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Il ruolo dell'immagine della Francia come Nazione

2. Le motivazioni economiche, politiche e culturali del rapporto franco-africano

2.3. Il ruolo dell'immagine della Francia come Nazione

La comprensione dei rapporti franco-africani non si esaurisce nelle dinamiche economiche e politiche appena descritte: esistono altre motivazioni che spingono la Francia a mantenere questo legame particolare nel tempo e a strutturarlo secondo le specifiche caratteristiche delineate nella prima parte del capitolo. La ratio dei rapporti franco-africani può essere infatti sintetizzata dalle “hurra-words”466 del generale de Gaulle générosité,

intérêt, génie. Se nel paragrafo precedente abbiamo provato ad analizzare la componente de l'intérêt (politico ed economico), ora si intende affrontare l'aspetto legato alla générosité e génie – ossia le ragioni ricollegabili all'immagine che la Francia ha e propone di se stessa come nazione.

L'aspetto della “generosità” è ricorrente nella retorica non soltanto francese, ma di tutti i Paesi che intrattengono dei rapporti di cooperazione con l'Africa sub-sahariana. La Francia, come il Belgio e la Gran Bretagna, celebra se stessa come Paese “généreux et fraternel”467,

464 La Francia resta peraltro sospettosa nei confronti della stessa Gran Bretagna: sul finire degli anni ’70 di fronte

alla denuncia di Nyerere e Kaunda di una “satellizzazione degli stati francofoni” da parte della Francia, l’ambasciatore francese in Zambia sostiene che ci sia una responsabilità dei media britannici, che avrebbero fatto opera di intossicazione presso i presidenti africani. AMAEC, 1089INVA/633 Tel. n.1171-1173 Francais (Ambasciata di Francia in Zambia) – MAE-DAM 05.09.1977.

465 P. Favier, M. Martin-Roland, op.cit., p.395.

466 Termini vaghi che lasciano spazio a diverse interpretazioni, ma al contempo sono di immediata comprensione,

in grado di creare consapevolezza nazionale. P.G. Cerny, op.cit., p.62.

467 CADN, 318PO/A/107 “Discorso del ministro della cooperazione Robert Galley al Senato per l'approvazione

che in maniera disinteressata aiuta i Paesi del “Terzo Mondo” – in particolare i Paesi dell'Africa francofona, in virtù dei reciproci legami storico-culturali468. Con la presidenza di

Giscard d'Estaing la retorica della generosità è stata affiancata dal concetto di interesse reciproco nella cooperazione: “à long terme c'est de la place de la France dans le monde qu'il s'agit, (…) de sa sécurité politique et économique”469. Il principio di reciprocità è stato portato

avanti dallo stesso Mitterrand – in termini ovviamente diversi, visto il rifiuto della sinistra francese della deriva mercantilistica della cooperazione giscardiana. Per il primo presidente socialista francese infatti “aider le tiers monde c'est s'aider soi-même à sortir de la crise”470. Il riferimento alla generosità in ogni caso resta nella retorica tanto giscardiana che mitterrandiana e ha caratteristiche leggermente diverse rispetto al discorso degli altri Paesi donatori. Da un lato infatti, i toni di questa retorica sfiorano il paternalismo, ricorrendo spesso ad un lessico che richiama i vincoli e la solidarietà familiare, a cui si è accennato nel primo paragrafo. Dall'altra parte, questa retorica è unica nel suo genere, in quanto affiancata dal continuo richiamo al concetto di “génie français”.

Elaborato dall'abate Raboisson (1877), il concetto di “génie” è di difficile definizione. La parola “génie” in francese indica l'attitudine naturale di una persona o di un'entità. Ricollegare l'esperienza coloniale e post-coloniale al génie français richiama quindi “una certa idea di Francia”, in particolare quale “terre des droits de l'homme (…) nation humaine par excellence”471, culla della civilizzazione, “apôtre et champion de liberté”472, vocata al

diffondere la propria cultura universale “par sa nature, par l'opinion qu'on a d'elle historiquement, qui lui donne un crédit latent quand il s'agit d'universel”473. E' uno degli aspetti fondamentali di quella che negli anni '80 verrà definita l'“exception française”474, presupposto e al contempo declinazione del più ampio concetto di grandeur gaullista prima

della cooperazione esordiscono riconoscendo la generosità francese.

468 AMAEC, 1089INVA/724 “Discorso di François Poncet alla Camera sulla Politica francese verso l'Africa”

20.12.1979.

469 CADN, 318PO/A/107 “Discorso del ministro della cooperazione Robert Galley all'Assemblea nazionale per

l'approvazione del budget del ministero della cooperazione” 09.11.1976.

470 Discorso di New Mexico, ricordato come il discorso di Cancun (per la conferenza Nord-Sud che si apre di lì a

due giorni) 20.10.1981, riportato in P. Favier, M. Martin-Roland, op.cit., p.205. Jean Pierre Cot, ministro della cooperazione (1981-1982), ammetterà tuttavia che “les priorités politiques ne coincident pas avec l'interet commercial immédiat (…) depuis le Conseil restreint du 8 juin 1982, il est un peu moins vrai qu'aider le tiers mondes c'est s'aider soi même”. J.P. Cot, Á l'epreuve du pouvoir, Paris, Seuil, 1984, p.46.

471 CADN, 134PO/1/92 “Discorso del ministro degli affari esteri Jean-François Poncet all'Assemblea nazionale”

07.11.1979.

472 AMAEC, 1089INVA/185 “Estratti dei discorsi del Generale de Gaulle 1960-1966 n.23”, Discorso a Noumba

04.09.1966.

473 Ivi, Conferenza Stampa al Palazzo dell'Eliseo 09.06.1965.

474 Termine coniato da François Furet in F. Furet, J. Julliard, P. Rosanvallon, La republique du centre. La fin de

l'exception française, 1988. L'eccezionalità francese risiede, oltre che nell'universalismo culturale, anche nel ruolo centrale dello stato, nella polarizzazione politico-ideologica francese e nel rapporto fra cittadino e modello repubblicano. Prima del 1988 si parlava di “originalità francese”. T. Chafer, E. Godin, The End of the French Exception?, New York, Palgrave McMillan, 2010, p.18.

accennato, espressione infatti non della personalità di un individuo, ma dell'identità politica francese475. In Francia, una sorta di complesso di superiorità culturale pare tentare di

compensare un complesso di inferiorità politica ed economica: un francocentrismo che fa leva sull'egemonia culturale e la superiorità morale, non sul dominio militare e il machismo476. Le dichiarazioni di Giscard d’Estaing a “Us News and World Report” nel maggio 1976 sono indicative in tal senso: la Francia, nelle parole del presidente francese, è “highly aware of her personality and is (…) much more an intellectual and moral power than a material one”477. I

francesi hanno perlomeno dall’Illuminismo, ma soprattutto dal 1789, tale complesso di superiorità culturale, che li porta a credere che non sia la civilizzazione francese a poter essere assimilata a quella occidentale, ma viceversa478.

Questo complesso di superiorità si esprime da un lato attraverso una difesa oltranzista della propria cultura nazionale, in virtù di un'“exception culturelle française” (che include anche la lingua nella sua eccezionalità)479. Dall'altro attraverso una concezione universalista del proprio destino nazionale: il “génie français” prevede infatti una vocazione mondiale innata nel popolo francese, in quanto “si la France cesse d'être mondiale, elle cesse d'être la France”480, la Francia è “grande puissance par son statut”481. Il concetto stesso di “eccezionalità” prevede il dovere di diffondere al di fuori dei propri confini nazionali gli elementi-chiave del proprio eccezionalismo482. Il complesso di superiorità culturale associato

alla convinzione di avere una vocazione internazionale determinano un approccio assimilazionista verso il mondo esterno, approccio che può essere considerato una “tendenza profonda e abbastanza costante”483 del popolo francese, trasversale a tutte le correnti di

475 Quando si fa riferimento a “una certa idea di Francia” non si intende negare la poliedricità dell’immaginario

francese in riferimento al proprio Paese, non esiste evidentemente un’idea fissa e coerente di Francia, piuttosto un caleidoscopio di immagini la cui forma varia in base all’angolo da cui si pone l’osservatore. Tuttavia è possibile rilevare alcune attitudini, alcune idee e valori che hanno informato in maniera spesso inconsapevole la percezione della Francia (soprattutto nel suo rapportarsi con il resto del mondo) da parte delle élites francesi. J.F.V. Keiger, op.cit., p.15.

476 NA, FO 371/181614 Patrick Reilly (Ambasciata del Regno Unito in Francia) – Michael Stewart (FCO)

“Rapporto” RF 2/4 08.04.1968.

477 AMAEC, 1089INVA/724 Tel. n.17 Ambasciata di Francia negli Stati Uniti – MAE-DAM 10.05.1976. 478 A. Salon, op.cit., p.60.

479 Il concetto di “exception culturelle” è coniato da Jack Lang, ministro della cultura francese dal 1981 al 1986 e

dal 1988 al 1993, ed è stato il cavallo di battaglia francese durante gli Uruguay Round (1986) per escludere i prodotti culturali dalle liberalizzazioni in corso. Per associare alla propria lotta gli alleati europei, l' “eccezione culturale” è stata poi declinata in “diversità culturale”. T. Chafer, E. Godin, op.cit., p.25.

480 Dichiarazione di Charles de Gaulle a John Foster Dulles del 5 luglio 1958, riportata in M. Vaïsse, La

grandeur...cit., p.673.

481 CADN, 318PO/A/26 MAE “Dichiarazioni del ministro degli affari esteri Jean Sauvagnargues durante il

dibattito di politica estera al Senato” 15.06.1976.

482 T. Chafer, E. Godin, op.cit., p.225.

483 Dichiarazione di Hubert Deschamps, ex amministratore coloniale e docente alla Sorbona, citato in V. Dimier,

Le discours idéologique de la méthode coloniale, Centre d'etude d'afrique noire, n.58-59, 1998. Deschamps fa riferimento all'epoca coloniale, ma il ragionamento può essere esteso, mutatis mutandis, al periodo contemporaneo.

pensiero politico. Se si considera l'espansione coloniale, ad esempio, la cosiddetta motivazione umanitaria sarà l'unica a non essere mai messa in discussione dai francesi, neanche dai maggiori critici del colonialismo484. L'attitudine assimilazionista si è espressa infatti in primis nei confronti dei Paesi dell'Africa francofona colonizzati ed è rimasta caratteristica fondante i rapporti franco-africani anche nel periodo post-coloniale. La retorica politica degli anni '70 e '80 evidentemente non può mantenere i toni razzisti del periodo coloniale: cade il riferimento esplicito alla superiorità della civilizzazione e della razza francese rispetto a quella dei popoli con cui entra in contatto. Tuttavia, a ben guardare, il concetto di exception française di fatto sancisce, seppur implicitamente, una sostanziale continuità di tale messaggio. Quest'approccio ideologico non si ferma al livello della retorica, al discorso ufficiale delle autorità in riferimento alla Francia quale nazione, ma si traduce anche in concreto nel taglio dato alla cooperazione con i Paesi in via di sviluppo. Diversi autori infatti sottolineano come il fatto che la Francia sia l'unico Paese a dedicare fra il 35% e il 50% della propria cooperazione all'assistenza tecnica (in primis tramite l'invio di insegnanti) e culturale sia riprova non soltanto dell'importanza del mantenimento della francofonia al di fuori del proprio territorio, ma anche di tale concezione ideologica485.

L'altra immagine che la Francia fa di se stessa nel suo rapportarsi con i Paesi del “Terzo Mondo” e con l'Africa francofona in particolare, anch'essa ricollegabile al concetto di “grandeur” gaullista, è l'idea di essere Paese-ponte fra l'Africa e le superpotenze – valida alternativa al mondo bipolare. La Francia, in quest'ottica, in virtù del suo passato coloniale e della decolonizzazione pacifica che ha saputo portare avanti, del suo sviluppo politico- economico, della sua vocazione mondiale e del suo non-allineamento anti-imperialista, è il Paese più indicato per farsi portavoce e cassa di risonanza delle istanze dei Paesi meno sviluppati. Questi, ai sensi della retorica francese, la vedono quale miglior intermediario, Paese industrializzato più aperto al “Terzo Mondo”486. Per usare le parole di Mitterrand, “La France apparaît comme le pays le plus amical, les plus courageux (…) nous ne représentons pas ou plus, dans l'esprit de nos partenaires, une puissance impériale ou bien impérialiste (…) nous sommes plus disponibles et ouverts”487.

Anche in questo caso la retorica si accompagna ad azioni concrete, come l'impegno francese nei fora internazionali per le iniziative a favore dei Paesi in Via di Sviluppo: la campagna per

484 T. Chafer, A. Sackur, Promoting the Colonial Idea, New York, Palgrave, 2002, p.61. Per onestà intellettuale

va tuttavia riconosciuto come nessuna ex potenza coloniale abbia mai messo in discussione la ragione umanitaria della propria esperienza coloniale.

485 F. Maspero, op.cit., p.127.

486 CADN, 318PO/A/32 Tel. circolare n.423 Georgy – Ambasciate di Francia in Africa 29.05.1979.

487 CADN, 134PO/1/104 “Discorso di apertura del Presidente Mitterrand alla Conferenza degli Ambasciatori di

destinare lo 0.7% del PIL all’Aiuto Pubblico allo Sviluppo lanciata dalla Francia alla prima CNUCED (Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo) del 1964; l’impegno sin dall’inizio a favore di un sistema di preferenze generalizzate nel commercio internazionale; il ruolo nel promuovere il “Dialogo Nord-Sud” e l'istituzione di un “Nuovo Ordine Economico Internazionale”488; la battaglia per il debito – benché in questo la Francia, pur ospitando dal 1956 il Segretariato del Club di Parigi (che riunisce i Paesi e le Organizzazioni creditrici), non può essere considerata pioniera –; la campagna a favore dei Paesi Meno Avanzati489; quella contro le politiche di aggiustamento strutturale490 e così via. A questo vanno aggiunte le iniziative ad hoc dei vari presidenti, per cui si rimanda ai relativi paragrafi.

Quel che è interessante sottolineare è che questa retorica legata a “una certa idea di Francia” – tanto quale terra dei diritti umani vocata alla trasmissione dei propri valori universali, quanto Paese-ponte fra Africa (e talvolta Paesi in Via di Sviluppo tout court) e resto del mondo – è portata avanti oltre che dai politici e dirigenti francesi, anche da molti dirigenti africani. La presente riflessione si è soffermata poco ed in maniera incidentale sul punto di vista della controparte africana491, tuttavia la maggior parte della letteratura riconosce la schizofrenia della dirigenza africana nel suo rapporto con la repubblica cisalpina. Da un lato infatti, la maggior parte dei leader africani francofoni sembrano soffrire della “sindrome di Stoccolma”, che impedisce loro di staccarsi dall’ex madrepatria (nel caso delle ex colonie) provando una forte ammirazione nei suoi confronti, dall’altro provano un senso di rifiuto verso l’ex colonizzatore492. Nel discorso di apertura del summit franco-africano di Bujumbura

nel 1984, il presidente burundese Bagaza descrive la Francia quale “Pays de grande tradition humaniste et qui a pris une part importante dans la civilisation universelle (…) ce pays

488 Per maggiori dettagli su entrambe le iniziative, si rimanda al paragrafo 3.1 relativo alla presidenza di Giscard

d’Estaing.

489 Paesi Meno Avanzati: gruppo di Paesi con reddito pro-capite inferiore ai 100$ l'anno, produzione industriale

inferiore al 10% del PIL, alfabetizzazione degli adulti inferiore al 20% (definizione CNUCED del 1971). A Santiago del Cile nel 1972 viene stilata la lista dei 25 Paesi riconosciuti come “Meno Avanzati” (terza conferenza CNUCED aprile-maggio 1972). La conferenza di Parigi del settembre 1981 stabilisce l'impegno dei Paesi sviluppati a destinare lo 0.15% del proprio PIL per lo sviluppo di questo gruppo di Paesi. CADN, 134PO/1/108 Nina-Sylvia Stantcheva (MAE, Direzione affari economico-finanziari, Servizio cooperazione economica) “Nota d'informazione sulla Conferenza di Parigi sui PMA” n.278/CE 25.04.1983.

490 Un esperto francese intervistato da Bayart, tuttavia, riconosce come l'opposizione di Parigi a queste politiche

sia più che altro di carattere formale, in quanto di fatto la Francia agisce in maniera complementare a istituzioni quali Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale – per ragioni materiali (limitatezza dei fondi della cooperazione) ma anche ideologiche (l'orientamento del Tesoro francese non si discosta poi molto dall'approccio neoclassico del cosiddetto Washington Consensus). J.F. Bayart, op.cit., p.93. Un documento del ministero della cooperazione del 1987 sembra confermare queste considerazioni. Il documento riconosce infatti come sia fondamentale alleggerire lo scontro fra gli stati africani e il Fondo Monetario Internazionale, per evitare che l’intero peso dei problemi economici di questi stati ricada sulla Francia. CADN, 318PO/A/46 MC “Orientamento della cooperazione culturale, economica e tecnica con i Paesi del campo” 1987.

491 Per le motivazioni di questa scelta si rimanda all’introduzione. 492 Y. Gounin, op.cit., p.35.

manifeste, parmi les pays développés, une des positions les plus positives aux préoccupations des pays en développement”493. In un incontro con Jacques Foccart ai margini del summit

franco-africano di Antibes (dicembre 1987), e in tutti i summit franco-africani vengono espresse posizioni analoghe, i leder africani presenti chiedono che la Francia – definita “Paese industrializzato più aperto al Terzo Mondo” – si faccia da intermediario fra l'Africa e i poteri forti occidentali, facendo pressioni sul Fondo Monetario Internazionale affinché riveda, almeno in parte, le sue richieste494. Sicuramente la volontà di compiacere ad un donatore e ad un attore internazionale di un certo spessore giocano la loro parte in questo tipo di retorica, tuttavia molti autori ritengono che diversi leader africani abbiano interiorizzato e fatto propria questa “certa idea di Francia” trasmessa dalla dirigenza francese, alternando ammirazione e al contempo rifiuto nei suoi riguardi495.