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La presidenza di Valéry Giscard d’Estaing (1974-1981)

3. Le peculiarità delle due presidenze

3.1. La presidenza di Valéry Giscard d’Estaing (1974-1981)

La presidenza di Giscard d’Estaing si apre in un contesto storico, per quel che riguarda i rapporti franco-africani, in piena evoluzione a causa di dinamiche interne francesi ed internazionali.

Cominciando dall’analisi delle prime, l’elezione di Giscard d’Estaing indica un momento di svolta nella storia della Quinta Repubblica, in quanto si tratta del primo presidente non appartenente al partito gaullista. Consapevole della portata politica di questo cambiamento, il nuovo inquilino dell’Eliseo cerca da subito di dimostrare all’elettorato francese, evidentemente in cerca di un rinnovamento, la discontinuità e la rottura della propria politica rispetto a quella precedente. Lo sforzo giscardiano si rivolge tanto alle questioni interne, che esulano dall’interesse della presente disamina, quanto a quelle estere. Per quel che riguarda nello specifico la politica africana, la necessità di rottura appare particolarmente forte a causa degli scandali africani scoppiati alla vigilia delle elezioni, riguardanti alcuni personaggi vicini a de Gaulle e Pompidou. Due figure sono emblematiche in tal senso: Jacques Foccart – eminenza grigia gaullista in materia africana, fondatore del segretariato per gli affari africani e malgasci – e Maurice Robert, membro dei servizi di intelligence francesi incaricato degli affari africani. Robert viene in realtà destituito prima dell’insediamento di Giscard (nel 1973),

493 CADN, 134PO/1/97 “Discorso di apertura di Jean Baptiste Bagaza al Summit Franco-africano di Bujumbura”

10.12.1984.

494 ANF, AG/5(4)/DP/49 MAE-DAM "Riunione Foccart-capi di stato africani" n.3269/DAM 22.12.1987. 495 T. Chafer, E. Godin, op.cit., p.227.

segno della maturazione dei tempi in questo senso, Foccart è invece allontanato proprio dal nuovo presidente francese. Le ragioni della decisione giscardiana sono ricollegabili al presunto coinvolgimento del segretario gaullista in diverse operazioni africane piuttosto torbide con lo stesso Robert496. Se nel caso di quest’ultimo, tuttavia, la rottura col passato determina un semplice cambio della guardia allo SDECE, nel caso di Foccart implica una trasformazione istituzionale importante: la soppressione del segretariato per gli affari africani e malgasci497.

Sempre nell’ottica di segnare un momento di discontinuità rispetto alla politica africana precedente, Giscard d'Estaing durante la sua presidenza cerca di regolare alcuni contenziosi franco-africani rimasti in sospeso: concede l’indipendenza alle Isole Comore nel 1975 e a Gibuti nel 1977; è il primo presidente francese a recarsi in visita ufficiale in Algeria nel 1977 e avvia un lento percorso di normalizzazione dei rapporti con la Guinea di Touré498.

Per quel che riguarda le dinamiche del più ampio contesto internazionale, nella prima metà degli anni ’70 si assiste ad un generale stravolgimento dell’assetto politico ed economico mondiale. L’abbandono del Gold Dollar Standard (1971), la prima crisi petrolifera (1973), la presa di Saigon da parte delle forze del Vietnam del Nord (1975) e il riconoscimento americano della Cina maoista (1978), solo per citare alcuni degli episodi più rilevanti del periodo, determinano un vero e proprio sconvolgimento degli equilibri mondiali. Da un punto di vista strettamente politico, cominciano ad emergere realtà alternative rispetto alle due superpotenze, che iniziano a dare una connotazione multipolare alla realtà internazionale. Da un lato, infatti, si registra uno slancio nel processo di costruzione europea499, dall’altra emergono alcuni singoli stati, come i Paesi dell’OPEC, la Cina, ma anche – per quel che riguarda in particolare lo scenario africano – Cuba e la Libia, che cercano di ritagliarsi un proprio ruolo come attori globali. In questo contesto internazionale in via di ri-definizione, i Paesi del cosiddetto “Sud del mondo” rivendicano con più determinazione una maggior concertazione con i “Paesi del Nord” su una serie di questioni: dal diritto all’aiuto pubblico

496 Dalla stampa di falsi franchi con cui inondare il mercato guineiano all’indomani dell’avvicinamento di Touré

a Cuba e all’Unione Sovietica, a vari omicidi politici a favore di presidenti africani (quali il camerunense Ahidjo e il gabonese M’Ba). Nel 1979 Bongo riesce a fare nominare Robert ambasciatore di Francia in Gabon, in seguito passerà a dirigere il “Servizio Africa” dell’ELF (riprova della limitatezza del cambiamento). Intervista a Maurice Robert all’interno del documentario “Françafrique: raison d’état” di Patrick Benquet, disponibile in http://www.youtube.com/watch?v=IMES2NvmVQI

497 Per quanto qualcuno legga la soppressione del Segretariato come l’espressione della volontà di gestire gli

affari africani direttamente dal presidente della repubblica. P. Biarnes, Les Français en Afrique noire de Richelieu a Mitterrand, Parigi, Armand Colin, 1987, p.374.

498 Ibidem, p.382.

499 Ingresso del Regno Unito (1973), particolarmente interessante se si considerano i rapporti franco-africani

perché implica l’associazione alla Comunità Economica Europea di alcuni Paesi del Commonwealth; nascita dello SME (1978); elezione del Parlamento Europeo (1979).

allo sviluppo, alla ridefinizione del sistema economico internazionale; dal diritto alla sovranità rispetto alle proprie risorse naturali, all’uguaglianza economica e così via, dando slancio a quello che verrà nominato il “Dialogo Nord-Sud”. Nuovi confronti cominciano a sommarsi e ad intersecarsi a quello est-ovest, che resta tuttavia il pilastro portante delle dinamiche internazionali: il dialogo e il fermento verso la multipolarità appena descritti hanno la possibilità di esprimersi in questo decennio, principalmente grazie alla cosiddetta “grande distensione”500, in virtù della quale le superpotenze tendono ad allentare la maglia di controllo sui propri alleati, più liberi quindi di portare avanti una politica estera indipendente e di lanciare iniziative innovative. Non è presumibilmente un caso che allo scoppio della “seconda guerra fredda” (1979-1984), queste dinamiche perdano infatti di intensità.

Così come di fronte agli scandali interni francesi in ambito di politica africana la presidenza di Giscard d’Estaing pare riuscire a dare una risposta sollecita – allontanando subito, come visto, le figure-simbolo degli scandali e rinnovando la struttura istituzionale dei rapporti franco- africani –, anche rispetto alle nuove dinamiche internazionali, l’Esagono si dimostra consapevole e reattivo. Già negli anni che precedono l’insediamento di Giscard, la Francia cerca di ripensare, per adattarlo al nuovo contesto, il proprio sistema di cooperazione – primo riferimento, a Parigi, dei rapporti Nord-Sud. Dapprima le autorità francesi commissionano infatti il Rapporto Gorse, un rapporto di ampio respiro di riforma del sistema di cooperazione francese, che resta tuttavia lettera morta in quanto eccessivamente critico e innovativo per l’epoca, poi – su richiesta dei propri partner africani – rivede molti dei propri accordi di cooperazione. La richiesta dei Paesi africani di rivedere questi accordi con Parigi è legata più ad un’esigenza di rivendicazione d’appartenenza al “Terzo Mondo”, e non solo all’universo franco-africano, che ad un rifiuto del rapporto con l’ex potenza coloniale. Quest’esigenza nasce dalle pressioni della propria opinione pubblica e, soprattutto, degli altri Stati africani – in virtù delle implicazioni culturali del nuovo contesto politico-economico d’inizi anni ’70 appena descritto501. Per quanto la ri-negoziazione degli accordi di cooperazione abbia infatti fatto scalpore – l’ambasciatore belga a Parigi definisce il 1972 “l’anno del post-gollismo in Africa”502, gli inglesi nel 1973 ritengono che la Francia cominci “a new step” nella sua

politica verso il continente503 –, nella maggior parte dei casi (Niger, Camerun, Gabon,

500 Gli episodi emblematici del dialogo fra le due superpotenze in questo periodo (1968-1975) sono la firma degli

accordi di non proliferazione (1968), gli accordi SALT I (1972) e la conferenza di Helsinki (1975). Per approfondire questo periodo cfr. E. Di Nolfo, Storia delle Relazioni Internazionali, Roma, Laterza, 2008, pp.1157-1343.

501 ANF, AG/5(F)/1010 Guy Le Bellec – Journiac “Nota” 12.07.1972.

502 AECCD, Dossier n.16.275, Film n.2444-2445 Le Comte de Kerchove de Denterghem (Ambasciata del Belgio

in Francia) – Renaat Van Elslande (Ministro degli affari esteri) 05.03.1973.

Dahomey, Alto Volta e Chad) si è trattato di un semplice adattamento degli accordi all’evoluzione dei tempi, che non ha scardinato i rapporti franco-africani né ha determinato reale attrito fra la Francia e i Paesi coinvolti. Al di là di alcuni momenti di tensione con il Congo a causa del tono delle dichiarazioni delle autorità di Brazzaville (e della rinuncia all’accordo di difesa)504, solo con Mauritania e Madagascar si registrano oggettivi momenti di

tensione. Entrambi i Paesi infatti arrivano a lasciare la zona del franco CFA, Nouakchott rinuncia inoltre al francese come lingua ufficiale e nazionalizza la MIFERMA, mentre Antanarivo smantella la base francese di Diego Suarez. Con gli altri stati tuttavia, la ri- negoziazione segue un percorso privo di contrasti, anche perché sono le stesse autorità francesi a riconoscere come alcuni aspetti degli accordi in vigore siano “caduchi e leonini”505. L’atteggiamento suggerito da Parigi ai propri ambasciatori nel continente è, infatti, di apertura al dialogo con gli interlocutori locali, pur puntualizzando di negoziare le eventuali revisioni attraverso la via diplomatica discreta, aspettando sempre che siano gli africani a chiedere la revisione: “nous ne devons pas presser sur l’accélérateur, mais pas non plus sur le frein. L’important c’est de garder la maitrise de l’évolution, ce qui veut dire tenir le volant et n’utiliser les pédales qu’en fonction des circonstances”506.

La presidenza di Giscard d’Estaing muove i suoi primi passi in questo tipo di contesto e intende continuare sulla linea di apertura e riforma. In quest’ottica va interpretato l’invio delle missions dialogue nel continente fra la primavera e l’autunno 1974507, da cui deriva il

rapporto Abelin del giugno 1975. Il rapporto riprende, rafforzandole, alcune considerazioni del già citato rapporto Gorse e affida a 20 raccomandazioni la sintesi dei nuovi orientamenti della cooperazione francese: programmazione pluriennale ma flessibile dell’aiuto, puntualizzato annualmente tramite commissioni miste (che ribadiscono il messaggio delle missions dialogue di un rapporto non più donatore-beneficiario ma fra partner eguali, basato sulla reciprocità); maggior coerenza della politica di cooperazione francese, tanto a livello interno (coordinamento fra i vari attori coinvolti) quanto esterno (collegare la politica di cooperazione con le altre azioni di politica estera francese, attraverso consigli interministeriali, un’analisi esterna annuale della coerenza delle azioni di cooperazione con le

504 J.P. Bat, op.cit., p.338.

505 In particolare il ruolo di decano della comunità diplomatica, la posizione dominante nelle istituzioni della

comunità del franco CFA e il ruolo semi-esclusivo della Francia nella cooperazione con questi Paesi. AMAEC, 1089INVA/240 Consigliere tecnico al segretariato di stato agli affari esteri "Significato delle domande di revisione" 23.10.1972.

506 ANF, AG/5(2)/1025 “Nota al presidente della repubblica sulla cooperazione con l’Africa francofona dopo il

suo viaggio in Togo e Alto Volta” 29.11.1972.

507 Le Missioni di Dialogo avevano tre obiettivi ufficiali: creare un nuovo clima di cooperazione franco-africana,

comprendere meglio i cambiamenti geopolitici sia a livello africano che mondiale e la loro percezione da parte degli stati africani, avviare rapporti politici basati su presupposti diversi. CADN, 318PO/A/26 Stephan Hessel (MC) “Progetto di raccomandazioni del gruppo di riflessione” n.56/45 12.02.1975.

istanze internazionali francesi, nonché associando il ministro della cooperazione all'elaborazione della posizione francese rispetto a tali istanze); riforma delle strutture FAC e CCCE; previsione di progetti integrati e regionali, aumento della cooperazione con tutti i Paesi in Via di Sviluppo, mantenendo tuttavia la preminenza del pré carré (a cui destinare lo 0.22% del PIL)508. Il rapporto consiglia inoltre di aumentare la competenza dei cooperanti e porre fine, seppur gradualmente, alle forme di coopération de substitution, a favore di un’africanizzazione dei quadri (soprattutto nell’insegnamento) – già il Rapporto Gorse aveva sottolineato l’urgenza di ridurre e trasformare l’assistenza tecnica francese, tanto per il nuovo clima internazionale, quanto per ragioni budgetarie (il consiglio ristretto sulla politica di cooperazione del giugno 1975 ipotizza, a questo proposito, di chiedere un contributo più importante agli stati beneficiari per pagare i professori francesi, su modello britannico)509. Come già accennato, la diminuzione e ristrutturazione dell'assistenza tecnica non si realizzerà negli anni in analisi, anche per le resistenze dell’Eliseo – che propende per un una diminuzione graduale e concordata, non unilaterale degli assistenti tecnici510.

In questa ricerca di innovazione e discontinuità rispetto all’epoca precedente, legata a motivazioni tanto interne quanto internazionali, Giscard d’Estaing tuttavia non rinnega l’esperienza politica gaullista, di cui al contrario mantiene molte caratteristiche, soprattutto in ambito africano. La politica giscardiana si basa infatti su una doppia anima, sancita con estrema chiarezza dallo slogan della sua campagna elettorale “le changement dans la continuité” (che, curiosamente, riprende lo slogan del suo predecessore gaullista Pompidou). La continuità della politica africana del settennato di Giscard è data in primis dalle personalità di cui si attornia il neo presidente per gestire le questioni africane. Vengono nominati consiglieri personali del presidente per gli affari africani prima René Journiac, poi Martin Kirsch: due ex allievi di Foccart, consigliati dallo stesso segretario gaullista511. Durante gli anni di presidenza giscardiana inoltre, non soltanto molti presidenti africani continuano a consultare l’ex titolare di Rue de l’Elysée n.2, ma gli stessi ministri della cooperazione (Abelin, Lipkowski e Galley) restano in stretto contatto con lui512. Per quanto Foccart venga ufficialmente allontanato dai luoghi del potere della politica africana francese, la sua influenza – diretta e indiretta – sulle questioni africane, quindi, rimane. La continuità della politica africana giscardiana è data tuttavia principalmente dal fatto che le sue motivazioni economiche, politiche e culturali e le sue caratteristiche principali restano quelle descritte

508 AMAEC, 1089INVA/185 “Rapporto sulla politica francese di cooperazione” (Rapporto Abelin) giugno 1975. 509 ANF, AG/5(3)/900 “Resoconto del consiglio ristretto sulla politica di cooperazione” 26.06.1975.

510 ANF, AG/5(3)/1413 Robert Galley – René Journiac “Nota” 01.04.1977. 511 Intervista a Jacques Foccart riportata in T. Diallo, op.cit., p.127. 512 P. Gaillard, Foccart parle T.2…cit., p.242.

nella prima parte del capitolo, valide – come più volte affermato – dall’epoca di de Gaulle513.

Il contesto storico internazionale oltre a determinare la riforma di alcuni aspetti della politica africana francese, ne ha determinato una precisa evoluzione dei toni. Come anticipato, l’Unione Sovietica verso la metà degli anni ‘70 – stabilizzata la situazione nel sud-est asiatico e quasi isolata nel contesto mediorientale – intensifica le proprie azioni nel continente africano, determinando un risveglio anche da parte americana. Di fronte alla riaccensione dell’interesse delle due superpotenze per il continente, i leader africani “moderati” premono sull’occidente, ed in particolare sulla Francia, per rispondere alle minacce sovietiche, talvolta esagerando opportunisticamente il pericolo vissuto dai propri stati514. La presidenza di Giscard muove i propri passi proprio in questo contesto, e cerca da subito di rispondere alle richieste di rassicurazione dei propri alleati. La risposta giscardiana passa attraverso una serie di iniziative politico-economiche, nonché un aumento della cooperazione militare e degli interventi armati nel continente. Per quanto, infatti, il presidente repubblicano venga definito dalla letteratura un “réligionnaire du centre”, il suo “ecumenismo tecnocratico” – che oscilla fra l'utopia mondialista, dove tutto si concilia attraverso il negoziato, e la prospettiva geopolitica, che invece riconosce le egemonie regionali – lo porta ad un forte attivismo nel continente515. Il riferimento delle azioni giscardiane (soprattutto politiche ed economiche) è il

continente nella sua interezza, ma sono gli stati del pré carré i primi destinatari in tali azioni. Cominciando con le iniziative politico-economiche, alla conferenza franco-africana di Bangui del marzo 1975, il presidente Giscard d’Estaing lancia il “Fondo di Solidarietà Africana”, un fondo destinato ai Paesi francofoni, costituito da 15 miliardi di franchi CFA, forniti per metà dalla Francia e per metà dagli stati africani aderenti, volto a “bonificare” gli interessi sui prestiti legati a progetti di sviluppo (50%), fare da garanzia per la concessione di nuovi crediti (45%) e allungare quelli in corso (5%) – con particolare attenzione alle aree del Sahel e ai Paesi senza sbocchi sul mare516. L’anno successivo (1976), il presidente francese lancia il Fondo Speciale per l'Africa, poi divenuto Programma Speciale per l'Africa nel 1978517 e Azione Concertata per lo sviluppo dell'Africa nel 1980. L’iniziativa mira a

513 Giscard afferma anche istituzionalmente la distinzione dei rapporti franco-africani, ristabilendo un ministero

ad hoc per la cooperazione con questi Paesi. Yvon Bourges (ex segretario di stato agli affari esteri) ritiene che questa decisione sia in realtà principalmente legata all’impossibilità di relegare Pierre Abelin a una funzione non ministeriale. F. Turpin, op.cit., p.88.

514 AMAEC, 1089INVA/620 MAE-DAM “La Francia e i Paesi francofoni” 01.04.1976. Sono innumerevoli i

telegrammi che arrivano a Parigi fra il 1976 e il 1977 dai Paesi africani francofoni in tal senso (Niger, Costa Avorio, Ruanda, Senegal, Camerun).

515 S. Cohen, M.C. Smouts, op.cit, p.13.

516 Il fondo sulla carta doveva contare 5 miliardi di franchi CFA (10 entro il 1983, 15 entro 1984), in realtà il

fondo partirà con 100 milioni di franchi francesi, destinati a diventare 300 in tre anni. ANF, AG/5(3)/900 “Resoconto del consiglio ristretto sulla politica di cooperazione” 26.06.1975.

dimostrare ai Paesi “moderati” africani (non solo francofoni) il sostegno politico ed economico dei Paesi occidentali con legami storici con l'Africa (Francia, Belgio, Stati Uniti, Germania poi allargato anche al Canada). Il progetto iniziale subisce numerosi cambiamenti nel corso degli anni, a causa di resistenze di carattere economico (si tratta dell’ennesimo fondo per l'Africa, tedeschi e belgi propongono piuttosto di agire attraverso i fondi già esistenti della Comunità Europea518) e politico (si presenta come una "political initiative presented in developemental clothing"519) da parte dei donatori. L’arrivo di Carter alla Casa Bianca aiuta a sbloccare la situazione, in virtù dell’impegno della nuova amministrazione americana nel perseguire “global strategies” attente alle rivendicazioni dei Paesi del “Terzo Mondo” e la sua nuova strategia africana, basata sulla convinzione che i Paesi occidentali vincano la battaglia contro il comunismo e l’instabilità nel continente garantendo lo sviluppo economico-sociale, non attraverso il sostegno militare gli stati africani. “We've fought fire with fire, never thinking that fire is better quenched with water (…) We know a peaceful world cannot long exist one-third rich and two-thirds hungry. Effective aid is an excellent alternative to war” – retorica in linea con la tradizione delle amministrazioni democratiche520. Gli inglesi accetteranno di provare a concretizzare l’iniziativa oltre che per l’appoggio di Washington, anche per la volontà di collaborare con la Francia nel continente, definendo la competizione con Parigi in questi contesti una competizione commerciale, non politica521. Il progetto,

tuttavia, si arena nei primi anni ’80 – i cambi di leadership in Francia e negli Stati Uniti e la negativa congiuntura economica internazionale avranno un ruolo rilevante in tal senso. Sempre nel 1976, a quattro anni dalla sua istituzione, la Francia aderisce, seppur mantenendo un ruolo di secondo rilievo (13° donatore nel 1978) al Fondo Africano di Sviluppo. Quando nel 1978 la Banca Africana di Sviluppo – l’istituzione da cui dipende il Fondo – apre il proprio consiglio d’amministrazione ai Paesi esterni alla regione, la Francia cercherà di essere capofila di uno dei seggi, in virtù – ai sensi della documentazione francese – del proprio

economicamente a priori, ma lasciarsi la discrezionalità nel decidere quali progetti finanziare di volta in volta. Il Programma perderà la precedenza ai Paesi “moderati” (per volontà britannica e americana) per ragionare in termini di priorità settoriali: rottura dell’isolamento geografico, lotta alla siccità, modernizzazione agricola, risorse minerarie. CADN, 318PO/A/42 MAE-DAM “Nota su PEPA in preparazione della conferenza franco-africana di Kigali (24-26 Aprile 1979)”.

518 NA, FCO 36/1890 Tel. n.983 Wright (Ambasciata del Regno Unito in Repubblica Federale Tedesca) – FCO

27.10.1976 e FCO 36/1890 Tel. n.294 Muirhead (Ambasciata del Regno Unito in Belgio) – FCO 28.10.1976.

519 Il Foreign Office sottolinea l’astuzia dei francesi, che avendo posto gli alleati davanti al fatto compiuto,

comunque vadano i negoziati ne escono vincitori. NA, FCO 36/1890 "Fondo Speciale del Presidente Giscard" 01.09.1976.

520 Discorso del presidente Carter all’Università di Notre Dame 22.05.1977, consultabile in

http://millercenter.org/president/carter/speeches/speech-3399.

impegno nel continente, degli interessi delle sue imprese e della necessità di riorganizzare quest’istituzione “excessivement anglophone”522.

Interessante notare come nonostante queste grandi iniziative economiche, l’aiuto pubblico allo sviluppo francese a favore dell’Africa sub-sahariana in questo periodo si contragga. Benché infatti il ministero della cooperazione continui ad affermare la necessità di una presenza accresciuta per la Francia nel continente523 e il ministro Galley cerchi di presentare la cooperazione non come lusso o eredità, ma come causa nazionale ed investimento per il futuro524, l’aiuto francese oltre che passare dallo 0.52% PIL (1970) allo 0.44% (1980), comincia a modificare anche la sua composizione: le sovvenzioni FAC crollano del 30% (andando a costituire appena il 40% dell'aiuto pubblico), a favore dei prestiti della CCCE525. Parigi è consapevole dei rischi derivanti da questa ristrutturazione del proprio aiuto: pur riconoscendo come gli stati africani non mettano in dubbio la sua disponibilità ad agire, sa che sono le sovvenzioni FAC, non i prestiti CCCE, ad essere percepite come “aiuto francese” dai