2.5 IL DIRITTO DI NON CURARS
2.5.2 LE DISPOSIZIONI ANTICIPATE DI TRATTAMENTO
Per quanto discusso sin qui, appare chiaro come la manifestazione del consenso informato mostri forti criticità nel caso in cui il paziente si trovi nell’impossibilità di intendere, decidere e comunicare la propria volontà, o in genere in una condizione di salute che, secondo le più moderne conoscenze medico-scientifiche, non sia più suscettibile di miglioramento e recupero.
Al fine di tutelare l’autodeterminazione del paziente, si rende pertanto necessario riconoscere la possibilità che la sua volontà possa essere ricostruita alla luce dei suoi precedenti desideri ed espressioni di volontà. Questo “diritto di decidere ora per allora”, in vista di una propria futura incapacità, va spesso sotto il nome di “testamento biologico” o “disposizioni anticipate di trattamento” (d’ora in avanti DAT).
Va preliminarmente sottolineato che il dibattito sul testamento biologico (o living
will) nasce alla fine del secolo scorso nei Paesi anglosassoni, mentre in Italia
solo recentemente si è iniziato a disciplinare la materia. Nel 2003, infatti, il comitato nazionale per la bioetica parla per la prima volta di dichiarazioni 53 anticipate di trattamento, quale atto mediante il quale «una persona, dotata di Parere del 18 dicembre 2003 (“Dichiarazioni anticipate di trattamento”), si veda http://bioetica.govemo.it/
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piena capacità, esprime la sua volontà circa i trattamenti ai quali desidera o non desidera essere sottoposta nel caso in cui, nel decorso di una malattia o a causa di traumi improvvisi non fosse in grado di esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso informato».
È però con la legge n. 219/2017 (“Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”) che viene finalmente introdotta una regolamentazione legislativa ad hoc. La legge nasce dalla volontà di superare la perdurante assenza di una regolazione atta a disciplinare la possibilità, per un qualsiasi soggetto (anche un non “paziente”) di far valere, in modo vincolante, le decisioni prese oggi, con un atto previsto per Legge, circa eventuali trattamenti sanitari che potrebbero interessarlo in futuro, nel caso in cui egli non fosse nelle condizioni di prestare consenso informato. In tal senso, la legge n. 219/2017 si configura come un’estensione logica del principio del consenso.
Più specificatamente, la legge n. 219/2017, all’art 4, introduce le DAT come quelle decisioni volte «al futuro in previsione di situazioni ipotetiche [e che] esigono una mediazione interpretativa, di attualizzazione e di concretizzazione, volta al fine del miglior rispetto delle convinzioni, delle preferenze e della volontà del dichiarante nella situazione data, e affidata alla collaborazione tra il medico e un fiduciario nominato dal paziente (o in mancanza un amministratore di sostegno ad hoc), ricreando così la struttura propria della relazione di cura». Si noti che il legislatore ha preferito usare il termine “disposizione” in luogo di “testamento biologico”, essenzialmente per due ragioni. In primis, come sancito negli art 587 e ss. Codice Civile, il testamento ha una natura patrimoniale e si attua dopo la morte del sottoscrittore. In secundis, il testamento biologico, o biotestamento, si limita in genere ai casi di trattamenti salvavita (o di sostegno vitale) e, pertanto, è tipicamente finalizzato all’indicazione di interruzione o di non inizio di terapie atte al prolungamento artificiale della vita. Le DAT, per
contro, possono essere riferite ad indicazioni di volontà valide per qualsiasi tipo
di trattamento sanitario . 54
La ratio della norma è chiara: si vuole salvaguardare l’uguaglianza di trattamento tra soggetti capaci e incapaci, con il fine dunque di evitare situazioni nelle quali individui che si trovano in condizioni personali differenti vengono discriminati rispetto ai trattamenti ricevuti, e quindi godono in modo non uniforme di diritti fondamentali (situazioni queste che sarebbero non conformi al dettato dell’art 3 Costituzione) . 55
Passiamo ora ad analizzare i requisiti imposti dalla legge circa la capacità di redazione delle DAT e la forma richiesta dell’atto. Per ciò che riguarda il requisito soggettivo, la sottoscrizione delle DAT richiede la piena capacità di intendere e di volere della persona, purché maggiorenne. Ciò configura una forte asimmetria con la norma sul consenso informato, dato che l’art 3, secondo comma, della stessa legge n. 219/2017, prevede che, per ciò che concerne il consenso informato (in stato di capacità) del minore, venga quanto meno «tenuta in conto» la sua volontà, ed anzi questa aumenta nel grado di vincolatività «in relazione all[’]età [del minore] e al suo grado di maturità». Quindi, la facoltà di esprimere la propria volontà nello stato di coscienza piena viene garantita se essa si riferisce al presente, ma non se espressa “ora per allora”. Per ciò che riguarda invece i requisiti formali, è richiesto l’atto scritto, ovvero le DAT devono essere redatte «per atto pubblico o per scrittura privata autenticata» (art 4, sesto
Si veda Adamo (2018), op. cit. Secondo l’Autore, al termine “disposizione” si sarebbe dovuto preferire
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quello di “direttiva”, dato che il primo rimanda ad «un atto imperativo », mentre il secondo «possiede portato orientativo-vincolante che certo si richiede al documento scritto e sottoscritto ora per allora». Nonostante ciò, sostiene sempre Adamo, la materia è stata di fatto «regolata come se si trattasse di direttive, avendo attribuito, al contenuto e alla portata delle stesse, un carattere (il più possibile) vincolante come potrebbe far intendere il riferimento al termine disposizione».
Si noti che le DAT devono ricevere applicazione anche in condizioni di urgenza (o quando il soggetto si
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comma). Ciò al fine di far sì che l’attendibilità e la certezza delle volontà dell’interessato siano garantite.
Va però sottolineato come l’istituto delle DAT sia caratterizzato da un problema fondamentale, riguardante la conservazione della loro validità ed efficacia nel tempo. A tale riguardo, il dibattito è aperto tra chi afferma che un atto scritto “ora per allora” è per sua stessa natura inattuale nello stato di sopravvenuta incapacità del soggetto, e chi invece propende per la capacità delle DAT di “conservarsi” nel tempo . 56
Al fine di discutere con più attenzione la questione, si consideri preliminarmente che, per parlare di vincolatività delle DAT, occorre che il consenso sia attuale. In altre parole, in mancanza di attualità del consenso non vi può essere efficacia del suo contenuto. La critica relativa all’inattualità intrinseca di una decisione “ora per allora” viene però superata da legislatore attribuendo all’istituto un valore che, oltre ad essere valido nel tempo, è anche e soprattutto espressione di un requisito logico , nella misura in cui chi esprime la sua volontà nelle DAT ha la 57 possibilità di esercitare il diritto di revoca o modifica del proprio consenso in qualsiasi momento . Pertanto, anche in condizioni di perdita di coscienza, non si 58 potrà evincere volontà diversa da quella espressa con le DAT , che sono sempre 59 attuali per la coscienza (sebbene il loro contenuto possa non esserlo a causa di
Cfr. Nicolussi, A. (2010). “Al limite della vita: rifiuto e rinuncia ai trattamenti sanitari”. Quaderni
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costituzionali, 2: 269-296.
Comitato nazionale per la bioetica, Parere del 18 dicembre 2003, op. cit.
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Detto altrimenti, le DAT possono essere considerate come un corollario logico del principio di
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autodeterminazione e del consenso informato, che non viene meno in presenza dell’incapacità del soggetto. Si noti anche che la possibilità di “cambiare idea” è garantita a patto che si possano interrompere i trattamenti sanitari iniziati (ma non ancora conclusi) quando il paziente non era in grado di manifestare una propria volontà consapevole, ovvero quando egli sia uscito dalla situazione di emergenza e, recuperata la coscienza e la capacità, possa esternare la propria volontà consapevole.
A tale riguardo, si veda Mori, M. (2011). “Una ‘analisi bioetica’ dell'attuale disputa sul testamento
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nuove scoperte scientifiche e di terapie che non potevano essere prese in considerazione al momento della loro redazione).
La vincolatività del contenuto delle DAT non è però assoluta. Il legislatore lascia infatti un ruolo centrale al medico nel verificare in che misura le DAT siano in linea con la situazione concreta. Nello specifico, il medico deve valutare (annotandolo nella cartella clinica) la congruità tra le previsioni ipotetiche scritte nel momento in cui il soggetto era capace e lo stato di salute attuale in cui si trova il paziente. Viene quindi prevista dal legislatore la possibilità che il medico esprima il diniego a conformarsi alle DAT, esplicitando le sue motivazioni in forma scritta e muovendosi in un ambito ben definito dalla Legge. In particolare, tali motivazioni devono sempre conformarsi al diritto all’autodeterminazione e, poiché non si sta disciplinando la materia eutanasica, non possono ovviamente procurare la morte del paziente. Piuttosto, le motivazioni per un eventuale diniego da parte del medico devono dimostrare la non attualità della scelta fatta “allora” a causa di innovazioni tecnico-scientifiche che hanno reso obsolete le previsioni contenute nelle DAT.
L’art 4, quinto comma, della legge n. 219/2017 sancisce infatti che «[f]ermo restando quanto previsto dal sesto comma dell’articolo 1, il medico è tenuto al rispetto delle DAT, le quali possono essere disattese, in tutto o in parte, dal medico stesso […] qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita».
Sul quinto comma dell’art 4 vanno fatte tre importanti considerazioni. In primo luogo, la menzione al «miglioramento delle condizioni di vita» potrebbe essere interpretata come un’apertura verso una maggiore discrezionalità nel giudizio
medico. Ciò configurerebbe la possibilità che il medico superi in parte i limiti imposti dal concetto di alleanza terapeutica e di equilibrio nel rapporto medico- paziente da questa previsto. D’altra parte, per una corretta interpretazione di questo passaggio, occorre rilevare che per “condizioni di vita” non si deve intendere la condizione clinica, in quanto stato oggettivo della vita biologica, bensì l’esperienza dell’esistenza, in quanto vita biografica della persona, che non può che restare nella disponibilità responsabile del soggetto, e sulla quale il medico non può in nessun modo porsi in posizione di prevalenza . 60
In secondo luogo, il riferimento alla possibilità di disattendere le DAT quando esse «appaiano palesemente incongrue» apre una questione molto delicata, che in ultima analisi tocca il problema di come esse vadano redatte. Il disponente deve infatti esercitare la sua libertà in modo coscienzioso e ben informato, fornire documentazione appropriata, e non deve limitarsi ad indicare genericamente i trattamenti che non vuole ricevere. In altre parole, le DAT non possono essere scritte in modo eccessivamente sintetico . Per esempio, un 61 soggetto che non intenda vivere in futuro in una situazione di mancato miglioramento delle proprie condizioni di vita, non può limitarsi a disporre di non voler essere rianimato, perché in alcuni condizioni cliniche la rianimazione di emergenza potrebbe permettere al paziente proprio di recuperare appieno la sua condizione pre-patologica. Quindi, nei casi in cui la richiesta di astenersi da alcuni trattamenti clinici non venga accompagnata dal verificarsi di una precisa diagnosi (l’irrecuperabilità della condizione fisica pre-patologica, nell’esempio precedente), le DAT possono essere giudicate palesemente incongrue, in quanto
Si rimanda al capitolo 4 per una più approfondita discussione dei concetti di vita biologica e biografica.
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Va anche detto che, a fronte dell’esistenza di una ampia modellistica prestampata per la predisposizione
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delle DAT, rimane al soggetto la facoltà di redigerle come ritiene più opportuno, in modalità più o meno dettagliata, evitando una terminologia troppo tecnica, ma non esprimendosi in modo troppo vago. Ciò per bilanciare il principio di autonomia con la necessità di rendere al massimo riconoscibile, e quindi vincolante, la propria volontà. Un punto fermo però rimane: le DAT vanno redatte a margine di un confronto con il medico, al fine di minimizzare la probabilità di incongruità e, al tempo stesso, di dare prova di vincolatività risultando espressione di un consenso o dissenso informato.
non avrebbero senso a livello medico-scientifico. In conclusione, pertanto, il medico potrà disattendere le DAT (senza depotenziarle) quando dal loro contenuto non si evinca chiaramente la volontà del paziente.
In terzo luogo, il quinto comma dell’art 4 della legge n. 219/2017 rimanda esplicitamente «a quanto previsto dal [sesto] comma dell’articolo 1», laddove quest’ultimo sancisce che «[i]l paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali; a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali». Tale rinvio implica che le DAT, in queste situazioni, perdono di vincolatività. In particolare, rileva il fatto che il riferimento al Codice di Deontologia Medica sembra essere funzionale al concetto di rinvio 62 all’obiezione di coscienza dei medici contro la coscienza dei pazienti. Inoltre, il limite legato alle «buone pratiche clinico-assistenziali» mira a riportare le DAT nell’alveo delle tecniche normalmente esercitate e praticate.
Il sottile equilibrio tra vincolatività e attualità delle DAT emerge anche da una comparazione tra gli artt 4 e 5 della Legge. Infatti, nell’art 5 viene disciplinata la c.d. “pianificazione condivisa delle cure” (PCC in seguito), cioè le scelte sanitarie, consapevoli e pianificate, operate dal paziente nella fase patologica, ossia durante il processo di cura, insieme al medico ed alla sua équipe. La PCC, a differenza delle DAT, che sono espresse in un tempo lontano da quello (eventuale) patologico, riescono per loro natura ad essere attuali senza perdere in vincolatività. Ciò perché nascono all’interno del modus operandi della relazione medico-paziente e si situano in un contesto in cui le previsioni circa l’evoluzione dello stato patologico del paziente sono meno incerte (a differenza delle DAT di In particolare, all’art 22 (“Rifiuto di prestazione professionale”), che riconosce al medico autonomia e
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responsabilità diagnostico-terapeutica, laddove afferma che il «medico può rifiutare la propria opera professionale quando vengano richieste prestazioni in contrasto con la propria coscienza o con i propri convincimenti tecnico-scientifici».
cui all’art 4 che, invece, a causa del fattore temporale, possono perdere in vincolatività). Si noti anche che, nel caso in cui DAT e PCC siano diversamente determinate, la PCC prevale in quanto più recente.
Un altro punto che merita qui adeguato approfondimento riguarda il ruolo del c.d. fiduciario. Infatti, le DAT sono anche uno strumento di delega, e non solo di istruzione, nella misura in cui l’art 4, primo comma, della legge n. 219/2017 prevede per l’interessato la possibilità di nominare una figura (il fiduciario, appunto) «che ne faccia le veci e [lo] rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie». Innanzitutto, va notato che la nomina ricade nella possibilità e non nell’obbligo, e che il fiduciario deve essere maggiorenne e capace di intendere e di volere. Inoltre, il ruolo del fiduciario è molto delicato. Egli non deve far mai prevalere la sua volontà, ma agire come mezzo tra volontà altrui ed il medico (con il quale deve cooperare), nonché vigilare sull’applicazione delle DAT. In altre parole, spetta al fiduciario attualizzare e concretizzare le DAT scritte “ora per allora”, cioè garantire, mediante un confronto con il medico, il rispetto della volontà dell’interessato nonostante lo scorrere del tempo. Va notato, peraltro, che l’intervento del fiduciario è necessario solo quando esista un conflitto sull’applicazione delle DAT (e non è quindi sempre necessario) . In tali casi, però, la sua figura diventa 63 fondamentale, fermo restando l’esclusione della rappresentanza per sostituzione: il fiduciario, cioè, non può prendere decisioni in autonomia per nome e per conto del rappresentato, trattandosi di diritti personalissimi e quindi non trasmissibili. Infine, va sottolineato che nelle DAT possono formare oggetto di disposizione anche l’alimentazione e l’idratazione artificiali (d’ora in avanti NIA). In passato, questi trattamenti terapeutici erano giuridicamente definiti come forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzati ad alleviare le sofferenze fino alla
Nel caso di conflitto tra il fiduciario e il medico, la questione può essere rimessa al giudice tutelare.
fine della vita. Pertanto, non avrebbero potuto formare oggetto di DAT. Tale indirizzo viene superato nella legge n. 219/2017, in cui le NIA sono considerate come trattamenti medici a tutti gli effetti. Ciò perché esse: (i) riguardano trattamenti (di tipo artificiale) sviluppati solo recentemente e che necessitano dell’intervento di medici specializzati, che sono i soli ad essere abilitati a somministrarli; (ii) consistono in una somministrazione forzata del preparato in forma liquida attraverso macchine predisposte per tale obiettivo, ed hanno ad oggetto la somministrazione di composti allo stato confezionati in laboratorio. Vengono quindi riscontrate nelle NIA le caratteristiche di artificialità nel tipo di preparazione e di accesso del contenuto nutrizionale con modalità tecniche sofisticate.