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Le motivazioni economiche e strategiche

2. Le motivazioni economiche, politiche e culturali del rapporto franco-africano

2.1. Le motivazioni economiche e strategiche

La motivazione apparentemente più immediata alla base del mantenimento di questo legame particolare fra Francia ed Africa francofona è di carattere economico: lo sfruttamento di risorse energetiche e strategiche, le relazioni commerciali e la presenza di importanti investimenti di industrie private francesi in loco (queste ultime due motivazioni vengono usate soprattutto per la zona del franco CFA) sembrano essere la giustificazione più comprensibile di questo rapporto. A questo vanno aggiunte le motivazioni di carattere strategico, come il controllo degli assi di comunicazione marittimi e terrestri (soprattutto dopo la chiusura del canale di Suez).

Se la questione del controllo degli assi di comunicazione è confermata dalla dislocazione geografica di alcuni Paesi francofoni nel continente (Senegal, Gibuti, Madagascar ma lo stesso Chad) ed è quindi sicuramente valida almeno per giustificare il rapporto con questi Paesi, il peso delle motivazioni economiche nei rapporti franco-africani è oggetto di maggior discussione. Già in epoca coloniale era stata messa in dubbio l’opportunità, da un punto di vista economico, dei rapporti con le colonie dell'Africa sub-sahariana212, con il raggiungimento delle indipendenze le polemiche in Francia a questo proposito si sono

212 Alla visione neomercantilista (di Paul Leroy-Beaulieu ripresa dallo stesso Jules Ferry) che sottolineava

l'opportunità di nuovi mercati per il rifornimento di materie di prime e per lo sbocco dei propri prodotti, si contrapponeva la visione di coloro che ritenevano si trattasse di uno spreco di “or et sang de la France” (Georges Clemenceau, Raoul Duvale, Federic Passy). R. Girardet, op.cit., p.92. Nei primi decenni di colonizzazione i territori oltremare (non solo africani) giocarono un ruolo effettivamente limitato nell'economia francese, assorbendo appena il 13% delle esportazioni cisalpine e fornendo poco più del 9% delle importazioni alla madrepatria. Per alcuni prodotti tuttavia i rapporti commerciali sono strategici già in questa fase: questi territori assorbono il 40% delle esportazioni francesi di zucchero raffinato, l'85% delle esportazioni di cotone, il 73% delle locomotive, l'80% delle costruzioni metalliche. Al contempo le colonie forniscono il 73% delle importazioni francesi di legno e arachidi, il 60% delle importazioni di legumi, il 79% di fosfati e il 95% di riso. Nel periodo interbellico l'importanza economica di questi scambi cresce sensibilmente e le colonie diventano il primo partner commerciale francese (politica di ripiego autarchico sull'impero di Albert Serraut). Nel 1957 si stima che un ménage francese su 28 debba il proprio reddito ai rapporti con le colonie. J. Marseille, Empire coloniale et capitalisme français, Parigi, Albin Michel, 1984, p.25.

moltiplicate – il cartierismo213 di inizi anni '60 è emblematico in tal senso.

La Francia dipende più di altri Paesi occidentali dal continente africano per il proprio approvvigionamento di risorse: il ferro della Mauritania, il manganese, l'uranio e il petrolio del Gabon, l'uranio del Niger, i fosfati del Marocco, del Togo e del Senegal, la cromite del Madagascar, il petrolio della Repubblica Centrafricana e del Congo sono sicuramente delle leve importanti per il mantenimento dei rapporti franco-africani. E’ innegabile come gli stati africani abbiano l’8% e il 12% delle riserve, rispettivamente, petrolifere e di gas naturale mondiale, il 90% di quelle di cobalto e fra il 30 e il 40% di quelle di platino e uranio214. Spesso, come accennato, Parigi approfitta dei legami di cooperazione per garantirsi l’approvvigionamento di queste risorse215. Tuttavia solo nel caso del Gabon e in minor misura

della Repubblica Centrafricana, del Congo e del Niger si può parlare di approvvigionamenti strategici per l'economia francese. Per quanto l’Esagono infatti dipenda dal continente anche per alcune risorse strategiche – nel 1979 importa il 10% del petrolio, il 30% del carbone, il 78% dell'uranio, l'86% della bauxite, il 16% dei fosfati, il 40% del rame, l'86% del manganese e il 34% del ferro di cui ha bisogno dall’Africa – questa dipendenza è principalmente legata a due Paesi esterni al pré carré. Si tratta in particolare del Sudafrica, che da solo fornisce circa un terzo del carbone, dell'uranio e del manganese e il 40% della cromite che la Francia importa dal continente, e della Nigeria, importante per il petrolio216. Lo sfruttamento di risorse

strategiche non può quindi essere considerato la ragione principe dei rapporti franco-africani nel loro insieme, tutt'al più può spiegare – almeno parzialmente – alcuni di questi rapporti.

Per quel che riguarda i legami commerciali, la Francia negli anni '70 e '80 gestisce circa il 40% del commercio estero dell'Africa francofona, giocando un ruolo d’importanza cruciale per questi contesti217. Al contempo, ancora nel 1986, il mercato africano (non solo il pré carré) gioca un ruolo strategico per il commercio di alcuni prodotti francesi, assorbendo il 42% delle esportazioni cisalpine del settore delle costruzioni e dei lavori pubblici, il 44% di quello delle farine, il 38% di quello farmaceutico e il 28% del settore ferroviario (interessante notare come si tratti di settori in buona parte legati alle commesse della cooperazione

213 Da Raymond Cartier, che nell'agosto 1956 lancia sul giornale “Paris Match” un attacco agli investimenti

economici nei possedimenti coloniali usando lo slogan “la Corrèze avant le Zambèze”. Il paragone era con l'Olanda, che liberandosi del proprio impero coloniale ha conosciuto uno sviluppo economico senza precedenti. J.P. Gourevitch, La France en Afrique, 5 siecle de présence, Parigi, Acropole, 2004, p.333.

214 J.S. Whitaker, Les Etats-Unis et l'Afrique: les intérêts en jeu, Parigi, Karthala, 1981, p.56.

215 A titolo esempificativo: di fronte ai malintesi nella ri-negoziazione dei termini dello sfruttamento dell’uranio

nigerino Abelin suggerisce “un effort dans la coopération” per dimostrare la buona volontà francese e ammorbidire la posizione di Nyamey. ANF, AG/5(3)/1412 “Udienza del ministro della cooperazione Abelin dal Presidente della repubblica” 16.01.1975.

216 D. Bach, op.cit., p.26.

internazionale)218. La Francia è infatti il Paese OCSE che esporta di più verso l’Africa: nel

1987 ben il 22% di tutte le esportazioni dei Paesi dell’OCSE verso il continente sono francesi219. Anche per quel che riguarda le importazioni, alcuni specifici prodotti che la Francia importa provengono quasi esclusivamente dal continente africano (e dal suo pré carré in particolare): l’83% del cacao, l’87% del legno tropicale, il 62% del caffè e il 68% dell’uranio importato provengono da questi Paesi (i dati fanno riferimento al 1971, tuttavia le variazioni nel decennio successivo non dovrebbero intaccare la centralità del continente nei rifornimenti di queste materie prime)220. Qualcuno riconosce inoltre uno specifico ruolo al commercio con i Paesi del “Terzo Mondo” e, in primis, con i Paesi africani francofoni negli anni '70 per l’economia francese. Gli scambi con questi Paesi avrebbero salvato l'industria cisalpina, assorbendo il 20% delle esportazioni dell’Esagono e tamponando in questo modo gli effetti della crisi petrolifera sull’economia francese – sarebbe interesse della Francia, ai sensi di quest’analisi, fare crescere la domanda interna a questi Paesi attraverso la cooperazione, intesa come forma aggiornata e adattata al contesto africano del Piano Marshall221.

Se si fa un'analisi macroeconomica dei rapporti commerciali franco-africani, tuttavia, emerge con chiarezza come i Paesi del cosiddetto pré carré (in senso lato, comprendendo i nuovi ingressi degli anni ’70) occupino in realtà un posto marginale e decrescente nelle relazioni commerciali francesi. Nel 1974 appena il 3.4% delle importazioni e il 4% delle esportazioni dell’Esagono rispettivamente provengono e sono diretti verso questo gruppo di Paesi. Nel 1984 la percentuale delle importazioni scende al 2.5%, quella delle esportazioni al 3.8%222, quote oltre che in diminuzione (leggera nel caso delle esportazioni), anche paragonabili a quella di altre aree mondiali – come l'America Latina – nei confronti delle quali la Francia non adotta una politica paragonabile a quella prima descritta per l'Africa francofona223, pertanto non giustificabile sulla base di quest'elemento.

Importante, inoltre, sottolineare, come se si allarga lo sguardo all’intero continente, l'85% delle importazioni e il 77% delle esportazioni coinvolgano Algeria, Nigeria, Africa del Sud,

218 B. De Montferrand, “L'évolution des relations franco-africaines”, Politique étrangère n.°3, 1988, pp. 681-

691, p.685.

219 CADN, 318PO/A/46 Ministero dell’economia e delle finanze “Summit franco-africano: scambi commerciali

della Francia con i Paesi africani” 25.09.1987.

220 AMAEC, 1089INVA/238 “Discorso di Yvon Bourges (Segretario di stato agli affari esteri incaricato della

cooperazione) all’istituto di Vienna per lo sviluppo e la cooperazione” 26.11.1971.

221 ANF, AG/5(3)/900 MAE “Nota del Centro di Analisi e Previsione" n.265 17.02.1977.

222 Dati consultabili in http://comtrade.un.org.

223 J. Adda, M.C. Smouts, op.cit., p.60. Le percentuali oscillano di qualche punto percentuale in base ai

documenti di riferimento, in ogni caso il senso del discorso non è intaccato da oscillazioni così contenute. Le esportazioni francesi nel continente sono spesso assistite dalla BFCE (Banca Francese per il Commercio Estero) che eroga prestiti tanto ai fornitori quanto ai clienti per incentivare le transazioni internazionali.

Marocco, Costa d'Avorio, Gabon, Tunisia224 – dove solo Costa d'Avorio e Gabon sono parte

del cosiddetto pré carré africano. Il Nord Africa, da solo, assorbe infatti il 50% degli scambi che la Francia intrattiene con il continente, l'Africa occidentale il 24%, quella centrale l'11%225. I due principali partner commerciali francesi del continente sono infatti la Nigeria – che nel 1980 assorbe da sola il 23% delle esportazioni francesi verso il continente ed è il suo terzo fornitore di petrolio – e il Sudafrica – che fino alla fine degli anni'70 assorbe fra il 9 e il 15% delle esportazioni francesi in Africa. Ancora una volta, non si tratta di due Paesi del pré carré226. Come nota lo stesso ministero della cooperazione francese nel 1979, rispondendo alle accuse di una cooperazione e un mantenimento di rapporti stretti in virtù di un ritorno economico-commerciale per la Francia, “l'unica certezza a tal proposito è che se non ci fossero rapporti di cooperazione con questi Paesi, la Francia avrebbe rapporti commerciali molto più contenuti con loro”227. Al consiglio dei ministri del 7 novembre 1979, il ministro degli affari esteri sottolinea come benché nel 1978 l'Africa francofona abbia costituito il 3.4% dell'intero commercio estero francese, contro il 2.5% dell'Africa non francofona, la prima abbia beneficiato di un aiuto 25 volte superiore rispetto alla seconda228. L’importanza dell’Africa non francofona, rispetto al pré carré, peraltro, è in evidente aumento nel decennio considerato – riprova della politica di “allargamento continentale” posta in essere da Parigi: gli stati non francofoni, in particolare, passano dal fornire il 44.5% delle importazioni francesi dall’Africa sub-sahariana nel 1974, a fornirne il 55.2% nel 1984 e passano dall’assorbire il 28.5% (1974) al 34.6% (1984) delle esportazioni francesi dirette in Africa Nera.

Se si sposta l'analisi sugli investimenti esteri, la maggior parte degli investimenti esteri in Africa francofona è effettivamente francese, in virtù degli incentivi statali ad investire nell'area (ad esempio tramite COFACE) e della presenza di condizioni particolarmente favorevoli per le imprese francesi in loco (soprattutto nella zona del franco CFA). L’Africa Nera garantisce ancora nel 1986 il 30% delle garanzie della COFACE229. Il trend è tuttavia in diminuzione: se negli anni '70 il continente africano (non solo il pré carré) occupa un ruolo di rilievo per quel che riguarda gli investimenti esteri francesi (circa il 25% di questi investimenti finiscono nel continente), negli anni '80 la percentuale scende all'11.5% – sempre

224 CADN, 134PO/1/102 Ministero dell’economia e delle finanze “Summit franco-africano: scambi commerciali

della Francia con i Paesi africani” 22.10.1986.

225 ANF, AG/5(4)/CD/62 Media France Intercontinents “Il commercio Francia-Africa” 30.05.1983. 226 A.Sesay, op.cit., p.79.

227 ANF, 20000138/1 MC, Sottodirezione alle azioni culturali “Bilancio di 20 anni di cooperazione franco-

africana nell'insegnamento e nella formazione” 28.09.1979.

228 AMAEC, 1089INVA/724 “Trascrizione degli interventi al consiglio dei ministri” 07.11.79. La conclusione a

cui arriva François Poncet è la necessità di ridurre questa sproporzione a favore dell'Africa non francofona.

229 CADN, 318PO/A/46 Ministero dell’economia e delle finanze “Summit franco-africano: scambi commerciali

considerando l'intero continente230.

In virtù di quest'insieme di considerazioni, molti analisti concordano nell'affermare che l'aiuto che la Francia ha erogato negli anni all'Africa francofona, nel suo insieme, è più importante dei dividendi che ne ha tratto231, in quanto questi Paesi – sempre considerati nel loro insieme (diversa l'analisi caso per caso) – “offer no real direct economic benefit to France”232, e quindi “la notion d'intêret économique obscurcit plus qu'elle n'éclaire la question des fondements de la politique africaine de la France”233. Non è un caso che rendere maggiormente remunerativi i rapporti politico-economici con il pré carré (ad esempio rafforzando la componente creditizia a discapito di quella di dono nell'aiuto pubblico) e allargare la sfera d'influenza francese nel continente in ottica mercantilistica (inglobando ad esempio Paesi come Nigeria ed Angola) sia una delle preoccupazioni costanti da Pompidou a Giscard a Mitterrand234.

E' tuttavia innegabile che i rapporti economici con l'Africa sub-sahariana diano lavoro, nel periodo di riferimento, a circa 30.000 francesi (che diventano 150.000 se si include il settore della cooperazione)235 e che questi rapporti determinino grossi guadagni per alcuni gruppi industriali francesi (Elf-Erap, dal 1976 Elf-Aquitaine, gruppo Bolloré, Bouygues, Orange, Thompson CSF, CFAO, Hachette236 – solo per citare i più conosciuti). E' su questo livello

infatti, più che sulle statistiche macro-economiche, che si gioca il peso economico dei rapporti franco-africani. I mercati degli stati dell'Africa francofona non sono aperti in questi anni alla libera concorrenza internazionale e garantiscono una posizione ai limiti del monopolio ad alcune aziende francesi, secondo il concetto di “marché captif”237. Alcuni autori sottolineano

230 CADN, 318PO/A/38 MAE, Servizio relazioni commerciali e investimenti Francesi, n.252/DE/BE,

26.05.1988.

231 J.P. Gourevitch, op.cit., p.392. 232 J. Chipman, op.cit., p.189.

233 J. Adda, M.C. Smouts, op.cit., p.60. Se si considerano ad esempio gli interventi armati che la Francia fa nel

continente nel corso degli anni '70 e '80 (Mauritania, Zaire, Repubblica Centrafricana e Chad), per cui si rimanda al paragrafo 3.1 relativo alla presidenza di Giscard d’Estaing, la motivazione politica – mantenere/rafforzare un'influenza sui Paesi in questione – prevale su quella economica.

234 ANF, AG/5(4)/BD/18 René Lenoir “FAC e esportazioni” 28.04.1983. Nel 1972 in una nota al presidente

Pompidou, si riconosce come per quanto la Nigeria sia “per natura, non per cattiva volontà contro di noi” non si possa prescindere da lei. ANF, AG/5(2)/1025 “Nota al presidente della repubblica sulla cooperazione con l’Africa francofona dopo il suo viaggio in Togo e Alto Volta” 29.11.1972.

235 Questi dati includono anche i rapporti economici con l'Africa anglofona. CADN, 318PO/1/110 MC

“Panorama dell'azione del ministero della cooperazione” febbraio 1980.

236 Niger-France, Optorg, SCOA, CFAO nel 1976 raccolgono fra il 65 e il 75% dei loro guadagni nel continente

africano. Il mercato africano nel 1974 assorbe quasi il 95% delle esportazioni di libri francesi (in massima parte libri scolastici), anche in seguito continua a giocare un ruolo di rilievo per gli editori francesi – soprattutto per quel che riguarda i libri scolastici. ANF, 20000138/1 MC, Servizio cooperazione culturale- scientifica e tecnica “Prospettive di una politica del libro nell'Africa francofona” novembre 1974.

237 E. Assidon, Le commerce captif. Les societés commerciales françaises de l'Afrique Noir, Parigi, L'Harmattan,

1989. L'importanza del dominio francese di questi mercati ha delle rispercussioni anche sull'immagine che la Francia ha e propone di sé stessa, per cui si rimanda al paragrafo 2.3.

come questa situazione abbia influenzato negativamente lo sviluppo industriale francese, portando ad una specializzazione nella produzione di beni di consumo corrente, disincentivando l'innovazione e la competitività delle imprese nazionali238. Le ripercussioni di questo rapporto sulla struttura dell'economia nazionale francese non sono l'interesse della presente riflessione, che intende invece sottolineare come se da un punto di vista macroeconomico i vantaggi dei rapporti franco-africani degli anni '70 e '80 non sono evidenti, cristalline sono invece le rendite garantite da questi rapporti ad alcuni grossi imprenditori francesi239 – e che risieda in questo tipo di vantaggio la vera ratio economica dei rapporti franco-africani.

Ultimo tema a cui accennare in riferimento alle motivazioni economiche che spingono la Francia a mantenere questo rapporto intenso con l'Africa francofona è la questione del ritorno dell'aiuto pubblico allo sviluppo. La cooperazione, come già accennato, è uno dei pilastri dei rapporti franco-africani, un filone della letteratura economica enfatizza la “rentabilità” (e quindi la ratio economica) delle azioni di cooperazione, secondo cui il vero obiettivo dell’aiuto allo sviluppo è l’aiuto, non lo sviluppo. Sono tanti gli autori che hanno riflettuto sulle distorsioni dell'aiuto, inteso come “prelievo ai poveri dei Paesi ricchi destinato ai ricchi dei Paesi poveri, affinché questi li ridiano ai ricchi dei Paesi ricchi”240. Lo stesso rapporto

Gorse accusa molta parte dell'aiuto francese di andare direttamente nelle tasche di francesi, anziché a beneficio dei Paesi destinatari – arrivando a sostenere che lo sviluppo delle economie locali sembra un obiettivo secondario rispetto all’espansione della cultura e delle vendite di beni francesi241. Le analisi statistiche effettivamente stimano che circa il 95% dell'aiuto cisalpino rientri nell'economia nazionale, il tasso di ritorno della sola assistenza tecnica è stimato nel 1979 al 110%242, anche in virtù dell'uso della già citata formula dell'aiuto legato. E’ al contempo comprovato come l’aiuto francese sia più consistente nei Paesi dotati di risorse anziché in quelli privi di risorse, che a rigore di logica necessiterebbero invece maggiormente di tale aiuto243 – in particolare la Francia secondo le stime del CAP consacra circa il 60% del suo aiuto a territori con reddito medio intorno ai 1000 $ (la media delle azioni

238 J. Marseille, op.cit., p.188.

239 Per approfondire le vicende di alcuni di questi imprenditori cfr. le pubblicazioni di Agir Ici et Survie, di

Antoine Glaser e Stephen Smith.

240 J. Artur, citato in F.X. Verschave, op.cit., p.63.

241 AMAEC, 1089INVA/238 MAE “Rapporto Gorse” luglio 1971.

242 ANF, AG/5(3)/1415 MC “Bilancio della politica di cooperazione” 27.09.1979.

243 AMAEC, 1089INVA/238 Ambasciata di Francia in Dahomey “Riunione degli ambasciatori francesi

dell’Africa nera francofona: evoluzioni e prospettive della politica di cooperazione”, 18.07.1974. L’ambasciatore in Dahomey sottolinea in quest’occasione come il Niger riceva, in proporzione, molti più aiuti del suo Paese di residenza. Altro elemento determinante la distribuzione degli aiuti parrebbe essere la vicinanza personale del leader del Paese-beneficiario con l’entourage francese – il Gabon riceve un aiuto estremamente consistente proprio sulla base di questa motivazione. U. Engel, G.R. Olsen, op.cit., p.47.

a favore di questi Paesi fra i donatori del CAD è invece del 33%)244. Questo genere di

riflessioni (e critiche) potrebbe tuttavia essere applicato a qualsiasi attore in qualsiasi area geografica in cui si faccia cooperazione, non è pertanto utile nello specifico a comprendere i rapporti franco-africani.

Anche se si considera il risvolto economico dei rapporti di cooperazione militare, per quanto l’interesse economico della Francia nel mantenere rapporti militari (e quindi forniture di armamenti) con i Paesi africani sia innegabile, e nei documenti relativi alla cooperazione militare con queste realtà l’attenzione alle possibilità di ampliare le esportazioni di armi ricorra sempre245, le statistiche sulle esportazioni di armi francesi forniscono una fotografia inaspettata. Nel 1972 poco più dell’11% delle esportazioni di armi francesi si dirige verso l’Africa sub-sahariana nel suo insieme – e il principale acquirente nel continente nero è il Sudafrica, non uno stato del pré carré. Nella seconda metà degli anni ’70 sebbene le esportazioni militari francesi verso il continente aumentino in termini assoluti, di fatto diminuiscono in termini relativi: già fra il 1977 e il 1978 le armi esportate verso l’Africa sub- sahariana costituiscono meno del 4% delle esportazioni militari francesi nel mondo, fra il 1979 e il 1980 scendono a meno del 3% – ciononostante la Francia resta in questo periodo il secondo fornitore di armi, dopo l’Unione Sovietica, del continente246.