto di “consenso informato”, prevedendo che «un trattamento sanitario può essere praticato solo se la persona interessata abbia accordato il
proprio consenso libero ed informato» . Inoltre, a livello sovranazionale, l’art 46 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (Nizza, 7 dicembre 2000), stabilisce che «ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica» e che in ambiti medico-biologici debba essere rispettato «il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge». Infine, il consenso informato è tutelato anche della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art 8). In estrema sintesi, si evince che il presupposto essenziale per la libera scelta sia l’informazione chiara circa la terapia proposta, ed i suoi rischi e benefici, lasciando al soggetto interessato l’espressione o la negazione del consenso, che è sempre revocabile.
Va altresì sottolineato che, dal punto di vista della categoria medica, il consenso all’atto medico, in passato, è stato spesso interpretato come strumento di salvaguardia del prestigio della categoria. Più recentemente, il Codice di Deontologia Medica, nella versione del 18 maggio 2014, che va a sostituire quella previgente del 2006, ha proposto il concetto di consenso informato in un’ottica più moderna, riferendosi alla giustificazione stessa dell’esercizio della medicina e del rapporto che deve instaurarsi tra medico e paziente . Va preliminarmente notato che la deontologia professionale si 47 configura come un insieme di norme che si aggiungono alle leggi, ma che informano gli operatori ponendo vincoli, doveri e principi al loro lavoro. In altre parole, la deontologia professionale esprime «una coscienza collettiva professionale cui il singolo professionista deve conformarsi» . 48
Si veda anche il Protocollo addizionale del 12 gennaio 1998, n. 168, sul divieto di clonazione di esseri
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umani e la Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità (New York, 2006). Cfr. anche la legge n. 18/2009 (“Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità”).
Si veda Casonato, C. (2008), op. cit.
47
Consorti, P. (2020), op. cit.
Sono due i punti salienti che emergono da un’analisi del Codice di Deontologia Medica. In primo luogo, nel nuovo Codice, l’alleanza di cura tra medico e paziente deve essere fondata sulla reciproca fiducia e sul «mutuo rispetto dei valori e dei diritti». Presupposto per la sua realizzazione è dunque un’informazione comprensibile e completa, in cui la comunicazione deve essere adeguata «alla capacità di comprensione della persona assistita [e rispondere] a ogni richiesta di chiarimento» e sempre adattata alle capacità di comprensione del paziente. A tale riguardo, l’art 33, Titolo IV (“Informazione e comunicazione con la persona assistita”) prevede che «il medico garantisc[a] alla persona assistita o al suo rappresentante legale un'informazione com- prensibile ed esaustiva sulla prevenzione, sul percorso diagnostico, sulla diagnosi, sulla prognosi, sulla terapia e sulle eventuali alternative diagnostico- terapeutiche, sui prevedibili rischi e complicanze, nonché sui comportamenti che il paziente dovrà osservare nel processo di cura». In secondo luogo, l’art 35, Titolo IV (“Consenso e dissenso informato”) introduce, per la prima volta, un riferimento al carattere fondamentale del consenso, che deve essere informato, quando stabilisce che il «medico non intraprende né prosegue in procedure diagnostiche e/o interventi terapeutici senza la preliminare acquisizione del consenso informato o in presenza di dissenso informato». Il tema del consenso (previo al trattamento) non è però esente da elementi problematici.
In via preliminare, va considerato che, nel caso di trattamenti urgenti o indifferibili, oppure quando il paziente è in stato di incoscienza (ma non legalmente incapace), ovvero quando esso è in linea di principio cosciente, ma non nel preciso momento in cui gli è richiesto di fornire il consenso, il medico si può trovare in una situazione di prevalenza. Ciò perché, in generale, le scelte del paziente verranno fortemente influenzate da quella del medico, che è l’unico a
possedere le conoscenze tecnico-scientifiche necessarie alla decisione e la visione complessiva sullo stato del paziente, soprattutto nel caso in vi sia l’urgenza di agire in emergenza. In tali situazioni, può sopravvenire una contraddizione tra la «necessità di garantire la libera espressione della coscienza della persona direttamente interessata» e le scelte del medico, che sebbene 49 possa decidere in “scienza e coscienza”, non può sostituirsi in toto al paziente . In particolare, quando il paziente è impossibilitato ad esprimersi, il 50 medico può sì ascoltare parenti o amici a riguardo, ma poi sarebbe costretto a prendere decisioni senza la certezza che esse siano conformi al volere del paziente. Vi sono poi casi in cui la coscienza del medico finisce col prevalere 51 su quella del malato , quando per esempio il primo non può (o non vuole) 52 ascoltare altri pareri o se ne discosta (in coscienza), anche orientando un consenso solo parzialmente libero ed informato verso una decisione che gli sembra (sempre in coscienza) migliore. In tali casi, si configura un’illegittimità che può essere sanzionata legalmente solo se si verifichino conseguenze tali da giustificare una richiesta di risarcimento per danno (in assenza di questa, il paziente rimane di fatto senza protezione giuridica).
Una seconda questione, collegata al potenziale conflitto tra libertà di coscienza del medico e scelta del paziente, riguarda la definizione stessa di “capacità di prestare un valido consenso”. Essa può infatti rifarsi a criteri legali (per esempio, esistenza di un’interdizione e sussistenza della piena capacità di agire in senso
Consorti, P. (2020), op. cit.
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Due casi paradigmatici in cui sono emerse queste problematiche sono quelli di Piergiorgio Welby e di
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Eluana Englaro. Per una discussione, si veda Consorti, P. (2020), op. cit. e Campione, F. (2009), op. cit. Che peraltro ha il diritto di espressione, dato che il Codice di Deontologia Medica (art 22, 2006) afferma
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che il medico può non eseguire prestazioni «che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico» e quando «vengano richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico, [il medico] può rifiutare la propria opera, a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita e deve fornire al cittadino ogni utile informazione e chiarimento».
Spinsanti, S. (1999). Chi ha potere sul mio corpo? Nuovi rapporti tra medico e paziente. Milano: Paoline.
giuridico) oppure contingenti (per esempio, condizioni cliniche che permettono di ricevere informazioni adeguate o di esprimere coscientemente il consenso). Infine, se le condizioni cliniche cambiano (per esempio a seguito dell’introduzione di tecniche più efficaci o nuovi farmaci), occorre valutare se il consenso preventivamente prestato rimanga valido oppure no.