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La politique africaine francese nell’ottica sistemica bipolare

2. Le motivazioni economiche, politiche e culturali del rapporto franco-africano

2.2. Le motivazioni politiche

2.2.1. La politique africaine francese nell’ottica sistemica bipolare

Negli anni presi in esame, Parigi deve inevitabilmente interfacciarsi, nell’elaborazione della propria politica africana, con i due principali protagonisti della scena internazionale dell'epoca: Stati Uniti e Unione Sovietica. Se le dinamiche del confronto bipolare non bastano da sole a comprendere la politica africana francese – che è legata, come appena dimostrato, a molteplici ordini di motivazioni – la comprensione di questa specifica dimensione della politica estera cisalpina non può prescindere dall’analisi delle sue intersezioni con il contesto della guerra fredda. Il confronto bipolare plasma infatti le caratteristiche della politica africana francese, arrivando in alcune situazioni a diventarne il presupposto.

Dalla seconda metà degli anni ’60, la politica ufficiale di Parigi rispetto al confronto bipolare segue il principio del “non-allineamento” anti-imperialista296. Pur essendo

culturalmente e politicamente un Paese appartenente al blocco occidentale – la Francia è membro dell'Alleanza Atlantica (e della stessa NATO, nel 1966 lascia solo la struttura militare integrata dell’organizzazione) e intrattiene stretti rapporti di cooperazione militare e nucleare segreta con Washington297 – l’Esagono persegue, infatti, una politica di apertura e dialogo con l’Unione Sovietica, che prescinde dall’orientamento politico-ideologico delle presidenze in carica. Da Pompidou (UDR) a Giscard d’Estaing (UDF) a Mitterrand (PS), i rapporti economici e gli scambi culturali franco-sovietici si mantengono con un’assoluta continuità. Il

295 A. Rouvez, op.cit., p.67.

296 Alcuni autori sottolineano come l'anti-imperialismo francese non sia che uno strumento per camuffare un

imperialismo di second'ordine – rispetto all’imperialismo dominante (americano) – e proprio il suo carattere secondario spiega la necessità di appoggiarsi a una volontà di espansione culturale. M. Beaud, G. de Bernis, J. Masini, La France et le Tiers Monde, Grenoble, Presse Universitaire de Grenoble, 1979, p.135. Interessante sottolineare come il concetto di impero non appartenga ai discorsi politici francesi – almeno fino alla seconda guerra mondiale –, in cui si fa riferimento a “colonies e possessions”, in quanto “l’empire, c’est les autres”, tanto da portare alcuni autori a definire la Francia quale potenza imperiale in sé, non di per sé. A.W. McCoy, J.M. Fradera, S. Jacobson, Endless Empire, Madison, University of Wisconsin Press, 2012, p.210.

297 La “dichiarazione sulle relazioni atlantiche” del giugno 1974 (Ottawa), che sancisce l’impegno americano per

la sicurezza europea, riconoscendo il ruolo della forza nucleare francese e britannica, ufficializza per la prima volta il riconoscimento americano della legittimità della “force de frappe” francese – a cui seguirà il riconoscimento della “sanctuarisation élargie” da parte di Giscard. M. Vaïsse, La puissance ou l’influence…cit., p.196.

rapporto con Mosca serve a Parigi tanto come contrappeso strategico alla Germania in Europa (sin da prima del secondo dopo guerra), quanto come strumento per giocare un ruolo sulla scena internazionale – la famigerata “indipendenza” della politica estera francese dipende anche dalla possibilità di Parigi di manovrare la leva sovietica con l’alleato americano298. Tra il 1974 e il 1977, negli anni della cosiddetta grande distensione, i rapporti fra Francia e Unione Sovietica raggiungono l’apogeo, simboleggiato dal primo summit franco-sovietico di Rambouillet del 1974, dagli importanti impegni economico-commerciali che ne conseguono e dalla Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa del 1975. Fra il 1977 e il 1979 i rapporti fra i due Paesi, tuttavia, cominciano ad incrinarsi a causa, prima, dell’attivismo sovietico nel continente africano, poi, della questione dei missili da teatro europei SS-20, dell’invasione dell’Afghanistan (1979) e della crisi polacca (1980-1981) – in altri termini, dello scoppio della cosiddetta seconda guerra fredda. Per quanto Giscard d’Estaing mantenga un atteggiamento più moderato rispetto a quanto suggerito dall’alleato americano299,

l’aggressività della politica estera sovietica porterà ad un progressivo raffreddamento dei rapporti fra Parigi e Mosca. La vittoria di Mitterrand, mal digerita in Unione Sovietica e specularmente ben accolta a Washington300, non fa che peggiorare i rapporti con il Cremlino: la ferma posizione del presidente socialista sulla questione degli euromissili301,

l’atteggiamento più critico rispetto all’Afghanistan e alla crisi polacca, l’affare Farewell302,

nonché l’aumento della sensibilità dell’opinione pubblica francese rispetto alle condizioni degli intellettuali dissidenti sovietici (i casi più celebri sono quelli dello scrittore Soljenitsyne

298 J.F.V. Keiger, France and the World since 1870, Londra, Arnold, 2001, p.198.

299 Per quel che riguarda la questione degli euromissili, Giscard temporeggia, cercando di ritardare la

dislocazione dei missili da teatro occidentali in risposta a quelli sovietici (non approva la Double Track Decision del vertice NATO del dicembre 1979, pur avendone riconosciuto i presupposti al vertice della Guadalupa di gennaio). Di fronte alla crisi afghana, Parigi rifiuta le sanzioni economiche, Giscard d’Estaing incontra Breznev a Varsavia (maggio 1980) e la Francia partecipa alle olimpiadi di Mosca (luglio 1980). Nella crisi polacca, Giscard d’Estaing si dimostra più comprensivo degli altri Paesi occidentali verso l’Unione Sovietica. S. Cohen, M.C. Smouts, La politique extérieure de Valéry Giscard d'Estaing, Parigi, Presses de la Fondation Nationale des Sciences Politiques, 1985, p.50.

300 Dopo l'iniziale caso diplomatico legato alle dichiarazioni del Segretario di stato Wagner rispetto all'inclusione

di quattro ministri comunisti nel governo che avrebbero potuto influenzare “the tone and content of relationship as allies”, rilasciate in concomitanza della visita di Bush nel Paese, i rapporti fra i due Paesi si rasserenano. AECCD, Dossier n.17.831/4 Film n.P3014 Tel. n.545 Paternotte – MAE 02.07.1981. Paradossalmente sarà proprio la presenza dei comunisti al governo a portare Mitterrand su posizioni più intransigenti verso l’Unione Sovietica.

301 Riassunta in due momenti-chiave: la conferenza stampa presidenziale del 24 settembre 1981 e il discorso

davanti al Bundestag di Bonn il 20 gennaio 1983. A. Grosser, op.cit., p.303.

302 Spia sovietica in Francia, nome in codice di Vladimir Volodia, che consegna al DST 3.000 documenti

sovietici riservati riguardanti la sottrazione di tecnologia all’occidente (Stati Uniti in primis) – che la Francia gira a Washington. Nel timore d'esser stato scoperto, Volodia nel 1982 ammazza un uomo e viene quindi arrestato a Mosca. In teoria in seguito viene ucciso, ma il corpo non è mai stato ritrovato, voci parlano di un suicidio. L'affare Farewell porta Parigi a espellere 47 diplomatici sovietici per spionaggio, Mitterrand ad anni di distanza si chiede se non si sia trattata di una montatura americana per testare la fedeltà francese. F-O. Giesbert, Le président, Parigi, Seuil, 1990, p.116.

e dell’atomista Sakharov) determinano un allontanamento politico fra i due Paesi, oltre che un netto calo della simpatia dei francesi verso Mosca – un sondaggio dimostra come questa passi dal 24% nel 1978 al 15% nel 1984303. Il presidente socialista sospende i summit franco- sovietici, inaugurati da Pompidou e portati avanti da Giscard, in nome di una “cura di disintossicazione” nei rapporti con la superpotenza304. In ogni caso, anche la Francia di

Mitterrand mantiene aperta la porta ai sovietici anche nell’era pre-Gorbacev, in virtù della necessità per Parigi di amicizia con entrambe le superpotenze – nel 1982 rifiuterà, ad esempio, l’embargo verso la Polonia305, riceverà Gromyko quando Mosca è “in quarantena” per l’abbattimento dell’aereo sudcoreano (nella speranza che i sovietici appoggino la Francia al Consiglio di Sicurezza per trasformare la Forza Multinazionale in Libano in una forza delle Nazioni Unite)306, riattiverà il COCOM, nel 1985 siglerà il contratto per il gasdotto siberiano contro il parere americano307, Mitterrand è uno dei pochi capi di stato occidentali ad andare al funerale di Cervcenko, a ricevere Jaruzelski a Parigi e così via.

Per quanto riguarda l'alleanza con Washington, Parigi segue da sempre la controversa strategia di “solidarietà e indipendenza” verso l’alleato oltreoceano. Dai tempi di de Gaulle, la Francia rifiuta il ruolo di alleato docile americano e i rapporti con gli Stati Uniti sono altalenanti308. Benché alcuni osservatori sottolineino come la contrapposizione franco-

americana in alcune circostanze possa essere funzionale ad entrambi i Paesi (soprattutto alla Francia) per la propria opinione pubblica309, è innegabile che non solo nella retorica, ma

anche nei fatti, l’alleanza franco-americana sia controversa. La formula elaborata nel corso degli anni ’80 dall’entourage di Mitterrand per descrivere l’atteggiamento della Francia nei confronti degli Stati Uniti, applicabile anche al periodo di Giscard d’Estaing, è “ami, allié non-aligné”, atteggiamento che garantisce all’Esagono una “posizione originale” nello scacchiere internazionale310. Il “non allineamento” sancito dallo slogan mitterrandiano non va tuttavia confuso con il neutralismo, mai considerato come opzione possibile da Parigi: come

303 M.Vaïsse, La puissance ou l’influence...cit., p.270. 304 F. Bozo, op.cit., p.171.

305 Mitterrand preferisce la dittatura di Jaruzelski, considerato in ogni caso un patriota, all’incertezza e al rischio

di un intervento sovietico. F. Mitterrand, Réflexions sur la politique extérieure de la France, Parigi, Fayard, 1986, p.53.

306 E. Weisenfeld, François Mitterrand: l'action extérieure, “Politique étrangère”, no.1, 1986, pp. 131-141,

p.136.

307 H. Vedrine, op.cit., p.178.

308 Per una disamina dell’avvicinamento e allontanamento franco-americano sulle varie questioni internazionali

negli anni di riferimento, cfr. M.Vaïsse, La puissance ou l’influence…cit., pp.186-208.

309 E’ il caso, secondo Mary Kathleen Weed (collaboratrice di Michel Jobert all’epoca), ad esempio,

dell’opposizione francese in occasione della conferenza sull’energia a Washington (11-13 febbraio 1974). T. Diallo, op.cit., p.50.

310 Intervista a Hubert Védrine, consigliere tecnico per le relazioni esterne all’Eliseo nel primo settennato di

sottolineato nel 1976 da Jean Sauvagnargues, all’epoca ministro degli affari esteri, l’ipotesi neutralista per la Francia è “irrealista” da un punto di vista militare e “disastrosa” da un punto di visto politico311.

I rapporti tanto giscardiani, quanto mitterrandiani con l’alleato americano sono infatti ottimi, nonostante i periodici attriti: Parigi, nel suo essere potenza occidentale, porta avanti quell’equilibrismo fra alleanza atlantica e amicizia sovietica, utile per la sua indipendenza internazionale. Secondo l'ambasciatore belga a Parigi, con Giscard, in particolare, si assiste ad un rafforzamento larvato della cooperazione atlantica312, qualcuno arriva a parlare per questi anni di “sottomissione” della politica francese a quella americana (per la politica nucleare ed economica in particolare)313. Se effettivamente Giscard appare più vicino a Washington dei suoi predecessori, quel che in realtà si registra fra il 1974 e il 1981 è, tuttavia, una variazione di toni, non di sostanza nel rapporto franco-americano. I principi della politica giscardiana nei confronti di Washington restano infatti quelli gaullisti tradizionali, riplasmati in modo da impostare il rapporto sul confronto, non sullo scontro – in virtù di quell’immagine di Valéry Giscard d’Estaing quale “l’ami de tous”314. La tradizionale “indipendenza” della politica

francese viene associata al concetto di “cooperazione” con l’alleato americano, la “grandeur” al principio di “influenza”, la “potenza” alla “solidarietà”315. Per quel che riguarda Mitterrand,

il primo presidente socialista francese viene definito dalla letteratura come “le plus proche” degli americani: gli elementi citati in precedenza per indicare il distacco da Mosca e la frequenza degli incontri bilaterali e multilaterali sono indicativi in tal senso316.

Se si analizza il rapporto della Francia con le due superpotenze nel contesto africano, è importante in primis riconoscere come almeno fino alla seconda metà degli anni ’70, la portata della minaccia dell’Unione Sovietica e l’interesse americano per il continente vadano ridimensionati. Dopo una parentesi di attivismo, in particolare in specifici contesti (Congo Kinshasa soprattutto), all’indomani delle indipendenze, l’interesse di entrambe le superpotenze per il continente è infatti andato scemando nel corso degli anni ‘60317. Fra la seconda metà degli anni ’60 e la prima metà degli anni ’70, Stati Uniti ed Unione Sovietica assestano la propria influenza su alcuni Paesi-chiave africani (rispettivamente Etiopia-Kenya-

311 CADN, 318PO/A/26 MAE “Dibattito di politica estera al Senato” 15.06.1976.

312 AECCD, Dossier n.17.831/1 Film n.P3012-3073 Tel. n.400 Paternotte – MAE 02.06.1980. 313 S. Cohen, M.C. Smouts, op.cit, p.48.

314 A. Grosser, op.cit., p.255. 315 Ivi.

316 P.M. De la Gorce, La politique extérieure de la France entre l'atlantisme et le tiers-mondisme, “Politique

étrangère” n.4, 1983 pp. 889-900, p.892. L’affermazione, al vertice G7 di Williamsburg (maggio 1983), del principio dell’indivisibilità della sicurezza occidentale è considerato riprova della rinnovata vicinanza franco- atlantica.

Sudan-Zaire e Nigeria i primi, Somalia-Guinea la seconda), senza portare avanti reali tentativi volti ad aumentare la propria influenza su altri stati – rispettando una sorta di tacito accordo nei confronti delle rispettive “zone di influenza”318. La partita della competizione bipolare si giocava all’epoca su altri scacchieri (mediorientale e asiatico principalmente): uno degli obiettivi della politica africana della presidenza Nixon e poi Ford è proprio evitare che il continente “become an arena of great power confrontation”319. E’ evidente come questa

strategia faccia il gioco della Francia, il cui motto è sin dall’indomani delle indipendenze mantenere l’Africa fuori dal confronto bipolare (al fine di poterci giocare un ruolo autonomo)320.

Nonostante lo sforzo del Cremlino di presentarsi come interlocutore rispettabile dopo gli errori degli anni ’60, rimodulando i propri rapporti in base agli interlocutori e all’importanza del territorio con cui si relaziona321, i Paesi africani restano in questo periodo “culturally attuned” all’occidente, persino gli stati più “progressisti” e simpatizzanti con Mosca “tend to be more African than leftist”322. Nel 1972, britannici e americani, infatti, concordano nel riconoscere che la minaccia sovietica in Africa sub-sahariana si è rivelata meno pericolosa di quel che sembrava agli inizi degli anni ’60323. Parigi ritiene che il vero obiettivo del Cremlino

non siano le generazioni presenti africane, ma le future, ossia il medio-lungo periodo, quando gli stati con cui si interfaccia diventeranno industriali e “abbandoneranno il socialismo all'africana per abbracciare il marxismo sovietico”324. Secondo i francesi, in ogni caso, nel suo

approcciarsi al continente Mosca soffre di diversi limiti: innanzitutto l’Unione Sovietica resta una superpotenza, percepita quindi con diffidenza da parte africana – a maggior ragione se si considera il suo atteggiamento entrante all’indomani delle indipendenze. I sovietici sono oggetto, inoltre, di un doppio pregiudizio: oltre ad essere “bianchi”, non hanno esperienza pregressa in Africa, non ne conoscono né capiscono quindi le dinamiche. A questo va aggiunto che, benché l’aiuto civile sovietico offra condizioni agevolate (decisioni rapide, prestiti a bassi tassi interesse e a lungo termine, senza troppe richieste di giustificazioni)325, la mole di tale aiuto è estremamente limitata in Africa – appena un quinto dell’aiuto civile

318 AMAEC, 1089INVA/411 MAE “Stati Uniti e Stati Africani” 19.11.1971.

319 Richard Nixon “Quarto Rapporto annuale al Congresso sulla Politica Estera Americana” 03.05.1973,

consultabile in http://www.presidency.ucsb.edu/ws/?pid=3832

320 CADN, 318PO/A/28 MAE-DAM “Politica africana della Francia” maggio 1979. 321 ANF, AG/5(F)/2707 Primo Ministro, SGDN n.5115/SGDN/CER/C/DR 25.02.1970.

322 FRUS 1969–1976 Volume E–5 Parte 1, Documenti relativi all’Africa Sub-sahariana 1969–1972, Central

Intelligence Agency, “I sovietici e l’Africa nera: nuovi approcci e la risposta africana”, 13.03.1969.

323 FRUS 1969–1976 Volume E–5 Parte 1, Documenti relativi all’Africa Sub-sahariana 1969–1972,

Dipartimento di Stato “Memorandum Incontro Gran Bretagna – Stati Uniti su Africa” 6-7.03.1972.

324 AMAEC, 1089INVA/16 MAE-DAM “L'URSS e l'Africa nera” n.441/DAM 27.08.1970. 325 AMAEC, 1089INVA/16 MAE-DAM “Aiuti esterni e interventi esterni in Africa” gennaio 1970.

esterno di Mosca si dirige nel continente326 – e di qualità inferiore rispetto a quello

occidentale (tanto nella formazione, quanto nella competenza dei tecnici inviati in loco)327. La

cooperazione con l’Unione Sovietica soffre, infine, di importanti limiti ideologici: se la concezione totalitaria marxista è conciliabile con la cultura africana, il materialismo storico e la vocazione all’internazionalismo lo sono meno328.

Per quel che riguarda nello specifico il pré carré francese, questo non ha mai subito (fino al 1984, ossia nell’arco temporale di questa riflessione) una reale minaccia comunista. Anche i regimi d’orientamento marxista (come la Guinea, il Congo Brazzaville, il Mali, il Burundi, il Benin dal 1972 e il Madagascar dal 1975) che intrattengono stretti rapporti politico-militari con l’Unione Sovietica negli anni ’70 e nei primi anni ‘80, nonostante i ciclici inasprimenti di toni nei confronti di Parigi e i periodici momenti di tensione, non arrivano mai alla rottura e ad un assoggettamento totale a Mosca329. Alla fine degli anni ’60, Parigi riconosce come il proprio pré carré non sia fra le aree di maggior interesse per la superpotenza sovietica nel continente e che non ci si debba attendere né a breve né a medio termine che Mosca cerchi di accrescere le sue attività in questi stati330. In questa fase e per tutta la prima metà degli anni ’70, lo sforzo dell’Unione Sovietica parrebbe in particolare focalizzarsi, secondo le analisi francesi, sulla costa occidentale (Guinea e Mali, ma con i limiti evidenziati) e orientale (Somalia e Tanzania), nell’ottica di creare delle basi economico-politiche e mettere in difficoltà l’occidente nell’approvvigionamento di risorse331. L’approccio sovietico al

continente pare, infatti, caratterizzato dalla prudenza, secondo il motto per cui “un Cuba (inteso nel senso di Paese in via di sviluppo che ha scelto la via socialista in maniera esclusiva), ça suffit” 332. Per Mosca sembra essere sufficiente mantenere dei buoni rapporti con gli stati africani e approfittarne nel momento in cui si crea l’occasione a basso costo. Gli interessi nazionali sovietici in Africa subsahariana, d’altronde, sono limitati alla protezione della propria flotta di pesca – che si rifornisce per il 20% nelle acque dell’Oceano Indiano – e alla garanzia delle rotte commerciali dell’Oceano Indiano e di Città del Capo. Gli interessi strategici più di carattere generale – la competizione con la superpotenza americana nella politica della dissuasione; la sorveglianza delle navi e delle basi occidentali ed evitare la nascita di organizzazioni stile nato nell’Atlantico meridionale (con Sud Africa, Brasile e

326 AMAEC, 1089INVA/647 MAE-DAM “L’Africa e le superpotenze” 05.11.1976.

327 CADN, 134PO/1/173 Yves Pagniez (Ambasciata di Francia in URSS) – Jean Bernard Raimond (Ministro

degli affari esteri) n.386/DAM 12.05.1987. Analoghe considerazioni sono presenti in tutti i documenti occidentali dell’epoca e sono confermate dagli stessi interlocutori africani.

328 CADN, 318PO/A/35 MAE “L'URSS e l'Africa” n.225 21.09.1976. 329 J. Chipman, op.cit., p.165.

330 ANF, AG/5(F)/2707 Primo ministro, SGDN “Bollettino Mensile” n.10.958/DN/CER/B/CD 08.04.1968. 331 ANF, AG/5(3)/1414 C. Harel (MAE) “Penetrazione sovietica in Africa” 01.12.1977.

Argentina) – inevitabilmente coinvolgono anche il continente africano, ma non determinano un atteggiamento aggressivo da parte di Mosca333.

Alla luce del limitato interesse del Cremlino nei loro confronti e dei limiti ideologico-politici sopra evidenziati, i regimi marxisti francofoni africani basano il rapporto con l’Esagono su un equilibrio fra gli attacchi (anche duri e non puramente retorici, le nazionalizzazioni malgasce e congolesi di metà anni ’70 ne sono riprova) e la richiesta di sostegno – presentando questo sostegno come dovere di compensazione rispetto all’epoca coloniale (per restare coerenti all’ideologia di cui pretendono di farsi portavoce)334. La Francia, dal canto suo, tende ad

assecondare le richieste di questi Paesi, nella convinzione che un proprio disimpegno faccia il gioco dell’Unione Sovietica. La formula del “sostegno agli stati, non ai governi” (in senso di regimi ideologici) è fondamentale per legittimare il rapporto con questi Paesi, ma non esclude l’insorgere di momenti di tensione. Nel momento in cui le misure o le prese di posizione internazionale dei regimi in questione oltrepassano il limite di accettazione per gli interessi, o per l’orgoglio e la pazienza cisalpina, Parigi fa leva sul proprio aiuto allo sviluppo, che sa essere fondamentale per questi Stati335. Nel 1980 il ministero della cooperazione francese suggerisce di attenuare il sostegno ai Paesi francofoni “progressisti”, per dimostrare la differenza fra loro e i “veri alleati francesi” – sostiene infatti che Parigi non ricavi alcun vantaggio politico “corteggiando” questi stati336 – ma il suggerimento non viene raccolto

dall’Eliseo.

Alla luce di queste considerazioni, alcuni personaggi politici hanno minimizzato le preoccupazioni francesi rispetto ad un’infiltrazione comunista nel continente africano, sostenendo che tale “ossessione” appartenesse sicuramente ad alcuni ambienti francesi (in particolare militari, servizi segreti e ambienti di estrema destra), ma non fosse centrale nell’elaborazione della politica africana cisalpina dell’epoca337. La documentazione

archivistica francese parrebbe, tuttavia, fornire una versione diversa, almeno per quel che riguarda la seconda metà degli anni ’70.

All’indomani del successo dell'azione sovietico-cubana in Angola e in Corno d’Africa, in particolare, i rapporti e le analisi francesi sulla penetrazione comunista nel continente si fanno sempre più frequenti. Il successo angolano (e, a distanza di qualche anno, quello etiopico) avevano dimostrato la capacità sovietica di infiltrarsi e sfruttare le situazioni di transizione a

333 J.S.Whitaker, op.cit., p.139.

334 ANF, AG/5(3)/1414 Robert Galley (Ministro della cooperazione) “Nota” 05.07.1978

335 ANF, AG/5(3)/1414 MC “I Paesi progressisti nelle nostre azioni di cooperazione” 06.09.1978.

336 ANF, AG/5(3)/1415 MC “La politica di cooperazione francese in Africa di fronte alla penetrazione sovietica”

18.03.1980.

proprio vantaggio: i sovietici, secondo il Quai d’Orsay, “hanno saputo giocare una partita a scacchi in maniera prudente, muovendo le loro pedine silenziosamente, con calma e senza farsi scoraggiare dalle porte in faccia”338. L’immagine del Cremlino nel continente esce, in particolare, molto rafforzata dall’esperienza angolana: al 60° anniversario della rivoluzione, nel 1977, si registra una grande partecipazione africana (vi si recano ben 17 dirigenti di