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Gli sviluppi storici di Burundi e Ruanda (1971-1984)

1. La fine degli anni ‘60 nei due Paesi: l’ultima instabilità (1971-1973)

1.2.1. Le violenze del 1972-

Gli anni ’70 si aprono in Ruanda in un clima politico sospeso. Le parole usate dall'ambasciatore britannico a Kampala nell’autunno 1970 per descrivere il Paese sono “stagnant waters” e “lethargic stability and introversion”136: immobilismo e torpore politico

sembrano caratterizzare il contesto politico ruandese d’inizio decennio, considerato a Parigi un raro esempio di “stabilité politique” nel continente africano137. Ma l’apparenza non deve trarre

in inganno: sulle colline si registra un malessere crescente, il Paese soffre di forti problemi economici e di un’importante disoccupazione intellettuale, l’ambasciatore belga parla di “déterioration dans l’activité de la plupart des départements ministeriels”138. Kaybanda di

fronte a questa situazione appare debole ed impotente, è spesso assente dalla capitale e iniziano a circolare voci di una malattia che lo debilita (probabilmente una cirrosi epatica)139. Una nota del ministero degli affari esteri francese del maggio 1971 descrive il presidente ruandese come “d'aspect débile et effacé, poussant la simplicité de sa tenue jusqu'à la negligence, mal à l'aise au public”140.

Gli eventi burundesi della primavera 1972 si inseriscono in questo contesto di calma apparente e fungono da detonatore del malcontento inespresso e dei nodi irrisolti della società ruandese dell’epoca. Gli “événements” del falso gemello ruandese hanno ripercussioni nei Paesi limitrofi non solo in virtù dell’attivismo politico-militare degli esuli fuoriusciti dal Paese: in Ruanda, in particolare, determinano degli sviluppi interni che prescindono dall’azione destabilizzante dei rifugiati. Le violenze burundesi ripongono, infatti, al centro del dibattito politico ruandese la questione dei rapporti interetnici ed, in particolare, della rappresentanza della minoranza tutsi nelle scuole, negli uffici pubblici e nelle imprese private (la questione delle quote)141. La correlazione fra le tensioni ruandesi e i precedenti avvenimenti burundesi è riconosciuta da tutti gli osservatori occidentali, che sostengono che le violenze burundesi hanno “manifestement

136 NA, FCO 31/524 David White (Ambasciata del Regno Unito in Uganda) – E.V.Nelson (Ministero degli affari

esteri e del commonwealth, dipartimento Africa orientale) “Situazione politica in Ruanda” 07.10.1970. La Gran Bretagna nel 1967 chiude le proprie ambasciate di Kigali e Bujumbura, affidando la competenza per i due Paesi rispettivamente all’ambasciata di Kampala e Kinshasa. Dal 1977 l’ambasciata di Kinshasa sarà competente per entrambi gli stati.

137 SHD, 9Q5133 Tallot (SGDN) Rapporto n.10.909/SGDN/CER/B/CD 08.09.1971.

138 AECCD, Dossier n.16.393, Film n.P2859-60 Copette – Harmel “Rapporto settimanale” 07.01.1972. 139 ANF, AG/5(F)/2189 de la Boissière – Schumann “Rapporto di fine missione” n.151/DAM 10.04.1972. 140 AG/5(F)/679 MAE-Direzione degli affari politici dell’Africa-Levante (sotto-direzione Africa) “Presidente

Kaybanda” 27.05.1971

141 Il sistema delle quote in Ruanda riserva ai Tutsi il 9% dei posti di lavoro, dei percorsi di alta formazione, dei

reveillé chez les hutu leur crainte et leur haine atavique” verso i tutsi e sono state causa primaria, se non esclusiva della rinascita degli scontri fra i due gruppi etnici in Ruanda142.

I primi scontri dalla connotazione etnica che si registrano nel Paese coinvolgono il mondo studentesco del perimetro compreso fra Shyogwe-Byimana-Nyanza e Gitwe (prefettura di Gitarama). Dopo le prime avvisaglie primaverili (1972), in autunno la tensione raggiunge la piena maturazione143. Di fronte a una protesta al collège adventiste di Gitwe (settembre 1972) – legata a ragioni che nulla hanno a che vedere con la questione etnica (l’inadeguata preparazione linguistica dei docenti americani) – la risposta del giudice Kanani inserisce la questione etnica nel dibattito. Il giudice, infatti, accusa gli studenti di farsi manipolare dai tutsi su falsi problemi, lasciandosi distrarre dalla vera questione, ossia la sproporzione – a favore della minoranza – della rappresentanza di Hutu e Tutsi all'università. Il mese successivo, gli scontri all’École Normale Save (prefettura di Butare) assumono un carattere xenofobo (non etnico, ma il passaggio da xenofobia a etnicismo è breve e il Ruanda in questo non fa eccezione): gli scontri nascono per ragioni amministrative (una protesta contro il regime alimentare della scuola, già inscenata l'anno precedente) e degenerano poi in attacchi anti-belgi e padri maristi (che portano i Belgi a lasciare la struttura). Nello stesso periodo si verificano dinamiche analoghe che si caricano però di un significato etnico (anti-tutsi) oltre che xenofobo nel collegio Byimana e Shyogwe (prefettura di Gitarama) e nel collegio Nyamasheke (prefettura di Cyangugu)144. Nel gennaio 1973 il Collegio Ufficiale di Kigali, da sempre sede di

manifestazioni di dissenso studentesco, sino ad allora tuttavia mai legato a motivazioni etniche, viene investito da un'ondata anti-tutsi (oltre che anti-occidentale). Nel febbraio Gitwe torna ad essere protagonista di nuove violenze, questa volta squisitamente etniche: gli studenti tutsi del collège vengono definiti “indesiderati” e allontanati con la forza dai colleghi hutu. In contemporanea, all'università di Butare alcuni studenti hutu, riconducibili alla jeunesse PARMEHUTU (Parti du Mouvement de l'Emancipation Hutu) secondo Londra e Parigi, cacciano circa 200 studenti tutsi dall'università, in quanto eccedenti secondo la logica delle quote. Il rettore non interviene né chiama le forze dell’ordine per farlo – almeno fin quando gli studenti non attaccano il personale straniero (canadese), accusato di essere “pro-tutsi”. Episodi analoghi si registrano all'Istituto pedagogico e al Centro di Formazione Pedagogica di Butare.

142 CADN, 318PO/A/3 Picquet – Schumann “Violenze in Ruanda” n.59/DAM 01.03.1973.

143Il primo episodio si registra in primavera, in seguito al presunto diniego di tre giorni di lutto e funerali ufficiali

di stato per il principe Ruzindana, simbolo della corona tutsi ruandese – onori concessi poco tempo prima per il decesso di un membro del governo. Qualcuno sostiene che questi scontri siano stati in realtà fomentati da propagandisti del partito di governo PARMEHUTU per alzare la tensione nel Paese. AECCD, Dossier n.16.363, Film n.P2510 Van Haute – Van Elslande “Rapporto sugli avvenimenti ruandesi” 05.03.1973.

In tutti i casi menzionati, la Guardia Nazionale interviene per metter fine ai disordini, ma non vengono presi provvedimenti verso gli studenti fautori delle violenze: le autorità ruandesi non sembrano volersi impegnare a punire i responsabili145. Gli scontri studenteschi di questi mesi, seppure – almeno inizialmente – non direttamente o comunque non unicamente legati a motivazioni etniche, sono indicativi di un malessere studentesco crescente, convogliato contro la minoranza etnica. L’impunità di cui beneficiano in questa prima fase gli organizzatori delle violenze getta non poche ombre sulla connivenza delle autorità nazionali rispetto a questi movimenti.

Nel febbraio-marzo 1973, la protesta entra in una seconda fase, generalizzandosi secondo cerchi concentrici: dall'università si sposta non soltanto in molti stabilimenti secondari del Paese, ma anche al mondo del lavoro – soprattutto nel settore privato. Su pressione soprattutto dell'élite urbana che trarrebbe beneficio da eventuali riequilibri etnici (il mondo rurale gioca un ruolo marginale in tali rivendicazioni), si formano anonimi “comitati di salute pubblica” per controllare il rispetto delle quote etniche nei posti di lavoro (pubblici e privati) e nei percorsi scolastici. Vere e proprie “liste di proscrizione” vengono appese in scuole e uffici, pretendendo l'allontanamento dei dipendenti tutsi considerati in eccesso – ai sensi dei rapporti di proporzione stabiliti dal sistema delle quote. L’affissione delle liste si accompagna a episodi di violenza fisica ai danni della minoranza tutsi, che provocano fino a 1.000 morti, l’incendio di abitazioni e la fuoriuscita dal Paese di circa 700 tutsi146. La maggior parte dei datori di lavoro ruandesi e

asiatici (pakistani perlopiù) tendono ad adeguarsi ai dettami dei comitati senza porre eccessiva resistenza – per quieto vivere (soprattutto gli asiatici) o tendenziale condivisione del principio alla base della protesta. Alcuni datori europei, al contrario, cercano di opporvisi, appellandosi a giustificazioni morali e di efficacia produttiva (l’allontanamento del personale comprometterebbe il funzionamento dell’azienda). Il successo di queste forme di resistenza dipende dall’importanza politica dell’impresa in questione147: in molti casi gli imprenditori sono costretti ad adeguarsi ai dettami dei comitati, licenziando il personale tutsi (spesso continuando però a pagarlo di nascosto) o sostituendolo con personale hutu.

Di fronte a questa situazione di violenza fisica e psicologica generalizzata, il presidente Kaybanda risponde in maniera ambigua: dopo diverse settimane di atteggiamento “étrangement passif”148, invia l'esercito a calmare gli animi nelle aree interessate dagli scontri più forti e lancia

145 CADN, 318PO/A/3 Picquet – Schumann “Violenze in Ruanda” n.59/DAM 01.03.1973. 146 AECCD, Dossier n.16.393, Film n.P2859-60 Tel. n.209 Baekelandt – MAE 27.03.1973.

147 Emblematico in tal senso il caso della Deutsche Welle, che garantisce le emissioni radiofoniche ruandesi e che

minacciando di non riuscire a trasmettere alcun programma è riuscita a far ritirare le liste dal suo ufficio. AMAEC, 347QO/13 Tel. n.68-77 Picquet – MAE 28.02.1973.

su “Radio Ruanda” un vago e approssimativo “message de pacification” (22 marzo). Nel messaggio il presidente ruandese riconosce l'esistenza delle etnie, che tuttavia sostiene debbano concepirsi come nazionali; richiama la rivoluzione del 1959, ma dice di non accettare che questa venga applicata nell'indisciplina, nell'intrigo e nella violenza e invoca il rispetto della civiltà, della legge e della disciplina149. Contemporaneamente alla diffusione del “message de pacification” viene pubblicata una lettera di Kaybanda del 22 febbraio destinata al direttore del Collegio Christ-Roi di Nyabisindu e diffuso in copia a tutti dirigenti scolastici ruandesi. Nella lettera il presidente ruandese, dopo aver condannato le pratiche volte all’epurazione etnica e invocato la fraternità fra Hutu, Tutsi e Twa, riconosce la responsabilità di alcuni professori europei e di alcuni tutsi nei movimenti sovversivi – esonerando implicitamente gli hutu da qualsiasi responsabilità150. Entrambi i documenti se da un lato costituiscono una svolta perché sanciscono, per la prima volta, il riconoscimento da parte del regime ruandese della gravità degli avvenimenti in atto (fino a quel momento minimizzati) e della loro matrice etnica, dall’altra mancano completamente di capacità d’analisi e di proposizione. Se inoltre i commenti del presidente esprimono una condanna delle violenze, nulla dicono sul giudizio ufficiale rispetto alle ragioni alla base della protesta (la questione del rispetto delle quote). Questo silenzio, accompagnato all’impunità di cui godono gli organizzatori delle violenze, finisce per suonare come un implicito riconoscimento di legittimità delle proteste – a maggior ragione se si considera il riferimento alla genesi delle violenze nell’azione di professori stranieri e alcuni studenti tutsi151.

La “mise au point” del ministro ruandese degli esteri e della cooperazione d’inizio marzo parrebbe andare nella stessa direzione. Il comunicato di Munyaneza, nel ricostruire gli eventi, riconosce, infatti, l’esistenza in Ruanda di due movimenti, che si sono diffusi a macchia d'olio nel Paese nelle ultime settimane: un movimento sociale presente anche in altri stati, nato in ambito studentesco, legato alle insoddisfazioni dei giovani, che ha portato ad alcuni scontri violenti. Ed un secondo movimento, sempre sociale e di base, diffuso invece fra i lavoratori, che non ha portato ad alcuna violenza e che si domanda perché gli hutu devono svolgere i lavori più infimi e “gli altri” occupare i posti direzionali. Munyaneza non condanna le rivendicazioni

22.03.1973.

149 AECCD, Dossier n.16.393, Film n.P2517 Baekelandt – Van Elslande “Messaggio di pacificazione di Kaybanda”

27.03.1973.

150 ANF, AG/5(F)/2190 Ambasciata di Francia in Ruanda – SGCAM Rapporto n.85/SE-DAM 29.03.1973. 151 Gli osservatori occidentali restano positivamente colpiti dal fatto che Kaybanda non cerchi di gridare al

complotto esterno, arma invece più che sfruttata da Micombero qualche mese prima (tanto da portare le ambasciate occidentali a cifrare le proprie comunicazioni con l’esterno). CADN, 134PO/1/18 de la Bruchollerie – Schumann n.569/DAM 10.05.1972.

di nessuno dei due movimenti, definiti “di base” proprio per presentarli come espressione democratica di aspirazioni legittime delle masse152.

La legittimità della protesta viene difesa anche dall’ambasciatore ruandese a Bruxelles, che si spinge anche oltre nelle sue valutazioni: nel presentare gli eventi, il diplomatico infatti oltre a sottolineare come le proteste siano legittime in quanto chiedono il rispetto del principio dell’equilibrio etnico – mai applicato, secondo lui, nel suo Paese (dove all’università i Tutsi costituirebbero il 65% degli studenti) – fa risalire l’inizio delle violenze a delle provocazioni della minoranza etnica. I Tutsi, approfittando dell’atteggiamento conciliante del governo ruandese all’indomani degli eventi burundesi, avrebbero minacciato gli Hutu, soprattutto nelle scuole, di far fare loro la fine dei fratelli burundesi153.

Le dinamiche di questa ondata di violenza etnica ruandese non sono ancora state completamente chiarite, tutt’oggi restano diversi dubbi, come detto, proprio sul ruolo svolto dal presidente ruandese e dal suo entourage. L’ambiguità delle dichiarazioni e dei comportamenti di Kaybanda e dei suoi fedelissimi, ha portato alcuni studiosi a riconoscerlo come il coordinatore delle violenze. Il regime, sfruttando l'onda emozionale degli avvenimenti burundesi, avrebbe cercato di cavalcare una protesta in realtà nata contro i privilegi e gli insuccessi della sua politica, incapace di mantenere le promesse del 1959, rivolgendola contro il “vecchio nemico tutsi”, nella speranza di ricreare il consenso perso negli ultimi anni154.

Secondo quest'interpretazione, la protesta dell'autunno/inverno 1972-73 nasce come malcontento verso i ricchi e i privilegiati (siano essi hutu del sud, tutsi o stranieri – per la rabbia nei confronti di questi ultimi, un ruolo possono aver giocato i contemporanei discorsi zairesi sull’ “autenticità” e la xenofobia ugandese) e in un secondo momento si etnicizza, benché non ovunque, soprattutto nelle realtà urbane155. L’ambasciatore belga a Kigali è certo che le agitazioni studentesche siano appoggiate “par les plus hautes instances du parti, à commencer par le président même”156.

La situazione ruandese nel 1972 è effettivamente problematica: oltre alle già citate considerazioni dell'ambasciatore britannico a Kampala, lo stesso ambasciatore francese a Kigali descrive le criticità della realtà ruandese, di fronte alle quali il presidente Kaybanda si presenta come “homme fatigué, débordé par les rivalités des personnes au sein du parti unique (…)

152 CADN, 318PO/A/3 Tel. n.99-104 Picquet – MAE 10.03.1973.

153 AECCD, Dossier n.18.809/XXI/2 Tel. n.82 Harmel – Ambasciata del Belgio in Ruanda 01.03.1973.

154 F. Reyntjens, La deuxième republique rwandaise: évolution, bilan et perspectives, “Afrika Focus”, vol. 2 (3-

4), 1986, pp. 273-298, p.275.

155 ANF, AG/5(F)/1635 Picquet – Jobert n.61/DAM 01.03.1973.

impuissant”157. Nei primi mesi del 1973, l’ambasciatore belga parla di intrighi e nervosismo in

seno alla guardia nazionale158. Una rinnovata coesione etnica del gruppo hutu contro il nemico

tutsi (sulla scia dell'esperienza delle invasioni degli esuli tutsi dell'inizio della prima repubblica) poteva tornare quindi utile – anche in vista delle elezioni presidenziali di settembre159. L’ambasciatore francese ritiene che Kaybanda abbia tollerato, se non organizzato i massacri160.

Sempre l’ambasciatore francese, tuttavia, riconosce come il presidente ruandese potrebbe invece essere stato vittima degli eventi, in realtà pilotati o comunque cavalcati da un gruppo di militari del nord del Paese – capitanati dal generale Habyarimana (all’epoca ministro della Guardia Nazionale, capo della Polizia e capo di stato maggiore) e da altri protagonisti della storia politica ruandese successiva (come Aloys Nsekalije, Alexis Kanyarengwe, Athanase Gasake, Theoneste Lizinde) – che avrebbero fomentato la violenza etnica per delegittimarlo161. Secondo questa versione, la radice degli avvenimenti ruandesi del 1973 risiederebbe nella politica regionalista di Kaybanda a favore degli hutu del sud del Paese (banyandunga) ed in particolare degli hutu della prefettura di Gitarama (di cui è originario il presidente), ai danni degli hutu del nord (bakiga). Questi ultimi, maggioritari nell'esercito, da anni cercherebbero solo l'occasione per potersi disfare del presidente, necessità resa ancora più impellente viste le purghe ai loro danni del biennio 1968-1970162 e la riforma costituzionale (maggio 1973), che

permetteva a Kaybanda di presentarsi alle elezioni di settembre e restare in carica a tempo indeterminato163. Considerati i tentati colpi di stato di febbraio, aprile e maggio 1973 denunciati

dall'ambasciata ruandese a Bruxelles e dallo stesso ambasciatore belgaa Kigali164, l'unanime

riconoscimento (da parte delle ambasciate occidentali) del ruolo dei militari, di Habyarimana in particolare, nel ripristinare la pace nel Paese durante le violenze del febbraio-marzo 1973, nonché l’epilogo del 5 luglio, questa seconda ipotesi non sembra da scartare a priori.

Le due ipotesi non sono, in ogni caso, mutualmente esclusive: il dispiegarsi della violenza etnica e l’apparente anarchia nel Paese tornava infatti utile per interessi opposti tanto all’entourage di

157 AMAEC, 347QO/5 Picquet – de Guiringaud “Rapporto di fine missione” n.199/DAM 30.09.1976. 158 AECCD, Dossier n.16.393, Film n.P2517 Tel. n.258 Baekelandt – Van Elslande 07.04.1973. 159 NA, FCO 31/1453 Stewart (Ambasciata del Regno Unito in Uganda) “Tour in Ruanda” 16.04.1973. 160 AMAEC, 347QO/5 Picquet – de Guiringaud “Rapporto di fine missione” n.199/DAM 30.09.1976.

161 CADN, 318PO/A/3 Picquet – Jobert “Il Ruanda dopo gli avvenimenti di febbraio-marzo 1973” n.97/DAM

12.04.1973.

162 Dominique Mbonyumutwa, Jean Baptiste Rwasibo, Rusingizandekwe, Balthazar Bicamumpaka e altri dirigenti

politici del nord vengono arrestati per “deviazionismo”, A.Guichaoua, Les crises politiques...cit., p.213. Nel 1973 si contano solo due ministri hutu del nord nel governo: Habyarimana, ministro della guardia nazionale e Sebatware, ministro degli interni.

163 ANF, AG/5(F)/2190 Picquet – Jobert n.136/DAM 11.05.1973.

164 Al tentativo del febbraio 1973 avrebbero partecipato anche mercenari europei, quello di aprile sarebbe fallito

per il mancato appoggio di Habyarimana e nel maggio 1973 Kaybanda non avrebbe fatto partire Habyarimana per il Belgio proprio per ostacolare il suo piano di destabilizzazione. AECCD, Dossier n.16.393, Film n.P2517 Tel. n.384 Metten (Ambasciata del Belgio in Ruanda) – MAE 29.05.1973.

Kaybanda, quanto ai militari vicini ad Habyarimana – per le ragioni appena descritte. E’ probabile che la protesta, nata per altre ragioni, sia stata cavalcata per interessi opposti da entrambi i gruppi, il che spiegherebbe l’inefficacia nel contrastarla e l’ambiguità delle dichiarazioni governative. Sicuramente Habyarimana si è dimostrato politicamente più abile a sfruttare le circostanze e gli sviluppi successivi.